Su due mondi diversi?

Martedì – V settimana di Quaresima

(Nm 21,4-9 / Sal 101 / Gv 8,21-30)

Per il fatto di avere la parola, di essere cioè delle creature parlanti, crediamo facilmente che tutto questo basti per vivere. Per il fatto di avere la Parola (si noti la maiuscola), di essere cioè dei cristiani, crediamo similmente che questo basti per essere in comunione. Per comunicare. Eppure spesso, anche nel quotidiano delle nostre case, sentiamo quanto la parola possa essere fonte di equivoci. Anche se si parlasse la stessa lingua. Anche se – direbbe san Paolo – parlassimo tutte le lingue degli uomini e degli angeli.

Di non comprendersi potrebbe succederci in un paese straniero, con gente che non parla la stessa lingua e magari con la poca propensione che potremmo avere alle lingue straniere. Così, quando palando in inglese vorresti un pollo e invece hai ordinato una cucina. Si impara, per sopravvivere, un vocabolario minimo. La lingua madre invece di affinarsi, il nostro vocabolario invece di essere un tesoro di vocaboli e sinonimi, si impoverisce sempre più a vista d’occhio. Diventiamo sempre meno capaci di esprimere un pensiero, un sentimento, una gioia e un dolore. Lasciamo per lo più spazio a parole di altre lingue che pretendono di diventare linguaggio universale. Mi perdoneranno quelli che non ne possono più (lo faccio per mantenere un aggancio esemplificativo col nostro quotidiano), oggi siamo anche nell’epoca delle sigle e degli acrostici. Piuttosto che dire «Didattica a Distanza», si dice DAD e tutti – disgraziatamente – sanno cosa significhi e di cosa si stia parlando. Gli inglesi però, ascoltandoci sentirebbero in quel suono e leggerebbero in quelle lettere la parola «papà». 

Ci sono parole che impariamo per sopravvivere. Acqua, water, eau, wasser… pane, bread, pain, brot… se hai sete o fame con questo vocabolario internazionale minimo, dovremmo cavarcela. Fino a qualche tempo fa, chi partiva per un viaggio all’estero, forse portava con sé un piccolo vocabolario bilingue tascabile. Moderni traduttori e applicazioni sui cellulari, li hanno soppiantati e traducono ormai tutto per noi. A cosa serve studiare (conoscere, approfondire, riflettere, credere) se tanto la tecnologia, ormai, fa tutto per te? Bella domanda! Studiare (o almeno leggere, dai!) la Divina Commedia, l’Eneide, l’Odissea, la Bibbia, i Promessi Sposi, i fratelli Karamazov? Basta ormai pigiare un tasto e il mondo è alla nostra portata, ai nostri piedi come quella tentazione che raggiunse anche Gesù nel deserto. Ma se la «fame» diventa «fama»… il mondo ti ha già divorato! Ci sono tempi e relazioni che sono aridi… e devi per forza scavare per trovare acqua o guardare il cielo per trovare pane. Dove acqua e pane non sono più soltanto alimenti basilari. Diventano simboli di qualcosa che va ben oltre il mangiare.

Proviamo a leggere il Vangelo di oggi proprio alla luce di questo incredibile fraintendimento che, a pochi giorni dalla Pasqua, s’è creato tra i farisei e Gesù. La sua morte in croce non ha origini divine. Non è il Padre che ha voluto. Né la morte né la croce. E questo è il più grande fraintendimento della fede: credere che Dio abbia già tutto scritto, tutto deciso, tutto prefissato e noi saremmo solo esecutori (disobbedienti) di comandi, protagonisti o comparse di una recita a copione. Che vita sarebbe? Che fede sarebbe? Non ci sarebbe spazio alcuno per il dialogo, il confronto, la conoscenza, la libertà. Potremmo perfino essere muti: non servirebbe affatto parlare.

È veramente sorprendente questo grande scontro con i farisei nel quale ormai Gesù si trova. E non compresero, mentre cercavano di metterlo a morte, che Egli era in mezzo a loro per dare anche a loro la vita. Più volte lo disse di essere venuto perché avessimo la vita in abbondanza. Non una vita che sopravvivere: pane, acqua. Denaro per fare quello che vuoi. Il grande fraintendimento mondano e mondiale sta proprio tutto qui. Pensare che vivere bene, benissimo sia avere molto, moltissimo. Senza più domande… se non ogni tanto – dietro l’angolo – al sopraggiungere della morte o di una separazione.

Gesù, la Parola di Dio fatta carne, è ancora alla ricerca di un dialogo con l’uomo. Imparandone il linguaggio (fatto di parole e gesti, si capisce!) Gesù ci assicura che potremmo intenderci anche tra di noi, vivere come fratelli e sorelle. Dare da mangiare, dare da bere, dare un vestito, fare una cura o visitare qualcuno che è solo… questo è il linguaggio di Dio e chi lo parla dice quel nome di Dio che non ci sarebbe nemmeno bisogno di dire, tanto sarebbe evidente e manifesto. 

