Un cuore più grande di ogni offesa

Data :17 Settembre 2023
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XXXIV domenica del Tempo Ordinario (A)

(Sir 27,33-28,9 / Sal 102 / Rm 14,7-9 / Mt 18,21-35)

O Dio, che ami la giustizia e ci avvolgi di perdono,
crea in noi un cuore puro a immagine del tuo Figlio,
un cuore più grande di ogni offesa,
più luminoso di ogni ombra,
per ricordare al mondo il tuo amore senza misura.
Amen.

(preghiera dalla liturgia odierna)

E se qualcuno improvvisamente dovesse chiederci: «in cosa consiste dunque l’essere cristiani? Cosa significa e cosa comporta il dichiararsi di Cristo?».
«Siate misericordiosi – disse Gesù – come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36). E ancora: «Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia» (Mt 5,7). C’è nell’insieme delle Scritture, accanto a racconti di fratricidi, di violenze e di ingiustizie, questo divino impegno di formare un popolo alla coscienza di sé, affinché questo stesso popolo si impegni con Dio in un lavoro paziente, talora estenuante, di arginare il Male. 

Misericordia fa rima con altre parole: amore, conoscenza, giustizia. Amore, conoscenza e giustizia hanno a loro volta un legame con il perdono. Dichiararsi di Cristo, ciò significa molto concretamente impegnarsi in quest’opera di riconciliazione, di rappacificazione, di misericordia e di perdono. Ma dove ha origine questo perdono? Da dove può venire questa intuizione che solo perdonando possiamo essere liberi da rancori, risentimenti, collera e vendetta? È la riflessione che apre il nostro tempo di ascolto della Parola di Dio in questa domenica. 

Rancore e ira sono cose orribili, e il peccatore le porta dentro – si legge oggi dal libro del Siracide – Un uomo che resta in collera verso un altro uomo, come può chiedere la guarigione al Signore? Chiedere la guarigione in fondo significa ricercare la salute e, presa distanza da una malattia, dichiararsi non più conniventi con il Male. E dunque, come si può chiedere guarigione a Dio se si serba in cuore la collera verso un proprio simile? E ancora il saggio figlio di Sirac invita ciascuno a meditare sulla propria fine: Ricòrdati della fine e smetti di odiare,  della dissoluzione e della morte e resta fedele ai comandamenti. Ricorda i precetti e non odiare il prossimo, l’alleanza dell’Altissimo e dimentica gli errori altrui. Meditare attorno alla morte e alla brevità della vita è certamente una via per comprendere che non possiamo serbare rancori all’infinito. Arriva il giorno della fine e ci si rende conto in quel momento di quanti «conti in sospeso» potremmo aver lasciato. È certo finito il tempo in cui si insegnava a meditare sulla propria fine, è finito forse anche il tempo (ma chi realmente può dirlo?) in cui si pregava per invocare una buona morte. E per quanto ci danniamo a scansare questa meditazione, la morte sembra colpire ancora più veementemente. Pandemia prima, guerra, terremoti, inondazioni… si muore a centinaia e a migliaia, come fossimo formiche o mosche. La Morte sembra continuare imperterrita a fare il suo lavoro… ma l’essere umano s’è veramente deciso in favore della Vita?

Altro suggerimento da antica sapienza di credenti sta nel fatto che dovremmo investire le nostre energie, le nostre forze, la mente, il cuore… tutto di noi a ricordare e osservare i comandamenti che ci legano al Signore piuttosto che ricordare gli errori altrui con estrema precisione. Senza accorgerci si rimane aggrovigliati e imprigionati in legami mortiferi mentre l’unico legame che libera e salva, quello con il Signore delle misericordie, si allenta sempre più fino a dimenticare le ragioni per le quali volentieri avevamo accettato di fare alleanza con Lui. 

