Dove nasce il Vangelo

IV domenica di Avvento (B)
(2Sam 7,1-5.8-12.14.16 / Sal 88 / Rm 16,25-27 / Lc 1,26-38)
Stillate, cieli, dall’alto,
le nubi facciano piovere il Giusto;
si apra la terra e germogli il Salvatore
(Isaia 45,8)
Dal Vangelo secondo Luca
(1,26-28)
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.
Il Vangelo nasce davanti ad una tomba vuota. La buona notizia non riguarda tanto la nascita di un bambino – ogni nascita è già di per sé buona notizia – ma la resurrezione del Figlio di Dio che non poteva dunque rimanere prigioniero della morte, essendo Lui stesso colui che donava libertà. Secondo la regola d’oro, ha fatto agli altri ciò che egli avrebbe desiderato per sé.
Davanti alla tomba vuota, nasce sulle labbra di alcuni testimoni oculari il primo annuncio della resurrezione. Un racconto orale, fatto di stupore misto ad entusiasmo, a volte marcato di incredulità… eppure è questo messaggio nato davanti ad una tomba vuota a giungere fino a noi. È da questo messaggio – simile ad un nocciolo da cui ancora può scaturire un albero – che il Vangelo, la buona notizia, prende forma scritta. In versioni differenti, per diversi destinatari, in lingue diverse… perché era chiaro che questa buona notizia doveva essere diffusa sino ai confini del mondo.
Il senso della vita, per come la vediamo scorrere naturalmente con i nostri occhi mortali, lo si percorre dal nascere di un bambino fino alla morte dell’uomo. Il Vangelo di Gesù Cristo ci chiede invece una conversione anche a proposito del nostro modo di intendere la vita umana. È proprio perché Gesù Cristo è morto e risorto che impariamo da lui a donare la nostra vita. È in virtù della sua resurrezione che ci sentiamo chiamare alla Vita piena, una vita di comunione che va ben oltre i nostri limiti umani, legati a fragilità, paure e peccato. Una notizia così non si poteva tacere ed i primi che ne parleranno saranno proprio coloro che lo rinnegarono, che lo abbandonarono uno dopo l’altro.
Il Vangelo diventa presto buona notizia da diffondere in tutto il mondo… quasi che il mondo intero dovesse conoscerla imperativamente. C’è in tutto questo il desiderio di far conoscere questa storia, il cui finale non è che il nostro vero inizio… eppure il mondo, in qualche modo o in diversi modi, ha sempre incarnato una sorta di rifiuto e coloro che oggi credono al Vangelo, non conoscono più l’entusiasmo degli inizi o delle origini.
Come conciliare dunque questo desiderio – che è pure un imperativo del risorto – di annunciare il Vangelo ad ogni creatura con lo scarso interesse (almeno in apparenza) verso ciò che sembra semplicemente una tematica religiosa? La questione è tanto complessa e seria quanto semplice se consideriamo il brano di Vangelo che la liturgia ci propone per questa quarta domenica di Avvento. Maria, la fanciulla di Nazareth diventa per noi icona di ciò che deve anzitutto accadere in noi. A nulla serve sperare che il mondo sia la casa di Dio, a nulla serve desiderare che tutti credano all’evangelo se questo messaggio non parla anzitutto al nostro cuore, se questo annuncio che fa germogliare la vita anche dove la scure ha già sferzato i suoi colpi, non viene accolto nel nostro intimo di cui il grembo è anche simbolo.
Maria, la ragazza di Nazareth, donerà al mondo il Salvatore solo perché è lei stessa s’è fatta ascolto attento, meditazione profonda e riflessione sensata. In effetti rimane di una concretezza impressionante la domanda che lei stessa rivolgerà all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Maria, secondo l’usanza del tempo è una giovane promessa ad un uomo della casa di Davide, il cui nome è Giuseppe. Niente di inconsueto in tutto questo. Era necessario, già durante il fidanzamento, che un uomo prendesse sotto la sua protezione una giovane fanciulla affinché nessuno potesse più toccarla. Non una forma di possesso ma un senso di protezione. Quando Giuseppe saprà che un Altro ha coperto con la sua ombra la giovane fidanzata, non potrà che fare un passo indietro se questo Altro è Dio stesso. L’angelo Gabriele – dice esplicitamente il Vangelo – fu mandato da Dio in una città della Galilea. E quando Giuseppe sarà invitato a non temere di prendere con sé Maria e il bambino che è generato in lei, allora egli muoverà tutti i passi necessari affinché il Vangelo trovi casa.