Chi sei? Da dove vieni? E dove vai? sarebbero parole-domande da tenere sempre in tasca. Per capirci meglio. Per conoscerci meglio. Per spiegarci meglio. Non sono domande per chiedere i dati anagrafici. Questi si chiedono in modo più semplice su fogli prestampati o su campi o caselle da riempire: nome, cognome, indirizzo. Quelle domande che affiorano tantissimo soprattutto nel Vangelo di Giovanni e magari anche nella vita quotidiana, scavano la relazione con se stessi, con il passato e con il futuro. Quelle domande riguardano la Terra e il Cielo. Riguardano me, noi e Dio. Com’è vero che io esisto, com’è vero che noi esistiamo, com’è vero che con quel Io-sono Dio s’è rivelato ai nostri padri prima ancora di farsi conoscere come Padre che perdona, come Pane che nutre, come Luce che illumina, come Acqua che toglie la sete dell’uomo.

I farisei ormai avevano acceso la diatriba mediante domande che non erano una sincera ricerca di dialogo e di comunione. In verità erano solo trappole. Proprio come abbiamo meditato ieri con la donna sorpresa in adulterio. Il brano di oggi si conclude, fortunatamente, annotando che molti dei presenti che quel giorno ascoltarono le parole di Gesù credettero in lui. Cosa li portò a credere? Li raggiunse quella percezione che tra il Figlio e il Padre ci fosse una relazione, una dialogo e lo sentirono vicino, come introdotti, essi pure, in quel dialogo. Figli pure loro. Fratelli. 

Sbagliamo nel chiederti piccole cose
invece di implorare la stupenda grazia
di partecipare alla tua stessa Vita.
Sono felice di poterTi invocare:
«Fammi partecipare alla Tua sapienza:
donami, Signore, un cuore che ascolta!».
Amen.

Vangelis Christopoulos, Nikos Guinos, Depart And Eternity Theme, Eternity And a Day

Dal Vangelo secondo Giovanni (8,21-30)

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi non potete venire». Dicevano allora i Giudei: «Vuole forse uccidersi, dal momento che dice: “Dove vado io, voi non potete venire”?».
E diceva loro: «Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati».
Gli dissero allora: «Tu, chi sei?». Gesù disse loro: «Proprio ciò che io vi dico. Molte cose ho da dire di voi, e da giudicare; ma colui che mi ha mandato è veritiero, e le cose che ho udito da lui, le dico al mondo». Non capirono che egli parlava loro del Padre.
Disse allora Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite». A queste sue parole, molti credettero in lui.

Il Padre ha detto a Gesù di Nazareth:
«Siedi qui alla mia destra
fino al giorno in cui mi riconsegnerai la terra
sottomessa al mio volere».
Dal monte coltivato ad ulivi,
monte di prova e passione,
 
monte di vittoria e ascensione,
l’ha chiamato a sé nella gloria.
E dallo stesso monte uliveto,
ome poi dal Tabor in Galilea,
 
il Signore vincitore della morte
ha affidato la sua missione ai discepoli.
Per rafforzare quei fragili uomini
ha lasciato in dono il suo Spirito 
così l’annuncio è proclamato con forza
fino ai confini del mondo e della storia.
I credenti si offrono martiri
quando la Parola è fortemente osteggiata 
o la testimoniano nell’umiltà e nella pace,
incarnandola nell’operosità quotidiana.
Così il Regno cresce nel mondo
dal seme piantato quel giorno; 
si fa lievito, sale, calore
che fermenta tutta la terra.
Fin dal giorno della tua incarnazione
tu sei l’unico ed eterno Mediatore 
tra l’assoluto del Regno dei Cieli
e il suo lento instaurarsi nella storia.
Nel tuo nome è annunciata la pace,
sbugiardate le ideologie e i fanatismi,
 
vinte le ingiustizie e la morte,
proclamati l’amore e il perdono.
Quando i segni saranno compiuti,
quando il corpo e la mente dell’umanità 
saranno giunti alla piena maturità,
allora la missione sarà veramente compiuta.
Tu ritornerai con la gloria di un re,
a differenza di quando sei partito, 
e riunirai dalla trafila dei secoli
le membra del tuo corpo glorioso.
In quel giorno ci sazieremo di gioia
come ora ci nutriamo di fede
e secondo la promessa che ci hai fatto
ognuno avrà il suo posto nel cielo.
Così il tuo ultimo grido di crocefisso
avrà il suo pieno esaudimento: 
la tua sete sarà infine placata
e ti ricongiungerai al Padre con il mondo.

Salmo 109, trascrizione di Sergio Carrarini

Alessia Porfiri, Orto degli ulivi

Scrivo, tra le altre cose, dal paese che ha dato i natali a don Fausto Resmini di cui oggi facciamo particolare memoria nel primo anniversario della sua morte. Potete scaricare una lettera consegnata in questi giorni in tutte le case del suo paese d’origine. 


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Piccoli Pensieri (1)

Dania

Nulla va perduto di ciò che viene fatto, accolto e raccolto con amore e per amore: la Sua Parola e la buona vita di Don Fausto, che ha permesso al Signore di “prendere la sua vita per farne molto di più” e che, anche grazie a questo, ha vissuto in continuo rendimento di grazie.
E noi diciamo grazie a te, Don Fausto, per la tua testimonianza di vita, più in opere che in parole, e a te, Don Stefano, per il prezioso dono ricevuto.
Aiutaci Signore a cogliere il senso della nostra vita e a trovare, in ogni nostro giorno, un buon motivo per cui renderTi grazie…vivremo nella pace!

23 Marzo 2021

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