Recita il salmo 118: «Corro per la via dei tuoi comandamenti, perché hai dilatato il mio cuore» (salmo 118,32). Meditare i comandamenti questo dilata il cuore mentre ricordare i torti subiti non fa che atrofizzarlo, renderlo sclerotico. Gesù stesso non esiterà a diagnosticare presso certi scribi e farisei questo male terribile: la «sclerocardìa», la durezza di cuore. E così il cuore della fede, il battito che fa vivere, starebbe proprio nel meditare i precetti del Signore, la sua Parola, perché il cuore degli esseri umani possa assomigliare al cuore stesso di Dio. 

Ma c’è ancora un passo che potremmo fare da un punto di vista puramente umano. Si tratta di considerarsi non come valore assoluto, non come misura di tutto. Quando l’Io si fa così grande da dimenticarsi d’essere parte di un Noi, allora si corre davvero il rischio di pensare che sono sempre e solo gli altri a sbagliare. E dunque si può vivere in un presunto orgoglio d’essere dalla parte della verità, come unici creditori mentre tutti gli altri sarebbero debitori. Paolo nella lettera ai Romani che oggi ascoltiamo dirà chiaramente: «Fratelli, nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore.
Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore». Si vive per qualcosa, per qualcuno. Si vive per il bene altrui, come un padre e una madre danno la vita per i figli. Dio stesso non esiste per sé, ma è vivo per le sue creature.

Meditare la propria fine, meditare e osservare i comandamenti divini, non considerarsi il centro del mondo sono alcuni dei passi che l’umano può fare con le proprie gambe per giungere a comprendere la necessità del perdono. Ma c’è un dato preciso, un qualcosa in più che è accaduto nella storia: ad un certo punto della storia un ebreo marginale e marginalizzato, perfino nell’ora della sua morte, offre perdono incondizionato e smisurato. Nel disprezzo più totale di una morte in croce, Egli dice il vero valore dalla vita: c’è Vita solo dove c’è perdono. Tutto il resto è morte. Della sua morte ne aveva parlato apertamente e più volte ai suoi discepoli. Segno evidente che a questa fine ci stava pensando. Anche del fine della sua vita ne parlava. Egli non viveva per sé. Viveva per il Padre; viveva perché chi lo avesse incrociato su questa terra potesse avere l’occasione di vedere il volto di quel Padre che sta nei cieli; viveva perché gli uomini potessero avere la Vita e la vita in abbondanza. 

Questo incontro con Gesù Cristo è nell’ordine dalla rivelazione: qualcosa che gli uomini da soli non potevano scoprire, qualcosa di così vertiginoso che tanto in alto non saremmo mai potuti arrivare. La domanda di Pietro circa il perdono – «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?» – dice in fondo che l’uomo è limitato anche nella sua capacità di perdonare. Eppure se ci apriamo a questa divina rivelazione, se proviamo ad ascoltare quanto Gesù dice, se davvero viviamo non per noi stessi ma per Cristo, allora non possiamo che convenire che perdonare di cuore è l’unica strada evangelica. E dunque la preghiera – secondo quanto chiediamo all’inizio delle nostre liturgie domenicali – non potrà che essere la richiesta di un cuore puro a immagine del tuo Figlio, un cuore più grande di ogni offesa, più luminoso di ogni ombra.

Dal Vangelo secondo Matteo
(18,21-35)

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

Signore, fa di me uno strumento della tua pace:
dove è odio, fa ch’io porti amore,
dove è offesa, ch’io porti il perdono,
dov’è discordia ch’io porti l’Unione,
dov’è dubbio fa’ ch’io porti la Fede,
dove è l’errore, ch’io porti la Verità,
dove è la disperazione, ch’io porti la speranza.
Dove è tristezza, ch’io porti la gioia,
dove sono le tenebre, ch’io porti la luce.
Maestro, fa che io non cerchi tanto
ad essere compreso, quanto a comprendere.
ad essere amato, quanto ad amare
Poiché:
è dando, che si riceve.
perdonando che si è perdonati;
morendo che si risuscita a Vita Eterna.
Amen.


