Tenere il segno
I pastori del presepe andarono senza indugio per vedere quel segno che era stato loro annunciato dagli angeli: un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia. Difficile sapere quali convinzioni di fede abitassero nel cuore dei pastori che tuttavia ascoltano, si mettono in cammino e vedono.
Vedere Dio non era possibile. Di Lui solo la voce. E non era detto che tutti fossero capaci di udire. Vedere un bambino avvolto in fasce fa certo pensare ad un dono dal cielo ma che quel bambino sia esattamente il Figlio di Dio non balzò subito agli occhi. Occorreva stare con Lui, ascoltarlo, seguirlo, osservarne i gesti quotidiani. Vedere poi quell’uomo sulla croce sembrava proprio la negazione stessa di Dio, perché quella era la postura dei maledetti. Trovare la tomba vuota fu poi novità assoluta, un fatto inaudito.
Tutti quegli occhi a noi servono: gli occhi dei pastori, gli occhi della gente raccolta in sinagoga e che, in attesa di una parola, teneva gli occhi fissi su di Lui; a noi servono gli occhi di Giovanni, il discepolo che Gesù amava, di cui oggi facciamo memoria come gli occhi delle donne che arrivarono al sepolcro per prime: il loro sguardo buca le nostre tenebre, come la Parola buca la nostra sordità.
Si tratterebbe dunque di educare perfino il nostro sguardo a vedere ciò che può aver assonanze con le cose di Dio. Ad esempio, nel vangelo di oggi, videro bende e sudario della morte avvolti e ben riposti. Quelle bende e quel sudario non hanno più nulla a che fare con la Vita, nulla a che fare con Dio. Gli occhi vedono anzitutto bende e sudario che sono il contrario di Dio perché di questi oggetti il Signore della Vita non ne ha bisogno. Lasciò quella stanza di morte riprendendosi il suo posto nel mondo e nella storia degli uomini, in loro compagnia, prendendosi pure il tempo di riavvolgere il sudario, quasi a voler fare ordine, l’ordine di una nuova creazione sempre in corso alla quale pure l’uomo partecipa.
Si tratta davvero di educare il nostro sguardo a vedere ciò che non appare come immediatamente visibile o comprensibili. Ora di Lui, per mano di altri, abbiamo questi segni decifrabili – lettere e parole – scritti un tempo su pergamene e ora sulla carta o su uno schermo… lettere che sembrano orme di passi che altri hanno compiuto per noi e prima di noi, lettere come perle, concatenate una dietro l’altra, ed è così che oggi noi seguiamo, con lo sguardo e con l’udito. Sono giorni preziosi questi del Natale, per tenere il segno… come quando da piccoli imparavamo a leggere accompagnando la nostra lettura con il dito indice, per non perderci. Si tratta di imparare a leggere la Vita per comprenderla, per comprendere che questa non è da possedere o da trattenere ma piuttosto per imparare a donarla.
Se posso, un piccolo consiglio di lettura: «Tenere il segno pensando a Dio». Questo piccolo libro nasce dall’idea di condividere alcune riflessioni sull’umano e sul divino, a partire da tutte quelle voci, sguardi, segni che continuamente entrano nella nostra vita. Ce ne sono alcune che semplicemente ci svuotano, altre invece che ci risvegliano e ci cambiano per sempre. Anche l’Eterno ha una sua voce, un suo sguardo e lascia dei segni sulla nostra anima ma anche sul nostro corpo. Non sempre è facile seguirne le tracce perché spesso sono così simili a tutte le altre. Talvolta lasciarsi raggiungere da questa Voce permette di ritrovare il fascino e il calore di quel salutare Mistero che tante immagini e parole su Dio non riescono più a comunicare. Una piccola antologia di testi raccolgono dunque un tempo dedicato a lasciare parlare Dio attraverso i pensieri di chi si è fermato un attimo per trasformarli in parole».
O Dio, che per mezzo del santo apostolo Giovanni
ci hai dischiuso le misteriose profondità del tuo Verbo,
donaci intelligenza e sapienza
per comprendere l’insegnamento
che egli ha fatto mirabilmente risuonare ai nostri orecchi.
Amen.
Dal Vangelo secondo Giovanni (20,2-8)
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala corse e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.
Ma è con la bocca,
con i sensi, col cuore,
con tutto l’essere
che dobbiamo confessarti, Signore:
confessare che Tu sei il Risorto,
colui che ha vinto la morte per sempre,
e che continui a risorgere in ciascuno di noi:
sia dunque la nostra testimonianza
una delle ragioni perchè
anche altri tri crederanno.
Noi sappiamo, Signore, che tu sei
sempre imprevisto e imprevedibile:
dopo tanto meditare e tanto pregare
una cosa ti chiediamo:
di non nominarti mai invano,
di non presumere mai di conoscerti,
ma per essere certi di credere in Te
fa’ che sempre ti cerchiamo
fino a scoprirti ogni giorno nuovo.
Amen.
Non è sempre facile tenere il segno dalle letture di queste feste: a Natale leggiamo di Gesù bambino; il giorno dopo quattro passi avanti e parliamo del primo martirio, avvenuto dopo la morte e risurrezione di Gesù (anche se quest’anno abbiamo dato la precedenza alla Sacra Famiglia); oggi un passo indietro alla risurrezione,… C’è un filo logico?
Grazie.