A come ascoltare-amare: così fece!

Categoria :Omelie
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Data :4 Novembre 2018

XXXI domenica del Tempo Ordinario

(Deuteronomio 6,2-6 / salmo 17 / Ebrei 7,23-28 / Marco 12,28-34)

Se volevi amare Dio, due erano i modi. E due i luoghi per essere sicuri di fare la cosa giusta e gradita a Dio. Primo: il Tempio, il grande Tempio di Gerusalemme. Oggi resta solo quel «Western Wall» (quello che noi chiamiamo il «Muro del pianto»). Enorme già quel muro. Sufficiente per immaginare l’imponenza di ciò che quel basamento doveva sostenere. Unico il Tempio: chi provò a costruirne un altro – i Samaritani – attirarono su di sé tutte le antipatie del caso. Al Tempio prima o poi ci si doveva andare, se non ci potevi andare ogni anno. E ogni giorno un gran mercato. Lecito. Normato da leggi. Normato dalla Legge, quella di Dio. Una «sacra macelleria», con tanto di sacerdoti addetti alle offerte di animali di ogni specie. Sacrifici e olocausti. Offerta totale da bruciare per Dio. Oppure offerta da condividere tra Dio e i suoi sacerdoti.
Lui, Gesù, ci andava al Tempio. Vi si avvicinò pian piano, preferendo i suoi portici, il perimetro più esterno dove ci stavano proprio tutti. Separare non era la sua ragione di vivere. Al Tempio invece si procedeva per separazioni che parevano accertare un crescendo di sacralità. Al cuore del Tempio, il Santo dei Santi. Quel giorno – quando rovesciò banchi dei cambiavalute e liberò animali in vendita per i sacrifici – lo conoscono in tanti anche oggi ma senza sapere il motivo profondo di quel gesto, quel giorno non se la prese con la Legge, quella di Dio, perché diceva di non essere venuto per abolirla. Non si dava pace per quella pratica di supplenza, di sostituzione, questa storia che bisogna sempre trovare un «capro espiatorio». Lui invece disse – come sua madre – «Eccomi!». Riassunto chiaro di quanto leggeva e meditava quotidianamente: «Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto. Non hai chiesto olocausto e vittima per la colpa. Allora ho detto: Ecco, io vengo. Sul rotolo del libro di me è scritto, che io faccia il tuo volere. Mio Dio, questo io desidero, la tua legge è nel profondo del mio cuore» (dal salmo 39).
Non la capiscono: non serve offrire qualcos’altro o qualcun altro. Occorre offrire se stessi. Lui lo fece. Ogni giorno. Fino alla fine e una volta per tutte. Per questo lo chiamano «Agnello di Dio»: l’ultimo sacrificio. Non al Tempio ma nel Cenacolo e sulla Croce. A proposito di quel giorno al Golgota, al Calvario, qualcuno tentò in extremis di affermare che mentre saliva al patibolo, venne sostituito da un sosia, da qualcuno costretto a prenderne il posto. Ma nelle parole pronunciate sulla croce lo possiamo ancora riconoscere.
Fu una scoperta. Lo dovette capire da solo, con tutta la sua mente, con tutte le sue forze, con tutta la sua anima che per amare suo Padre doveva fare quello che suo Padre fa con tutti i suoi figli: amarli! Amare il Padre era amare i fratelli. E non disdegnò di chiamarli «fratelli». Amici. Mai «servi». Il servo era Lui. Non provava vergogna a stare nell’impasto. Lui, non si separava perché era il Santo dei Santi.
Fu una scoperta. Lo dovette capire che cosa voleva Dio. Troppo spesso pensiamo a Gesù come Colui che sa già la parte che deve recitare. Uomo diventò per ciò che patì. Dove imparò? Dove scoprì?
Più che il Tempio preferiva frequentare l’altro luogo e pregarlo nell’altro modo: la sinagoga la frequentava assiduamente. I Vangeli lo dicono spesso: entrò di sabato nella sinagoga. Come era suo solito. Preferiva l’ascolto delle Scritture piuttosto che i sacrifici sostitutivi. Preferiva parlare con la Parola: suo cibo era proprio quello. In ascolto. Sempre. Niente di fuori dal normale per un ebreo, sebbene Lui era un ebreo marginale. Lo sanno, lo sa che il primo dei comandamenti è «Shema Israel». Ascolta, Israele! Per questo prediligeva la Scrittura. Ne fu innamorato da sempre. Anche Lui – come noi facciamo ancora oggi – diceva a suo Padre queste parole: «Quanto amo la tua legge, Signore; tutto il giorno la vado meditando. Il tuo precetto mi fa più saggio dei miei nemici, perché sempre mi accompagna […] Tengo lontano i miei passi da ogni via di male, per custodire la tua parola. Non mi allontano dai tuoi giudizi, perché sei tu ad istruirmi. Quanto sono dolci al mio palato le tue parole: più del miele per la mia bocca. Dai tuoi decreti ricevo intelligenza, per questo odio ogni via di menzogna. Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino» (dal salmo 119).
