Quando scompare la notte?

(At 12,24-13,5 / Sal 66 / Gv 12,44-50)

Ad un certo punto del racconto evangelico di Giovanni, Gesù smetterà di compiere segni. Resta solo un dibattito con i capi del popolo che porterà alla totale incomprensione del suo messaggio. Improvvisamente, l’evangelista riapre un discorso riferito all’ascolto della Parola già rifiutata dai suoi uditori. Una tematica già annunciata all’inizio del Vangelo, nel prologo: Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. (Gv 1, 9-11). 

Perché riaprire un discorso riferito al messaggio e all’attività di Gesù quando visibilmente sembra che non ci sia più alcun margine di manovra? Perché la parola di Dio è proprio come quel seme gettato in terra. La sua efficacia è strettamente legata al terreno che la ospiterà. Se non porta frutto abbondante questo è già segno che il terreno o le condizioni per accoglierla non c’erano. A distanza di anni e di secoli dall’azione di Gesù noi ascoltiamo la medesima Parola e questa può ancora suscitare la nostra fede. L’insuccesso fu solo apparente. La morte del seme, il rifiuto della Parola è già giudizio di un mondo che ha rifiutato di ascoltare e di credere, e di un tempo in cui altri avranno la gioia di poterla ascoltare. E sarà proprio come il sole che sorge ogni giorno, a portare luce da qualche parte, mentre altrove è notte. 

Ciò che Gesù ora dovrà soltanto ribadire è il suo legame col Padre. Parole e opere non sono sue. Hanno la loro sorgente in quella relazioni filiale di Gesù con Dio, suo Padre. L’obbedienza di Gesù non fu ad un destino segnato dagli uomini che presto avrebbe avuto il sapore di una condanna, quanto a ciò che il Padre dice al Figlio. Gesù stesso è illuminato dalla Parola del Padre. Credere, vedere, ascoltare sono verbi che Gesù stesso ha vissuto. Mai si permetterebbe Gesù di chiedere qualcosa senza prima averlo vissuto in prima persona. Altrimenti sarebbe in tutto simile a coloro che caricano sugli altri pesanti fardelli che però essi non si vogliono portare. Per portare nel mondo il comando udito dal Padre, Egli stesso deve obbedire a questo comando. Credibilità, visibilità e udibilità del Vangelo restano così legati alla capacità stessa del Figlio di obbedire al Padre. 

In cosa dunque consisterebbe il rifiuto della Parola di Dio? Visibilmente nel rifiuto dell’altro, nel non ascoltarne il messaggio, nel non credere alle sue parole, nel non vedere in un incontro qualcosa di buono per la vita stessa che, per un gesto di accoglienza, potrebbe apparire già come eterna, già salvata. Rifiutare la Parola di Dio significa uscire da una relazione, da una vita che ha sempre bisogno dell’altro. Per amare e per essere amati. Fatta salva la relazione del Figlio con il Padre, non possiamo ignorare il fatto che il Padre stesso ha mandato il Figlio nel mondo a completare la rivelazione. Per quei figli che affermano l’esistenza di un solo Padre, la fraternità non può che essere il rovescio della stessa preziosa medaglia.

Un giorno un rabbino chiese ai suoi discepoli: «Come si fa a conoscere l’esatto momento in cui la notte scompare e comincia l’alba, quel momento in cui si deve ringraziare Dio e santificare il suo nome per aver creato la luce?».
Un discepolo disse: «Quando da lontano si riesce a distinguere una palma da un albero di fichi». «No», rispose il rabbino.
Un altro discepolo disse: «Io lo so! Quando da lontano si riesce a distinguere un cane da un capretto». «No», rispose il rabbino.
«E allora, dicci quando! Quando arriva il momento in cui dobbiamo ringraziare Dio e santificare il suo Nome per aver creato la luce?», supplicarono i discepoli.
Il rabbino allora rispose: «Quando da lontano, vedendo un uomo, lo riconosci come tuo fratello, poiché la notte che era nella tua anima scompare ed il tuo e il suo cuore sono pieni di luce».

