Dal “Non uccidere” al dare vita

Josefina De Vasconcellos, Riconciliazione

Venerdì – Prima settimana di Quaresima

(Ez 18,21-28 / Sal 129 / Mt 5,20-26)

«Non basta non fare il male. È bene fare il bene». L’aforisma francescano è ormai nel cuore di tanti o sulla bocca di molti. Ed è pure bene che questo aforisma ci tenga compagnia. Nella vita quotidiana ci sono occasioni che si presentano quasi spontaneamente nelle quali ci succede di richiamare al cuore queste parole.

Questa simpatica formula sta quasi lì ad illustrare un concetto religioso molto presente: quello dell’obbedienza legalistica. In fondo in fondo, a fondamento del credere più comune, noi siamo quelli del «rubato non ho rubato, ucciso non ho ucciso… male non ne ho fatto ad alcuno». E dunque ci giustifichiamo in fretta smarcandoci da tutti coloro che compiono crimini vistosi dei quali, in modo spudorato, si parla poi per mesi e mesi sui social, sui giornali e in televisione.

Il velo pietoso da stendere, oltre che un modo di dire, era quasi un segnale convenzionale che imponeva rispetto e silenzio. Sui crimini umani oggi invece fioriscono trasmissioni e indagini pubbliche. È il pubblico a volerle, per passare un po’ delle lunghe serate ora che non possiamo uscire la sera. È il pubblico a voler indagare insieme a chi lo fa per professione. È il pubblico che, senza saperlo, diventa complice morboso di un male che non gli è caduto sulla testa, ma semplicemente lì accanto. La televisione, per chi non lo sapesse, manda in onda e tiene in vita programmi a secondo dello share, dell’indice di gradimento, dell’auditel. Il fiorire di trasmissioni che amplificano il cammino delle indagini e della giustizia dicono che sono ancora molti gli spettatori.

Ma non basta essere spettatori. Non basta non essere coinvolti direttamente in crimini e ingiustizie. Occorre superare, dice Gesù, la giustizia di scribi e farisei che ragionano proprio a partire dal principio del non aver fatto il male, del non aver tolto la vita ad alcuno e di aver osservato quei comandi che si insegnano fin da bambini.

Dio non ha mandato nel mondo il suo Figlio per condannare il mondo, ma perché il mondo creda per mezzo di Lui. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. (Gv 3,15) Non è dunque venuto per insegnarci a non uccidere. Si da per presupposto che questo è sempre bene non farlo anche se il racconto biblico non è ingenuo e ci sconcerta sempre: accanto alla bontà di Dio che, fin da principio, da forma alla Vita, tra le stesse pagine racconta dell’esperienza del male domestico e fraterno. I due fratelli più celebri al mondo, Caino e Abele, stanno lì a perenne monito di quanto questa possibilità non sia così remota. E per cosa poi? Gelosia e invidia? Molto probabilmente. 

Purtroppo, come una beffa, la morte sarà l’umano esito anche della vita terrena di Gesù di Nazareth. Eppure il Figlio di Dio è venuto nel mondo per dare la vita, per aggiungerne a chi si sentiva perduto, privo di speranza, senza alcuna chance. La sua missione è chiara fin da principio ed è ispirata a pagine della Scrittura che ogni non solo interpreterà ma prenderà come suo programma di vita: «mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore, il giorno di vendetta del nostro Dio, per consolare tutti gli afflitti, per dare agli afflitti di Sion una corona invece della cenere, olio di letizia invece dell’abito da lutto, veste di lode invece di uno spirito mesto». (Is 61,1-3)

Una volta arginato il male con l’osservanza del comando “Non uccidere” noi praticamente finiamo per sentirci apposto. E sarebbe come costruire una diga per contenere la violenza delle acque senza sapere che periodicamente la diga va svuotata perché altra acqua si andrà ad aggiungere a quella già contenuta nel bacino.

In questo senso trovo geniale e molto precisa la formula con la quale ci riconosciamo peccatori all’inizio della celebrazione eucaristica. Certo, ora la nostra attenzione si concentra attorno al fatto che dobbiamo far diventare mnemonico quel «fratelli e sorelle». Lo impareremo e non è grave se ancora ci sfugge la correzione. Manterrei invece un accento costante alla progressione crescente del riconoscimento delle colpe: pensieri, parole, opere e… omissioni. Verrà dal rigore latino? Verrà dalla teologia? Sta di fatto che c’è indicato proprio un crescendo di gravità che culmina nell’omissione… di bene! Gesù è perfino disposto ad attendere un attimo se ai piedi dell’altare ci ricordiamo di aver omesso una riconciliazione, un passo verso l’altro. L’omissione del bene chiede un immediato recupero, una pronta soluzione che diventa più urgente che fare un’offerta a Dio, anche se si trattasse di un tempo in cui stiamo in chiesa a lodare e ringraziare Dio. 