Un giorno toccò a Lui di leggere. E di commentare. Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore» (Luca 4,16-19) Riavvolse il rotolo e disse che da quel giorno quello avrebbe fatto. E cosi fece.
Capì che ascoltare la Parola di Dio era la Legge. Era il comando. E il comando parla di amore. Ma si può comandare l’amore? È proprio degli amanti ascoltarsi e dare gioia all’Altro nel fare ciò che l’Altro desidera. E cosi fece.
Non restò mai incartato tra le pagine, non inciampò mai in uno di quei filatteri. Li portavano, quei fili a penzoloni appesi in vita come un leggero fastidio, una serie di fili che al sentirli o al toccarli dovevano richiamare alla mente i numerosi precetti. Me li stringo in vita, li tocco con le mani ogni tanto, ne sento quasi l’impiccio perché troppo grave sarebbe dimenticare i 613 – seicentotredici! – precetti del «devi» e del «non devi». Ma spesso inciampiamo nei cavilli, restiamo ingarbugliati e trovare il bandolo della matassa non è affatto semplice. La via più semplice per uscirne – paradossalmente – sembrava proprio quella di aggiungere altri precetti. «Non ucciderai» era il comando. Ma se per mangiare carne devo uccidere un animale… allora? E allora ti do le regole per come uccidere, per come macellare… «Non ucciderai»… ma se mi entra il ladro in casa… legittima difesa? È solo un esempio per spiegare come da un comando ne possono derivare molti altri. È solo un esempio per capire come si possa arrivare a tanti precetti.
Se lo chiedevano ovunque, allora come oggi. «Qual’è il primo di tutti i comandamenti?». Fu uno scriba a chiederglielo. Ed è il Vangelo di oggi. Intendiamoci bene: è una cosa seria! Non è pignoleria. Non è che non avessero altro a cui pensare. Da quella risposta tutto dipende, tutto sta appeso o tutto crolla. Altrimenti la vita non regge. Se lo chiedono. Ce lo chiediamo: «Da cosa dipende la Vita? A chi dare ascolto? A chi obbedire? Chi amare?»
A secondo di come rispondi a quella domanda ne va di Dio, ne va dell’uomo, ne va del vivere insieme (che sia Chiesa o comunità civile, ma sempre vivere insieme resta!). E non è detto che su queste tre cose ci si intenda anche se poi diciamo insieme «Credo in un solo Dio». C’è davvero di che ingarbugliarsi, di che inciampare e scandalizzarsi. Per questo preferiamo ancora dividerci tra come quelli che amano il prossimo perché vale di più di tante preghiere o quelli che rifugiano in preghiera col rischio di non vivere. Lui prese i due comandi e li lego assieme. Indissolubilmente, per sempre! Ciò che era diviso (amore di Dio e amore del prossimo) e genera(va) interminabili disquisizioni, d’ora in poi è Un solo comandamento.
Lo scriba che sostenne pacificamente questo colloquio con Gesù – diverse furono le intenzioni di molti altri scribi quando lo interrogavano – ne uscì consolato da quella disquisizione. Chissà quante volte avrà discusso con amici o rivali e ogni volta quella strana sensazione di uscirsene con le idee ancora più confuse. Quel giorno ricevette una consolante conferma: «Non sei lontano dal Regno di Dio». Vengono in mente le Sue parole quando diceva: «Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta». (Matteo 6, 31-34)
La domanda lascia posto alla presenza, la ricerca di verità trova riscontro in quello stare a colloquio con il Maestro che – unico tra tutti – si lascia interrogare (non era ammesso che un Maestro venisse interrogato!). E se anche noi cercassimo di stare più a colloquio con il Maestro? E se anche noi stessimo un poco più curvi sulle Scritture? E se anche noi, più che perderci in tante questioni che è sempre un po’ come annegare in un bicchier d’acqua, ci (ri)prendessimo a cuore la nostra ricerca personale del regno di Dio? Chi vuole giocare a questa strana caccia al tesoro, deve solo dire: «Eccomi!»


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