O sole di salvezza, Gesù,
rifulgi nell’intimo delle menti,
ora che, passata la notte,
più gradito rinasce al mondo il giorno.
Viene il giorno, il tuo giorno,
in cui tutte le cose rifioriscono:
che noi pure ci rallegriamo
per essere, ogni giorno,
guidati dalla tua Parola.

Dal Vangelo secondo Giovanni (12,44-50)

In quel tempo, Gesù esclamò: «Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre.
Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo.
Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno. Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me».

Ti rendiamo grazie, o Dio,
che per mezzo del tuo Spirito;
Ti sei rivelato a noi nel Cristo,
in cui possiamo chiamarti «Padre».
Ti rendiamo grazie perché,
nell’ascolto della tua Parola,
specchiandoci nella tua grandezza,
abbiamo riconosciuto la nostra umana povertà.
Signore, non sappiamo pregare:
Di tutte le nostre povertà
questa è di certo la più opaca, la più scordala più muta.
E non sappiamo parlarTi perché
– alienati e distratti –
non Ti abbiamo udito parlare,
non ci siamo fatti attenti
al tuo intenso, scambievole, vivo e dinamico discorso
e ti abbiamo adorato come si adora un sasso:
monolito e immobile,
la cui marmorea perfezione dice solo distanza.
Il Figlio di un Dio cosiffatto
non poteva essere un uomo vero,
che piange lacrime salate,
che si sporca i calzari nella polvere,
che mangia e beve con noi e come noi.
E abbiamo patito la perenne tentazione
di disumanare il tuo Cristo e di fare della sua Cena
un rito che non ha più il calore intimo e dimesso
del nostro quotidiano sederci a mensa,
nell’umana amicizia.
E il tuo popolo…
non viene più a cena con Te.

(Adriana Zarri)


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Piccoli Pensieri (3)

M. Antonietta

Tutti noi, figli e fratelli, avendo ricevuto lo Spirito siamo chiamati ad ascoltare, conoscere, seguire, donare, custodire e testimoniare la nostra fede in Dio Padre ed in Te Gesù.
Tu Signore ci conosci e ci ami per quello che siamo per la nostra unicità.
Aiutaci a non perdere mai la speranza e donaci la forza per essere sempre sorretti e guidati dalla Tua mano, dalla Tua voce che ci parla attraverso le scritture, dal Tuo Pane condiviso ed a camminare nella vita quotidiana illuminati dalla Tua luce.

28 Aprile 2021
Dania

“Tu la Luce che rischiara, Tu la voce che ci chiama, Tu la gioia, che dà vita ai nostri sogni. Parlaci, Signore come sai, sei presente nel mistero in mezzo a noi; chiamaci col nome che vorrai e sia fatto il Tuo disegno su di noi… Con Te faremo cose grandi… “. Solo grazie a Lui e con Lui gli uomini possono fare cose più o meno grandi ed allora tutto può concorrere a dar gloria al Suo nome: immagini evocative, parole e canti. Per riscoprire che di Lui è piena la terra, se si hanno occhi che guardano ed orecchi chi odono.
Che il Signore ci aiuti a riscoprire tracce di Lui in ogni dove.

28 Aprile 2021

A pensarci è proprio vero che la grandezza sta proprio nella semplicità. La semplicità di un pastore amorevole che guida il suo gregge. Un gregge che è anche famiglia, un’unica e grande famiglia. Ci basterebbe “solo” riconoscerci tali, e forse è proprio perché ci sembra così strano che sia “tutto lí”, e ci arrovelliamo su come “essere bravi”, che non siamo ancora riusciti a fare, tutti insieme, la pace e collaborare come autentici fratelli.

28 Aprile 2021

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