A proposito poi di violenza verbale, a cui anche Gesù fa riferimento quasi a lasciar intravedere in essa proprio l’origine della violenza e del male, per esatto opposto di parole benedicenti che creano e danno vita, ho trovato interessante – qualora si desiderasse approfondire – un libro di Filippo Domaneschi, Insultare gli altri. 
«Gli insulti rappresentano il lato oscuro del linguaggio. Sono un fenomeno virale nelle conversazioni quotidiane, nel conflitto politico e nei social media. Studiare come e perché insultiamo può aiutarci a capire qualcosa di più del modo in cui concepiamo il mondo e le persone che ci circondano. Quasi tutte le lingue possiedono un arsenale di insulti che variano per quantità, contenuti e gradi di volgarità.  La lingua parlata merita attenzione in tutte le sue forme. Chi si occupa di linguaggio deve indagare tutte le possibilità espressive del linguaggio umano. Esaminare gli insulti può aiutarci a capire».

Signore,
le tue misericordie non sono finite,
non sono esaurite la tua compassione.
Esse si rinnovano anche questa mattina
perché grande è la tua fedeltà.
Manda su di noi il tuo Spirito santo,
ci doni di superare l’umana giustizia
con un supplemento di amore gratuito e generoso.
Amen. 

Dal Vangelo secondo Matteo (5,20-26)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai”; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinèdrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.
Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!».

[…] Prima di considerare il mistero eucaristico,
lasciaci, [Signore] considerare questo semplice
e dolce “mistero” umano della mensa,
che tu tante volte
hai voluto condividere con i tuoi amici.

L’Eucaristia è il sacramento della tavola,
così come la tavola
è il sacramento della nostra amicizia.
Perciò, prima di farci il dono dell’Eucaristia,
facci, Signore, il dono della cena:
della semplice mensa degli uomini,
della condivisione dell’amore e dei beni,
della cordialità del pacato discorrere
e del calore del volersi bene.

Dacci di sapere cenare in amicizia […]
Donaci amore per invitare amici,
ospitalità per servirli,
cordialità per discorrere con loro,
gioia per mettere la tovaglia bella,
letizia per versare il vino dolce.

E fa’ sì che in ogni pranzo e in ogni cena
avvertiamo la tua visibile presenza,
ospite sempre invitato, amico sempre amato,
nostro pane, nostro vino,
nostro banchetto eterno.

(Adriana Zarri, Mensa umano mistero)

Safet Zec, Tavola imbandita

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Piccoli Pensieri (4)

Savina

“Pietà, pietà cuori duri,
pietà per l’uccello migratore
che ha perduto un’ala in volo.
Pietà per l’orfano gitano
che s’è giocato a carte
sella e cavallo
suicida in una prigione.
Pietà per il giovane Nessuno
ucciso in Cina
o in qualsiasi altro luogo
clima razza condizione.
Pietà per chi muore all’impiedi
dentro una camera d’ affitto.
Pietà per chi cade
pietà per chi si lascia cadere.
Pietà, pietà cuori duri,
voi che siete sempre seduti
e apprendete dai giornali
la morte degli altri.”
Raffaele Carrieri
Quando ho letto questa poesia per la prima volta è stata come una mazzata “sui denti” come si suole dire…
Ci ammantiamo di perbenismo, pronti a dire che nulla abbiamo fatto di male, ma neanche di “bene” preferendo girare la faccia dall’altra parte per non essere coinvolti come nella parabola del buon samaritano, o vantandoci di come siamo bravi come il fariseo davanti all’altare….
… in pensieri, parole, opere e omissioni… riflettiamo!
Pietà, pietà cuori duri…sulle miserie altrui, che potrebbero essere nostre…

26 Febbraio 2021
Emilia

In questo tempo sospeso, come lo chiamo io, quando pranziamo in famiglia senza ospiti, nei nostri occhi si legge la tristezza di non poter avere gli amici con noi, quegli amici che invitavamo con anticipo o semplicemente quel conoscente o vicino che bussava alla nostra porta a quell’ora.

26 Febbraio 2021
Emanuela

Ricordo di aver letto un racconto che diceva più o meno cosi: Un uomo si prese tanto in Paradiso al Signore e dice con orgoglio: “Guarda Signore, le mie mani come sono pulite!”
E il Signore risponde: “Si, ma sono vuote!”

26 Febbraio 2021
Pat

Ecco, la cosa che più mi manca in questo anno è il cenare con gli amici, preparare per loro un menù e godere della compagnia, dello scambiarsi le opinioni e le esperienze. Mi manca, dopo che se ne sono andati, il commento con mio marito: bella serata, e il ricordare le frasi ora dell’uno ora dell’altro, riassaporando lo stare insieme. Che grande desiderio di poter ricominciare a dire “venite a cena da noi stasera?”. Che bella invenzione l’eucarestia, incontrare gli altri e l’Altro alla cena del pane e della parola.

26 Febbraio 2021

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