Identità rivelate

XXI domenica del Tempo Ordinario (A)

(Is 22,19-23 / Sal 137 / Rm 11,33-36 / Mt 16,13-20)

A mo’ di premessa, vorrei già dire che il Vangelo di questa domenica può benissimo collocarsi nel grande dibattito contemporaneo e quanto mai attuale della scoperta e della costruzione dell’identità personale o di gruppo. Semplicemente basterebbe accennare al tema delle identità digitali, al dibattito sul genere e ancora all’identità di un paese, di una nazione, di un gruppo anche religioso. Non siamo mai esenti dalla domanda che riguarda l’identità e forse è proprio una di quelle domande scritte nel profondo, nel cuore o nella coscienza di ciascuno. Chi sono io? Chi siamo noi?

E non basta certo mettersi davanti allo specchio per dirsi, per definirsi, per identificarsi. Per sapere chi siamo occorre stare anche davanti all’altro. Nell’incontro (o perfino in uno scontro) si può scoprire, conoscere la propria identità. Questo racconto evangelico ci permette dunque di non assentarci da questo dibattito, da questo tema. Possiamo stare, senza timore nella Cesarea di Filippo del nostro tempo, dove l’umano a volte pare smarrirsi o sembra non riconoscersi più, dove l’umano non sa più di che habitus rivestirsi, dove non sappiamo cosa dire, cosa pensare, come fare. E non sono certo l’anonimato, l’ambiguità e l’indifferenza le soluzioni. Ma ora ascoltiamo la pericope evangelica, il brano propostoci dalla liturgia odierna. 

Dal Vangelo secondo Matteo
(13,13-20)

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».
Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.

Tacquero per paura. Inizialmente forse fu proprio così. Paura di fare la stessa fine del loro maestro. Umanissima cosa la paura. Poi un fuoco, un rombo di vento, mentre il giorno di Pentecoste stava per finire… una data che segnò precisamente una svolta, quando iniziarono a parlare di ciò che avevano udito e visto. Parlare, raccontare, testimoniare, annunciare… fino a scrivere, redigere, tradurre: sono tutti verbi del Vangelo, della buona notizia che prosegue la sua corsa ai confini del mondo.

Tacquero – inizialmente – obbedienti al comando di non dire ad alcuno che egli era il Cristo. Lo chiese espressamente anche a malati guariti, a ciechi che riacquistavano la vista. Ma come tacere un bene così grande? E perché tacere? Anche ai discepoli impose quello che tecnicamente, nel linguaggio biblico-teologico si chiama il «segreto messianico»: non dire a nessuno che l’uomo di Nazareth è il Cristo, il Messia finché egli non sia risuscitato dai morti. Come a voler lasciare che le tenebre spengano la Luce; come a permettere alle porte degli inferi di prevalere sul regno di Dio; come a dire che la morte è più forte della Vita. La paura dell’uomo è sempre e solo questa. 

Ma noi sappiamo che la Luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta (Gv 1,5). E ancora oggi il Cristo rassicura: le porte degli inferi non prevarranno. Quando ci si ricorda di queste parole uscite dalla bocca di Colui che per la fede possiamo riconoscere quale Figlio di Dio, subito il nostro cuore prova consolazione e ritrova coraggio e audacia.

Accadde tutto a Cesarea di Filippo, luogo che potremmo definire in un certo senso il centro del mondo. Da lì passavano tutte le grandi vie di comunicazione, di commercio, di scambio tra l’Oriente e l’Occidente, il Nord e il Sud.  Non c’era luogo più spurio o contaminato di quel punto preciso della terra. Pare addirittura che ogni passante avesse negli anni innalzato edicole o altari per pregare una propria divinità. Per un lungo viaggio, per buoni affari, per assicurarsi un futuro prospero è sempre consigliato affidarsi a qualche nume celeste, no?

A mio avviso non a caso, il rabbi di Nazareth sceglie questo luogo strategico per porre due domande, una sull’identità di una figura misteriosa di cui parlò ampiamente il profeta Daniele e l’altra che lo riguarda in prima persona.
Il profeta Daniele usava spesso parlare del «Figlio dell’uomo», un personaggio dai tratti non troppo distinti, quasi una figura da cercare, da riconoscere in mezzo ad altre. E dunque chi è il Figlio dell’uomo? A chi si riferisce Daniele? C’è da immaginare che questa domanda fosse oggetto di dibattito nelle varie scuole rabbiniche. E così anche Gesù, come in un dialogo ordinario tra maestro e discepoli, interroga i suoi: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Si avanzano varie ipotesi: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».

