Dove porta quella porta?

Lorenzo Pietrogrande, «Io sono la porta delle pecore», 2011
(At 11,1-18 / Sal 41 e 42 / Gv 10,1-10)

C’era un solo recinto e diverse greggi appartenenti ciascuna al proprio pastore. Nel medesimo recinto trovavano ricovero le pecore appartenenti a diversi pastori. Si erano organizzati così ed era pure una bella trovata. Non tanti recinti per ciascun gregge. Fatti due conti, era meglio organizzarsi così. La proprietà privata, del resto, è invenzione postuma e più moderna. Si metteva in comune anche il recinto per le pecore tant’è si sapeva che quando il pastore sarebbe arrivato lui avrebbe riconosciuto le sue pecore una per una e loro si rallegravano anche solo al sentirne la voce. Si rallegravano perché avevano capito bene che il pastore era lì proprio per portarle al pascolo. Anche gli animali si stancano di stare chiusi nei recinti.

E così ogni pastore si presentava alla porta del recinto e il guardiano apriva. C’erano anche i mercenari, cioè pastori che lavoravano per conto del pastore proprietario delle pecore. Recinto e guardiano stavano a difesa delle greggi per proteggerle da ladri e briganti. Non vedevano le pecore ma il latte e la lana, la carne da macello o da sacrificio… vedevano il denaro che ne poteva venire. Della Vita a loro non importava.

Al pastore, una volta riconosciute le sue pecore e fattosi riconoscere a sua volta, non resta che fare la cosa più urgente: spingere fuori le sue pecore per portarle al pascolo. Gli animali riconoscono la voce del padrone, è vero. Senza essere pastori o proprietari di greggi, chi possiede anche solo un animale domestico questa cosa la capisce benissimo. Ci sono suoni e parole chiave. In casa devo stare attento ad utilizzare la parola «Andiamo!». All’istante i miei due cani fremono e si mettono a correre verso il posto dove ci sono i loro collari e guinzagli. Troverete banale la similitudine canina per comprendere quella delle pecore. È qualcosa di disarmante questo riconoscimento vocale degli animali nei confronti di colui da quale dipende la loro sussistenza. 

A questo riconoscimento vocale ormai preferiamo l’altro, quello della tecnologia «tuttofare» e alle orme di passaggi umani in terra per tracciare la strada che porta verso l’altro – verso una comunione e una condivisione –  preferiamo le impronte digitali per consumare il mondo ormai a portare il mano. I desideri sempre più appagabili, l’attesa ridotta ormai a pochissime ore o giorni e non più a settimane o mesi. La vita è così pronta ad essere consumata più che donata. E ci illudiamo pure di vivere meglio o in pienezza.

A Gerusalemme c’era – e c’è ancora – la «Porta delle pecore», detta anche «Porta Bella». Era la porta più prossima alla piscina probatica, quella che in ebraico si chiamava Betsatà. Qui si raccoglievano le acque per la purificazione degli animali che poi venivano portati al Tempio per i sacrifici. Gesù si presenta lui stesso come «porta delle pecore» sostituendosi letteralmente a quella di pietre. Farà la stessa operazione quando parlerà del Tempio e noi ormai sappiamo chiaramente che stava parlando del suo corpo e non dell’imponente Tempio, fulcro della religione ebraica dell’epoca. Così come si definirà Luce del mondo proprio mentre per la Festa delle Luci il medesimo Tempio veniva rischiarato da grandi fuochi costantemente alimentati.

Sostituì all’imponenza e alla maestosità delle pietre la fragile debolezza dell’uomo mostrando tuttavia che questa creatura è assolutamente capace di compiere grandi cose quando la materia umana diventa ospitale al divino e all’altro che dell’umano sono assolutamente parti integranti.

