Convertire all’incontro

XX domenica del Tempo Ordinario (A)

(Is 56,1.6-7 / Sal 66 / Rm 11,13-15.29-32 / Mt 15,21-28)

…rivestici degli stessi sentimenti di Cristo,
affinché diventiamo eco delle sue parole
e riflesso della sua pace.
Amen.

Immaginiamo d’essere parte di un popolo che può finalmente ritornare alla propria terra dopo un tempo di esilio. Proviamo pure a definire il tempo di questo esilio: cinquant’anni. Inutile sperare di trovare ogni cosa al suo posto, come quando s’era lasciata la propria terra. Come convivere con coloro che nel frattempo hanno occupato il suolo degli esuli che tornano in patria? E pure chi per lo stesso lasso di tempo ha provato a vivere in questa «terra di mezzo», si pone ora le medesime domande: tentare la coabitazione, andarsene nuovamente, difendere il suolo espropriato?

Siamo alla fine del sesto secolo o appena all’inizio del quinto secolo a.C. quando appare una nuova appendice (la terza) al libro del grande profeta Isaia. Si rimette mano all’opera per aggiungere parole profetiche che possano illuminare il momento preciso del ritorno del popolo di Dio dall’esilio. Su queste questioni appena evocate, incombe poi – non certo come un dettaglio – la dottrina dell’elezione. Il popolo di Dio – il popolo cioè che Dio s’era scelto ed eletto per manifestarvisi e farsi conoscere – è cresciuto nella convinzione di una necessaria e netta separazione rispetto agli altri popolo, qualsiasi cosa accada.

La dottrina dell’elezione, principio fondante della fede di questo popolo, per scrupolo di fedeltà a quel Dio unico che iniziavano a conoscere, portava in un certo senso con sé il rischio dell’esclusività o di un certo elitarismo. Parliamo chiaramente: il problema non è solo del popolo di Dio, non è solo una questione del popolo di Israele. La questione può riguardare ogni popolo, ogni persona, ogni cultura… perfino ogni religione.

La questione che sta al cuore delle letture odierne è molto seria e attraversa generazioni. Cosa significa dunque identificarsi in una cultura, in una religione, in usi e costumi di un popolo o di una terra? Ci si può identificare per dire appartenenza o si può rischiare anche di marcare separazione e diversità? 

In questo dibattito che -suppongo – accompagnerà l’uomo di ogni tempo e di ogni cultura, il profeta Isaia indica senza ombra di dubbio l’apertura come strada che Dio stesso chiede di percorrere al suo popolo in cammino. Lo sappiamo: non c’è solo un cammino di liberazione da una terra verso un’altra. Il vero cammino è piuttosto interiore: si devono lasciare terre pregiudiziali, terre che assomigliano a confini che possono presto diventare fronti, trincee, muri di separazione. Ci si deve dunque smarcare per definirsi? 

L’elezione di un popolo da parte di Dio non mi pare certo destinata a sottolineare differenze, privilegi, priorità o diritti. Dio sceglie, Dio elegge perché attraverso coloro che impareranno ad ascoltarlo e conoscerlo, si possa vedere incarnato (e quindi vissuto) il progetto stesso di Dio. Indubbiamente non è certo Dio – dice Isaia – che vuole vedere incarnato un progetto divisivo. Sarebbe piuttosto diabolico. 

Il testo del profeta Isaia che ascoltiamo nella prima lettura di questa domenica, insiste dunque sull’opzione apertura. Tuttavia Isaia indicherà chiaramente le condizioni per questa nuova appartenenza che va sotto il segno dell’apertura: «quanti si guardano dal profanare il sabato e restano fermi nella mia alleanza, li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera. I loro olocausti e i loro sacrifici saranno graditi sul mio altare, perché la mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli» (Is 56,6-7). Nel tempo dell’esilio il rispetto del riposo sabbatico fu un elemento decisivo per la salvaguardia della vita comunitaria e dell’identità ebraica. Ci sono precetti che il Signore ha dato al suo popolo che se rispettati, sono questi a salvare l’identità del popolo stesso. Facciamo un esempio contemporaneo? A cosa serve imputare ad altri popoli un’invasione di campo che potrebbe suonare come una minaccia, quando in materia di fede siamo noi stessi a non voler più accogliere l’invito di consacrare il giorno di festa come tempo dedicato all’ascolto della Parola del Signore e all’incontro con Lui nei riti propri di questa fede che è la nostra?

