“C’era come un fuoco ardente”

Data :3 Settembre 2023
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Il lago – tra Ouchy e Pully – stamattina all’alba

XXII domenica del Tempo Ordinario (A)

(Ger 20,7-9 / Sal 62 / Rm 12,1-2 / Mt 16,21-27)

Fuoco che scalda i nostri cuori,
potenza creatrice di vita,
guida dei nostri passi,
luce che illumina le nostre menti
scendi su di noi
e rendici discepoli attenti e intelligenti
nell’ascolto della parola del maestro e Signore.
Amen.

Ad un certo punto, sulla mappa di un cammino di fede succede qualcosa di molto preciso. Si giunge, cammin facendo, al punto in cui si è come davanti ad un bivio. Non è il bivio della morale dove c’è da scegliere tra bene e male. È il bivio dei profeti, uno spartiacque interiore davanti al quale si deve decidere se continuare oppure rinunciare alla missione. Il fatto è che decidere di continuare potrebbe proprio significare andare incontro al male. Non dico scegliere il male. Al contrario, è davvero scegliere di compiere il bene – il bene altrui – sapendo tuttavia che quella scelta porterà a confrontarsi con un male che viene da altrove.

Sono numerosi i profeti che, giunti a questo punto del loro cammino, hanno scritto alcune delle pagine più intense. Una vera testimonianza di fede. Confessioni di un profeta. Geremia, nella prima lettura di oggi, ne è un esempio chiarissimo.

Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre;
mi hai fatto violenza e hai prevalso.
Sono diventato oggetto di derisione ogni giorno;
ognuno si beffa di me.
Quando parlo, devo gridare,
devo urlare: «Violenza! Oppressione!».
Così la parola del Signore è diventata per me
causa di vergogna e di scherno tutto il giorno.
Mi dicevo: «Non penserò più a lui,
non parlerò più nel suo nome!».
Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente,
trattenuto nelle mie ossa;
mi sforzavo di contenerlo,
ma non potevo.

(Ger 20,7-9)

Quarant’anni prima della distruzione di Gerusalemme e della deportazione babilonese (correva l’anno 587 a.C.), Geremia non smette di suonare campanelli d’allarme per il re e per il popolo al fine di scongiurare poi le cronache di un disastro annunciato. Lo prenderanno per un uccello del malaugurio mentre il profeta stava semplicemente dicendo che c’era ancora un certo margine di tempo per convertirsi, per cambiare rotta. Nel testo di oggi ci consegna quel dibattito interiore che si gioca nel suo intimo più profondo: diviso tra la chiamata di Dio che lo spinge a parlare, e la saggezza umana che lo spinge a tacere. Abbandonare la sua missione significherebbe abbandonare i suoi concittadini alla loro triste sorte e ingannare la fiducia di Dio. Come altrove dirà il profeta Isaia, i pensieri di Dio non sono quelli degli uomini; per le idee alla moda un vero profeta è certamente un elemento di disturbo; il fuoco divorante della parola di Dio che invita alla conversione non è fatto per piacere. Queste confessioni di Geremia, intrise di dolore, sono nello stesso tempo la confessione di una passione divorante che lo brucia. Le sue parole sono espressione di un amore per la Parola di Dio che non smetterà di illuminare la sua stessa vita: «Signore, mi hai sedotto, e sono stato sedotto; mi hai afferrato, e ci sei riuscito».

È questa la sorte di tutti i profeti, uno dopo l’altro. Si comprende dunque come i primi cristiani abbiano saputo rileggere la vita di Gesù nello stesso modo. Come Geremia, come tutti i profeti, Gesù è stato finalmente messo a tacere. Ma nulla può far tacere la Parola di Dio: Cristo è risorto; e ormai sappiamo che verrà un giorno in cui gli uomini ascolteranno la Parola e vi troveranno finalmente la loro luce.

Dal Vangelo secondo Matteo
(16,21-27)

In quel tempo, Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno.
Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».
Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.
Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?
Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni».

Alla memorabile professione di fede di Pietro che abbiamo ascoltato domenica scorsa: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» segue il racconto odierno; Gesù accetta d’essere riconosciuto da Pietro come il Messia, riconoscendo per altro in quelle parole del discepolo la stessa parola del Padre ascoltata nel giorno del battesimo: là si aprirono i cieli e la voce dall’alto si fece sentire; qui, la parola del Padre esce dalla bocca di un fratello, dal profondo del cuore di un discepolo che dirà dopo la resurrezione del suo Maestro e Signore: «Signore, tu sai tutto. Tu sai che ti amo» (Gv 21, 17). Ma Pietro, come del resto ogni discepolo, non conosce ancora tutta la portata di quel riconoscimento e il peso di certe parole. Sicché Gesù stesso non smetterà di sorprenderli: da quel momento Gesù cominciò ad illustrare ai suoi discepoli che doveva partire per Gerusalemme, soffrire molto…  È il mondo al rovescio, diremmo noi! Un re senza armi né privilegi; un re maltrattato e apparentemente consenziente… Parla di soffrire molto e di essere addirittura messo a morte!

Come molti dei suoi contemporanei, anche Pietro aspettava un Messia trionfante, glorioso, potente che scacciasse una volta per tutte da Gerusalemme l’occupazione romana. Dunque ciò che annuncia Gesù è inaccettabile: il Dio onnipotente non può permettere che accadano le cose che Gesù stava ora annunciando! Gesù affronta questo rifiuto naturale di Pietro come una vera tentazione per se stesso e lo dice con un certo impeto rivolgendosi a Pietro stesso: «Passa dietro di me, Satana! Tu sei per me un’occasione di caduta, i tuoi pensieri non sono quelli di Dio, ma quelli degli uomini».