A noi stupisce la giovinezza di Maria. Così inesperta secondo i nostri criteri moderni, quasi che giovinezza sia sinonimo di immaturità. La giovane Maria invece accoglierà il segno che accompagna la parola dell’angelo Gabriele e giungere fino alla casa della cugina Elisabettta per stupirsi davanti alla fecondità dell’anziana cugina, per meditare che nulla è impossibile a Dio.
Maria e Giuseppe raccontano dunque, all’inizio del racconto evangelico, che la notizia della Vita più forte della morte non la si può gridare ai quattro venti, non la si può annunciare al mondo intero, se prima non ha parlato nel fondo del nostro essere. Tutto questo ha il sapore della giusta dimensione della fede… la fede non si può ridurre ad un fatto intimistico e personale e il Vangelo porta in sé questa esigenza vitale d’essere annunciato ai confini del mondo, spinto dello Spirito come i semi portati dal vento. Sarà la terra il luogo dove la Parola mette radici.
Il tempo è compiuto: Maria ha fatto posto nel suo cuore alla Parola e poco le importerà se dovrà partorire sulla paglia, in una stalla. Il tempo è compiuto: Giuseppe custodisce il sogno di Dio e poco gli importa se troverà porte chiuse o se presto dovrà fuggire in Egitto per mettere in salvo il Bambino. Egli sa che c’è un disegno, una volontà più grande della sua. Il tempo è compiuto!
Come devo riceverti
e come incontrarti?
O desiderio di tutto il mondo,
O vanto dell’anima mia!
Gesù, poni Tu stesso
presso di me la luce della fede,
affinché ciò che a te piace
mi sia manifesto e conosciuto!
Paul Gerhardt (1607-1676)

“È qui Egli; tra l’effimera vanità, nel torrente torbido delle ansie della vita. Tu possiedi un segreto: impotente è il male, eterni noi siamo: Dio è con noi”. (V.S.Solov’ev)
Ecco che oggi, un’altra domenica in cui – a dispetto dei miei programmi – finirò per seguire nuovamente la messa in tv, la riflessione qui riportata mi aiuta a considerare anche questo mio vissuto da un nuovo punto di vista. Per quanto da credente io sia sinceramente dispiaciuta per non essere riuscita a ricevere l’eucarestia, mi trovo a riflettere sul fatto di come anche questo sia un atto simbolico che, per quanto importante, non conta granché se io per prima non sono in grado di lasciarmi interrogare e mettere in discussione giorno per giorno dall’ esempio di Gesú. Certo non è “non fa niente anche se non prendo l’eucarestia”, anche perché io per prima mi rendo conto di quanto sia differente partecipare in presenza o a distanza, un po’ come è diverso in università preparare esami da non frequentante o partecipare alle lezioni dal vivo… Il coinvolgimento è senz’altro differente, e la preparazione si raffina anche grazie alla partecipazione. Eppure per accogliere davvero la sfida di realizzare il Vangelo anche oggi, qui e ora, nemmeno quello basta, no. Devo saper cogliere la sfida quotidiana, saper cogliere ogni inciampo, ogni imprevisto, ogni sbandamento dal programma anche, per capire come anche attraverso quello io possa raffinare il mio agire da buona Cristiana.
Da dove nasce il Vangelo? Fantastico sulla parola (V=vittoria, dell’angelo)… e penso così che possa nascere da un angelo che vittorioso può tornare a Dio con un sì genuino e gravido di speranza. Un sì all’Amore che si propone correndo il rischio del rifiuto, dell’indifferenza, dell’incomprensione. E quanti angeli il Signore ha inviato…ma mai nessuno con un uannuncio così inaudito come quello portato da Gabriele a Maria, dalla sua bocca al suo cuore per attendere una risposta. Il sì a Dio, al Bene e all’Amore rende manifesto e più chiaro il Suo volere, nel dispiegarsi della nostra vita perché il sì spalanca le porte, apre al possibile di Dio, nell’impossibilità dell’uomo.
Insegnaci ogni giorno ad essere docili ascoltatori della Tua Parola per conoscere e fare sempre più il Tuo volere e rispondere con un sì quotidiano al Tuo disegno d’amore. Non sarà sempre facile, occorrerà fidarsi più di Te che di noi stessi e nel fidarci impareremo ad affidarTi la nostra vita.