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Piccoli Pensieri (6)

Questo brano e la riflessione che lo accompagna mi hanno chiesto tempo perché, una volta di più, mi hanno stimolato delle domande. Ma domande su me stessa! Mi professo cristiana e come tale cerco di agire… Ma ci riesco davvero? Mi è capitato di subire dei torti, mi è capitato anche di cercare di chiarire, talvolta riuscendovi, talaltra lasciando che provvedesse il tempo a lasciar sedimentare, così che la distanza provvedesse a ridimensionarne lo slancio e, cosí ridotto, la riconciliazione venisse da sé. Ma ci sono anche, ci sono ancora, situazioni che non ho saputo portare ad un’ autentica riconciliazione. Situazioni che, pur dopo alcuni tentativi, ho “lasciato andare”, pur perdonando in cuor mio… E rispetto a queste ancora mi chiedo: può bastare anche così? Se non ci si riesce a capire, è levito “lasciar andare”? Questo ancora non lo so.

20 Settembre 2023
eCarla

In ritardo ti scrivo, riguardo al perdono di cui parlava il Vangelo di domenica scorsa, che mi risulta più “facile” perdonare un fratello “estraneo” alla mia vita , piuttosto che un familiare, che sia il marito o le tue figlie ecc. Per fortuna, però,vengo sempre richiamata, attraverso l’ ascolto della Sua parola , la preghiera , la partecipazione alla Messa a riuscire a dare un giudizio diverso dal mio modo di pensare e di agire sulle varie situazioni, ad esempio il riuscire a perdonare.

19 Settembre 2023
Emilia

Spesso ci dimentichiamo che il nostro cuore batte per quelle emozioni che ci vengono dal senso di pace e di gioia quando riusciamo a perdonare chi ci ha recato del male grazie ad uno sgarbo, una maldicenza o aggressione verbale ecc. Grazie don Stefano per portarci a queste riflessioni.

17 Settembre 2023
Dania

Il primo perdono lo dobbiamo chiedere per noi stessi ed è proprio così che si apre ogni celebrazione Eucaristica, confessando i propri peccati in pensieri, parole, opere ed omissioni… E Lui instancabilmente ci perdona! è a noi che a volte risulta difficile perdonarci e sentire il Suo perdono, ma è solo scoprendoci perdonati, perché infinitamente amati, che possiamo a nostra volta perdonare, quale forma più alta, anche se impegnativa, dell’Amore.
Difficile ma non impossibile…ed è quello che commuovendomi ho intravisto sui volti e nelle storie di vita di coniugi sposati da 50, 55 e perfino 60 anni. E stando accanto a loro, portando al Signore i nostri 20 anni di unione benedetta da Lui, se da un lato mi sono sentita piccola, dall’altro ho potuto provare gratitudine e gioia per questi esempi di perdono e di amore. Se avrò e avremo la Grazia di andare avanti insieme nella vita non smetterò ogni 5 anni di celebrare la vittoria dell’amore su qualsiasi incomprensione, difficoltà o sbaglio che ci siamo trovati a vivere perché si sappia che “quel per sempre” è esigente, a volte faticoso ma possibile.
Grazie a Dio tutto possiamo perché “sia che viviamo sia che moriamo siamo Suoi”, il nostro nome è inciso sul Suo cuore e la nostra vita è nelle Sue mani.

17 Settembre 2023
Maria Rosa

Grazie don Stefano perché il tuo ascolto ci porta a riflettere sulla vita e sulla morte e ci fa desiderare di allargare le nostre vedute perché veramente siamo parte di un Noi e solo condividendo la nostra vita avrà senso.

17 Settembre 2023
eCarla

Dio è misericordia infinita. Io non sempre riesco a perdonare torti ricevuti, magari anche ingiustamente, ma poi mi viene da pensare: se io non perdono un mio fratello, quando Dio mi chiamerà a sé, io sarò, a mia volta , perdonato da Lui? Mi accorgo che solo stando in un luogo preciso, quale è la Chiesa e imparando ad ascoltare la Sua parola, riesco , anche solo qualche volta (e pregandoLo molto) a mia volta a perdonare i torti ricevuti da un mio fratello.

17 Settembre 2023

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