Che le nostre vedute siano spontaneamente le più umane, cosa c’è di più naturale? Ma dobbiamo lasciare che lo Spirito ci trasformi, a volte ci sconvolga completamente, se vogliamo rimanere fedeli alla volontà di Dio. Di passaggio, vediamo che Gesù non ha affrontato tentazioni solo una volta per tutte all’inizio del suo ministero (Mt 4,1-11), ma più volte nel corso della sua missione ha incontrato «occasioni di caduta». Come dice Paolo nella seconda lettura di oggi, dobbiamo accettare di lasciare che lo Spirito di Dio trasformi completamente i nostri modi di vedere: «lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,2).

La volontà di Dio – lo sappiamo – non è altro che la salvezza del mondo, cioè la nascita della nuova umanità, quella che vivrà solo di tenerezza e di pietà, ad immagine di Dio stesso. Ora, la salvezza degli uomini, cioè la nostra conversione totale e definitiva all’amore e al perdono, alla fraternità e alla pace, alla condivisione e alla giustizia, non può avvenire con un colpo di bacchetta magica: dove sarebbe la nostra libertà?
La salvezza degli uomini passa dunque inevitabilmente per una lenta trasformazione degli uomini; e come trasformare gli uomini senza mostrarne la via? Viene da qui questa necessità, questo divino dovere, questo bisogno che Gesù percorresse fino in fondo la strada della dolcezza, della bontà, del perdono, se si voleva avere qualche possibilità di seguirlo a nostra volta.

Il piano di salvezza di Dio, la sua volontà, non può dunque conciliarsi con l’idea umanissima ed erronea di un Messia trionfante: affinché gli uomini «giungano alla piena conoscenza della verità» (1 Tm 2,4), occorre che scoprano che Dio è tenerezza e perdono, misericordia e pietà. Tutto questo non sarebbe possibile attraverso atti di potenza. Serviva soltanto il dono supremo della vita del Figlio: si comprende meglio allora questa frase di Gesù: «Non c’è amore più grande di chi da la propria vita per chi si ama» (Gv 15,13).

Il n’est pas de plus grand amour
que de donner sa vie pour ceux qu’on aime.

«Oui, comme je vous ai aimés,
vous aussi, aimez-vous les uns les autres»

A ceci tous vous reconnaîtront pour mes disciples:
à cet amour que vous aurez les uns pour les autres.


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Piccoli Pensieri (3)

Arianna

Dopo aver letto questa riflessione mi son tornate in mente quanto esposto da Pif rispetto alla fatica di seguire effettivamente quanto proposto dai Vangeli, esposte in parallelo con l’ uscita del proprio romanzo “…Che Dio perdona tutti”.
Testo in cui riflettere su si una Chiesa fatta “non di disonesti, ma di lecita approssimazione che rasentava la disonestà” ed il cui protagonista per tre settimane decide di seguire alla lettera il Vangelo… per finire affettivamente solo, perchè desideroso di vivere autenticamenfe il Vangelo. L’ esperienza lo porta infine a dichiarare: “Se non siete in grado di sostenere la parola di Dio e avete smesso di provarci, piantatela di dichiararvi cristiani”. Ed è una cosa che colpisce, in effetti, perché sfido io a trovare oggi qualcuno davvero in grado di vivere autenticamenfe in Vangelo, incarnarlo in tutto e per tutto. Perché è difficile oggigiorno, tremendamente difficile. Perché non è tanto questione di sacramenti e appuntamenti da non mancare… È proprio (dovrebbe essere) una filosofia di vita. Una filosofia di vita che richiede attenzione, molta attenzione e convinzione. Che fino a che non ci metteremo tutti, ma proprio tutti, insieme a provarci un po’, aiutandoci gli uni gli altri, sarà difficile cambiare le cose. Ma se almeno si inizia qua e là a porsi qualche dubbio… A interrogarsi un po’ ed accettare la sfida, io credo che, pian piano, qualche piccola differenza la si può iniziare a fare.

3 Settembre 2023
Alberto

la vita è un mistero dentro il SUO abbraccio.

In questo cammino quante volte dobbiamo CON-VERGERE il nostro sguardo,scegliere o meglio accorgersi che c’è un’altra strada che ci aspetta per realizzarci pienamente come uomini.

Fondamentali sono i pochi amici che ti amano.

Buon cammino a tutti e a ciascuno.

3 Settembre 2023
Emanuela

Ho letto questo commento alle scritture di oggi pensando al viaggio di papa Francesco in Mongolia.
Cosa ci va a fare il papa in un paese dove ci sono poche centinaia di cristiani? Li non ci sarà nessun raduno oceanico, nessuna folla immensa ad accoglierlo… nessun segno di una chiesa potente e trionfale.
Certo c’è la vicinanza a Russia e Cina, due paesi con i quali sta cercando da tempo un dialogo di pace e nei quali ancora non riesce ad entrare.
Ma voglio pensare che sia anche un messaggio per tutta la chiesa: la potenza di Dio non si manifesta in eventi trionfali e scenografici, ma nei mille rivoli sotterranei che fanno arrivare il Suo Amore ovunque, anche nei luoghi più sperduti e isolati del mondo.
Del resto Lui ci ha detto: “dove 2 o 3 sono riuniti nel mio nome…” non ci ha mai detto che avremmo dovuto essere in milioni per essere in grado di fare la sua volontà.

3 Settembre 2023

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