Non dovrebbe essere difficile per noi ricordare che a più riprese Gesù parlerà lui stesso del Figlio dell’uomo associandolo ad un uomo in cammino verso la sua passione, la sua morte… e infine la sua resurrezione. Gesù stesso parlerà di sé identificandosi in questa figura dall’identità ancora troppo misteriosa. 
Improvvisamente la domanda che inchioda. La domanda che non può evadere: «Ma voi, chi dite che io sia?». Non si tratta più di ripotare dicerie o voci di popolo. Si tratta di prendere posizione davanti a Colui che ora pone proprio ai suoi discepoli questa precisa questione. Se Gesù sa nel suo intimo  e senza ombra di dubbio dal giorno del suo Battesimo al fiume Giordano di essere il Figlio di Dio, questo non significava che anche i suoi discepoli ne avessero una piena coscienza. Per molti, oggi come allora, Gesù di Nazareth resta un grande uomo, un saggio maestro, un formidabile oratore… ma questo non dice nulla da un. punto di vista della fede. Dire Gesù di Nazareth non significa ancora dire che Gesù è il Cristo, il Messia, il Salvatore, il Figlio di del Dio vivente…. Per molti rimaneva il figlio della giovane ragazza di Nazareth, Maria, e del carpentiere Giuseppe. Quelle troppo umili origini non potevano spiegare parole, prodigi e segni da lui compiuti. «Che cosa mai può venire di buono da Nazareth?» si dirà (Gv 1,46). 

Ma Pietro osa un’altra risposta. Attenzione, parliamo bene del discepolo che aveva rinnegato tre volte il suo Maestro. Parliamo cioè del discepolo che avrebbe potuto continuare a tacere non fosse che per il ricordo di questo rinnegamento. Eppure, a resurrezione avvenuta e in seguito alla stesura del Vangelo, ci troviamo proprio davanti ad un Pietro che ha già fatto l’esperienza del perdono. Si ricorderà Pietro di quello sguardo misericordioso di Gesù nel cortile del pretorio, quando stava inutilmente presso un fuoco a scaldarsi ora che la Luce sembrava venir meno. Quando i discepoli potranno finalmente raccontare ciò che avevano udito e visto, raccontarono pure di questa domanda a Cesarea di Filippo e proprio di questa risposta di Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».

Niente a che vedere con sangue e carne. Non una risposta da ufficio anagrafico, non l’esito di un test DNA o di un esame sanguigno. Ci sono risposte che riguardano l’identità personale di ciascuno che non vengono solo da carne e sangue. C’è solo un Padre nei cieli che può rivelare che Gesù di Nazareth è il suo Figlio amato. Al Giordano lo fece la voce dal cielo. Sul monte Tabor una stessa voce dalla nube ripeterà la stessa cosa. Pietro ha udito questa voce. Ha saputo ripetere quelle parole. Previa profonda meditazione personale, si deve immaginare, meditazione e confessione di fede alla quale ogni discepolo è chiamato. 

Anche Paolo scriverà nella lettera ai Romani: «Se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore e avrai creduto con il cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato; infatti con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa confessione per essere salvati» (Rom 10,9-10). 

Stare davanti al Figlio di Dio, davanti a questa precisa domanda che Egli pone ai suoi discepoli – noi compresi! – ecco ciò che può toglierci da questo immane rompicapo che è il conoscere la proprio identità. C’è dunque da credere che stando davanti a Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio che ci ha rivelato cose dall’alto – cose che veramente possono farci rinascere – anche la nostra personale identità ne trarrà giovamento e non avremo a soffrire alcuna confusione. 

Quando ogni domenica ci raduniamo nel nome del Signore Gesù Cristo, io so benissimo che tra me i presenti nell’assemblea non c’è alcun legame di sangue. Eppure nella liturgia e per la fede io continuo a chiamare tutti i presenti con il nome di fratelli e sorelle. È perché insieme crediamo che c’è un unico Dio e che è Padre. Se in virtù dello Spirito santo accolgo questa rivelazione che Gesù di Nazareth, Figlio di Dio, è venuto a farci, in virtù dello stesso Spirito non possiamo che accogliere questa fraternità che dall’unico Padre ci è donata. E anche noi, come Pietro, possiamo essere beati di questa duplice rivelazione: divina e umana. Beati di avere un solo Padre, un solo Maestro e noi siamo tutti fratelli (Mt 23,8).

E dopo che il Signore mi dette dei fratelli,
nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare,
ma lo stesso Altissimo mi rivelò
che dovevo vivere
secondo la forma del santo Vangelo.

(dal Testamento di San Francesco di Assisi)

Banias, Cesarea di Filippo. È visibile l’apertura della roccia, l’antro della caverna che si credeva essere la porta degli inferi.

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Piccoli Pensieri (1)

Dania

Siamo fatti a Sua immagine e somiglianza e possiamo riconoscere che “Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente” quando ci facciamo Amore, quando da Lui impariamo ad amare, perché solo “dov’è carità e amore lì c’è Dio” e solo lì riuniti, attorno alla Sua Parola e alla Sua Mensa capiamo cosa vuol dire formare un solo corpo ed essere membra vive del Suo corpo. Gesù ci ha mostrato come si fa ad amare, ad essere amici, figli e fratelli, più di cuore che di sangue, perché il Suo Sacro cuore era immenso per poter contenere tutti i nostri, piccoli e a volte scleropatici.
Non ci resta che provare a rispondere umilmente alla stessa domanda, perché Lui non smette di porcela e noi possiamo darvi risposta con la voce e con la vita…scopriremo così ogni giorno di più chi siamo!!

28 Agosto 2023

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