Non è solo un monte… ma l’inizio del regno

II domenica di Quaresima (B)

(Gen 22,1-2.9.10-13.15-18 / Sal 115 / Rm 8,31-34 / Mc 9,2-10)

Da alcune mattine la luna, più o meno piena, fa capolino in un punto preciso della finestra. La sua luce passa tra i rami di un albero e disegna sagome a terra. C’è già una discreta luce grazie a questa luna e cammino dalla stanza al mio studio senza ricorrere alla luce artificiale perché proprio non serve. È bello anche così. Al chiaro di luna.

Il Vangelo di oggi immediatamente ricollocherà diverse persone in un luogo preciso. Il passaggio al monte Tabor è uno dei luoghi del Pellegrinaggio che non si dimenticano affatto. A parte il folclore chiassoso dell’attesa ai piedi del monte stesso, in mezzo a gadget, souvenir e spremute di melegrane o creme di mango; a parte quello sfilare ininterrotto di minivan che caricano e portano a destinazioni i pellegrini; a parte perfino qualche scena di chi rivendica precedenza sulla salita; a parte la salita stessa fatta con mezzi e non a piedi; a parte perfino quell’enorme basilica che così goffamente cerca di raccontare l’evento attraverso le pietre… Pietre che sembrano perfino sfidare o tradurre quella strana idea di Pietro, di costruire tre tende. Le due torri-campanile laterali come fossero Mosè ed Elia; al centro – un unico arco, un portone e un’apertura a trifora sovrastante… illustrazione teologica – Gesù stesso. E motivi ornamentali e geometrici come ad indicare quel dialogo dei tre. Eppure senti subito che tutto questo non dice granché. Ciò che Lui dice non lo dice né lo direbbe così. Siamo noi che pensiamo di potenziare un messaggio materializzando edifici e strutture… mentre, forse, lo stiamo impoverendo, rendendo ancor più difficile da udire. 

Giunti sul Tabor, più che in quella basilica – chi salirebbe su un monte per desiderare di starsene rinchiuso là dentro? – m’è sempre garbato di più sedere all’esterno, tra resti di altri edifici già crollati o demoliti, dopo aver dato uno sguardo alla pianura sottostante. Il cielo non è più solo sopra la testa ma sembra scendere ad altezza delle spalle. Poi il verde e il profumo degli alberi di pepe rosa, dei cipressi, delle immense buganvillee. La polvere sollevata dei minivan in manovra è già lontana. Ci si siede sulle pietre ad ascoltare il silenzio. Seduti, ad ascoltare il Vangelo di oggi. 

Salire sul monte era come avere appuntamento con Dio. Vi saliva Mosè per parlargli faccia a faccia. Sembrava che avessero imparato a capirsi, a comprendersi, e provavano a spiegarsi l’uno le ragioni dell’altro: Mosè gli portava lo sconforto del popolo e Lui rispondeva con ordini e comandi precisi. Ma non sapeva che, quando scendeva dal monte, la risposta era già sul volto. Guardando a Lui diventava raggiante e il suo volto sembrava meno confuso e turbato di quand’era salito. 

Elia salì sul monte per cercare nuovamente quel Dio che in realtà non lo aveva abbandonato un attimo e che s’era fatto presente perfino in un corvo e nelle focacce che dovette mangiare – fu un comando e non solo un’offerta – perché il suo cammino di uomo si annunciava ancora lungo. E poi, sul monte, a cercare, per esclusione, la presenza di Dio. Per esclusione, appunto: scartando cioè tutte quelle manifestazioni grandiose e potenti. Così Elia capì che Dio non era nell’uragano o nel fuoco ma piuttosto nella voce di una brezza silenziosa. Siamo noi a pensare che Dio debba avere un vocione per farsi sentire… ma quando pensiamo così noi sentiamo solo tuoni e lampi. La sua presenza incomberebbe dunque come qualcosa di minaccioso. 

Sul monte vi salì Abramo perché voleva capire cosa pensasse Dio della vita. E dei suoi figli, pur non chiamandolo ancora Padre. Lui, Abramo, sapeva di essere padre. Finalmente. Forse era Dio stesso a voler interpellare Abramo quanto all’amore. Il primo dei comandamenti non è una lotta per decidere se amare di più dio (non so bene quale, appunto) o un figlio (quello più facile da amare come il più difficile da accudire). Amare di più questo invece di quello. A piano terra, ai piedi del monte, già ne erano morti di figli e di fratelli… per gelosia o per invidia. Dio, per altro, non s’è mai sognato di provare con la morte di un figlio la sua superiorità o la sua forza. È che qualcuno ha cominciato a pensarlo, a dirlo, magari anche a predicarlo. Lo si pensa ancora. Lo si crede. Ci si piega, ci si sottomette. Ma Lui, credo sempre di più, non ci ha mai pensati strisciare ai suoi piedi, tremanti di quel “timor di Dio” che invece è solo paura di Lui. E dove c’è paura difficilmente c’è terreno perché l’amore cresca. Ci saranno piuttosto fragili dipendenze, sottomissioni imposte, poca libertà, mutismi, rassegnazioni. E nemmeno una legittima o naturale ribellione da figli.