Nel brano di Vangelo di oggi – che se vogliamo è l’illustrazione più figurata delle riflessioni che stiamo già facendo – Gesù incarna inizialmente la convinzione del popolo a cui Egli stesso appartiene. Gesù sconfina e si ritira nella regione di Tiro e Sidone (l’attuale Libano, per intenderci). Egli sa bene che l’incontro con una qualsiasi persona di quella terra straniera potrebbe già rappresentare un problema religioso: parlare con i pagani (tutti coloro cioè che non credono nel Dio di Israele) costituisce una contaminazione, un’infrazione alla legge di purità, condizione questa unica e necessaria all’incontro con Dio.

La donna cananea invece ha già sulle sue labbra le parole e i titoli propri alla fede di Israele: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide!». Echi, come briciole, alle sue labbra.

Gesù stesso conosce il linguaggio del suo popolo con il quale ci si poteva  identificare: pecore se appartenenti ad un gregge, se si riconosceva in Dio un pastore; cani selvatici, lupi o volpi… se non si appartiene a questo popolo eletto. Ma la donna, saggia osservatrice, conosce bene la felice arte dell’addomesticamento, conosce perfino la pazienza di un cagnolino, conosce la generosità di chi seduto a tavola lascia cadere briciole. Briciole che non generano esclusione e che quindi – seppur in piccola quantità – sanno sfamare ogni desiderio. Basterebbero davvero le briciole se sapessimo ciò di cui stiamo nutrendo la nostra vita. Basterebbe davvero un briciolo di fede in più in quest’unico Uomo straniero – il Figlio di Dio – venuto nel mondo per aprirci gli occhi e per condurci ad una più gioiosa consapevolezza della Vita. 

Dal Vangelo secondo Matteo
(15,21-28)

In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola.
Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele».
Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».
Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.


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Piccoli Pensieri (3)

Arianna

Questo è forse uno degli episodi dei Vangeli che piú mi ha rimandato, nella pratica, la peculiare “composizione” di Gesù: umano e divino. Perché? Perché anche lui torna sui suoi passi, si apre all’ascolto e, di fatto, cambia idea. E questo è bello perché da il polso di come anche il figlio di Dio impari, umanissimamente, provando, sperimentando. Indicando una via che lui stesso, testandola, verifica e saggia, prova e rettifica. Non so quanto questa mia riflessione sia adesa all’autentico messaggio evangelico, ma a me questo frammento di realtà è parso illuminante.

22 Agosto 2023
Savina

Nel Vangelo di questa domenica incontro un Gesù diverso, un po’ strano nelle sue reazioni e per questo leggo il brano con più attenzione o, meglio ancora, mi faccio aiutare dalla “composizione di luogo”.
Ecco sono presente nella scena e ammiro il coraggio di questa mamma che il dolore e la disperazione le fanno superare tutti gli ostacoli (culturali, di genere, di appartenenza), pur di ottenere questa grazia.
Una fede immensa….
Nel mio lavoro ho conosciuto anch’io mamme che ho definito “leonesse” perché si sono battute per ottenere il massimo per i loro figli disabili, sapendo di ottenere risultati proprio per la fiducia nell’aiuto del Signore.
Come questa mamma, che ci dà una grande lezione di fede.
E Gesù?
Ho sempre fatto fatica a capire il suo comportamento in questa situazione.
Oggi però mi è venuto in aiuto, oltre alla riflessione odierna, il brano del profeta Isaia: “la mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli”.
Se solo potessimo riflettere e prendere consapevolezza di queste parole…
Allora anch’io cercherò di fare come la donna cananea, insisterò con il Signore perché ci doni veramente di essere consapevolmente “tutti” figli suoi.

21 Agosto 2023
Suor Regina

“…grande è sulla terra il numero delle madri di Tiro e Sidone che non sanno il Credo ma sanno il cuore di Dio…” ( E. Ronchi)

20 Agosto 2023

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