Dalla porta delle pecore gli agnelli entravano per essere condotti al sacro macello. Di quelle pratiche c’è rimasto in testa un bel macello, una certa confusione: quell’idea che Dio vada placato e tenuto buono, magari imbrogliato o raggirato da qualche gesto religioso. E i profeti che da tempo gridavano: «misericordia io voglio e non sacrifici, la conoscenza di Dio più degli olocausti» (Osea 6,6). Venne per farci conoscere Dio. Disse presto che era Padre. Lo disse parlando di se come di Un Figlio. Consegnandoci il suo Spirito ci rimane addosso questo afflato divino – soffio, ispirazione e desiderio – di vedere gli uomini vivere insieme come fratelli anche se carne e sangue diranno sempre origini e provenienze differenti. Conoscere questo Dio, Padre di tutti è l’unico modo per evitare inutili sacrifici, per di più umani.

Chi passa attraverso Gesù – nostra porta – si troverà ad andare controcorrente, nella direzione opposta di coloro che spingono al macello vittime innocenti, vere supplenti della nostra poca voglia di donarci. Le pecore entravano dalla porta per andare al macello. Chi passa attraverso Gesù non imbocca la strada che porta al sacrificio di altri ma, in senso contrario, ci porta ad uscire da certe visioni ristrette per scorgere pascoli più ampi di ogni recinto: la vita che Dio ci offre e verso la quale siamo condotti è sempre provvida e abbondante. E ce ne sarebbe per tutti. Gesù è così quella porta che ci porta alla Vita. Verifichiamoci, facciamo discernimento per conoscere e comprendere se altri passaggi – magari epocali – o altre guide ci stanno portando nella stessa direzione.

Aprirsi e lasciare entrare l’altro, chiunque e qualunque cosa esso sia: lasciarsi impastare di cose, di mondo, di reale, fatti parte noi stessi di questo fiume di vita che ci convoglia. Se non esiste questa disposizione all’accoglienza universale, è poi difficile aprire una finestra per fare entrare Dio. Tutto, invece, il nostro essere deve farsi finestra, apertura, accoglienza, come un respiro profondo che invoca: ‘Si, venite voi tutte creature, riempitemi di voi e di tutto; e, in questo tutto, tu, Signore. Ti aspetto: vieni, Signore Gesù!
Uno è al di fuori della storia quando è al di fuori della propria umanità: sopraffatto, alienato, posseduto da uomini e cose che se ne impossessano senza entrargli dentro, farsi parte di lui come come invece si fanno parte di me i miei amici – uomini, bestie, cose – che sento carne della mia carne, terra della mia terra, erba della mia erba. Nel mio prato io ci cammino sopra, come se camminassi sulla vita; e la vita mi abbraccia da ogni parte. (Adriana Zarri, Un eremo non è un guscio di lumaca)

Tu, Signore,
quando dici: «Venite a me»
non è solo un ordine.
La tua Parola apre una strada
e ci dà la forza di percorrerla.
La tua Parola ci sospinge
non a destra e a sinistra,
ma avanti, verso un luogo
che si chiama eternità.

Dal Vangelo secondo Giovanni (10,1-10)

In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

Signore, siamo tutti ingannati,
tutti in balìa di briganti e rapaci:
ci si vergogna di dirci pecore
invece siamo ancora più degradati:
se tu parli di gregge
è solo perché vuoi significare 
una realtà di pace;
e di questo gregge veramente tu solo
sei il pastore che ci conduce al largo:
tu solo via e porta di libertà e di salvezza:
Signore, guardaci da tutti i ladri e i mercenari.
Amen.

(David Maria Turoldo)


Rimani aggiornato per ricevere i miei nuovi articoli




Piccoli Pensieri (1)

Dania

“Uno solo il pane che ci nutre, Uno solo il vino che ci disseta, Uno solo l’amore” ed una sola la speranza o il desiderio che ci dovrebbe abitare ed animare: essere docili pecorelle che ascoltano la voce dell’unico Bel Pastore, lasciandosi condurre a pascoli erbosi e ad acque tranquille. Tu la porta per cui passare, per trovare ancora Te: via, verità e vita per ciascuno e per il mondo intero.

26 Aprile 2021

Scrivi il tuo Pensiero

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


@