Sicuramente è meglio per noi che Dio non ci si sveli per quello che è. Non saremmo in grado di comprenderlo. Né di gustarlo. A volte ce ne usciamo con preghiere che chiedono di vederlo in tutto il suo splendore. Poi si brancola nella nebbia tra alcune cose che accadono, e tra cose che proviamo a balbettare su di Lui o direttamente a Lui. Certo è che da quel giorno in poi, scesi dal monte, Gesù parve loro più feriale che mai, più uomo che mai… fino alla morte. 

Faticheremmo a sostenere la Luce di Dio in tutto il suo bagliore. Gesù stesso, che aveva molte cose da dire, non le disse tutte in una volta perché sapeva che i discepoli non sarebbero riusciti a portarne il peso. Scelse questa via umanissima di dosare nel quotidiano tutto il suo Essere, tutto quello che Egli desidera farci sapere di sé… e di noi. E scelse di farlo passo passo, giorno dopo giorno, dalla nascita alla morte… come un racconto evangelico che, di ascolto in ascolto, ci farà venire alla Luce.

Ci sono circostanze in cui Dio sembra svelarsi in modo terribile e grandioso… abbiamo cercato a lungo in quell’ambito, in quella direzione le cause o e le risposte ai problemi dell’uomo. Mai come in questi tempi stiamo imparando a cogliere quelle apparizioni dimesse, povere, casalinghe, senza spettacolo né gloria. Per gli uomini quel monte sarà solo una montagna, un panettone di terra alto appena 500 metri sul livello del mare, ma per Gesù era l’inizio del regno di Dio. In ogni sua Parola, che possiamo decidere di ascoltare, è nascosto un principio, un inizio.

Dio, sei lo splendore dei fiori e delle stelle,
la bellezza del volto del fanciulli,
la gloria del creato:
dona anche a noi facce luminose
tu che sei la luce dello stesso pensare,
e anche i nostri corpi grondino Luce.
Amen.

(David Maria Turoldo)

Rolf Lislevand, Arianna Savall, Marco Ambrosini, Corrente, Nuove Musiche

Dal Vangelo secondo Marco (9,2-10)

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli.
Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

Signore,
noi sappiamo che non possiamo vederti;
eppure mostrati a noi.
Copriti il viso, vela il tuo splendore;
nascondi per terra la tua gloria;
perché possiamo scorgere qualcosa di Te.
E poi solleva il velo poco a poco:
adagio per non farci troppo male,
per non farci morire,
come morivano i nostri padri
e noi no perché abbiamo imparato a guardarti, uomo.
Ma se ti mostri Dio
noi pure restiamo tramortiti
e non sappiamo parlare.
Del resto, cosa diremmo mai?
Sappiamo bene
che sei al di sopra di ogni possibile parola;
perciò mostrati a noi
e dacci il dono supremo del silenzio.

(Adriana Zarri)


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Piccoli Pensieri (4)

Gianna

Ho rivissuto, passo dopo passo del tuo commento, il mio essere al Tabor. E pure io, visitando tutti i luoghi del pellegrinaggio, davanti alle chiese costruite dove si presume che Gesù abbia compiuto, fatto o detto, ho sempre pensato che quegli edifici non c’erano a quei tempi. E allora, quando era possibile, mi ritrovavo a fare qualche passo da sola, un po’ distante dai luoghi di culto, pensando che forse stavo camminando dove aveva camminato Gesù, e ricordando i vangeli riferiti al posto. E questo per me era più profondo. Anch’io mi sono chiesta tante volte cosa vuol dire risorgere dai morti. E in modo molto terreno, io credo che si vada nella terra promessa, ma Gesù, i nostri cari, le persone amate, sono risorte nel nostro cuore, e per questo sono sempre vive, perché vivono in noi, non le vediamo, ma amandole non moriranno mai.

28 Febbraio 2021
Pat

Da qualche tempo all’ascolto del vangelo resto stupita. Non si tratta solo di traduzioni lievemente diverse, ma di interi pensieri che mi suonano nuovi. Come “bianche come nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle”, oppure l’ultima frase “chiedendosi cosa volesse dire risorgere dai morti”. Non so se si tratta solo del fatto che sono concetti sui quali nessuno si ferma o forse davvero una volta venivano stralciate dal discorso. Mi coglie, al leggerle, una sensazione di quotidianità, di umanità che non avevo apprezzato fino ad ora nel racconto del vangelo. Ci leggo la normalità di Marco, il suo voler raccontare non una storia aulica di trionfi e miracoli, ma la storia di un’esperienza di tutti i giorni vissuta da uomini e raccontata con parole ed immagini umane.

28 Febbraio 2021
Roberto

Grazie!

28 Febbraio 2021
Stefania

“Non farti ingannare. La fede non è fermarti là sul monte a contemplare lo splendore abbacinante delle vesti del Signore, come la religione spesso sembra fare.Bisogna scendere da quel monte e seguire il Maestro su un altro monte…”
don Sergio

28 Febbraio 2021

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