Ricetta per un nuovo annuncio

Di fatti di cronaca nera sono pieni i giornali. Morti sul lavoro, incidenti stradali, tragedie… molte delle quali si sarebbero certamente potute evitare. Distrazioni, disattenzioni, manomissioni di meccanismi di sicurezza per due soldi in più. Poi tutto un parlare di quei fatti, per lungo tempo. È forse un modo riflesso per esorcizzare, ma dov’è il limite di questi macabri salotti che si nutrono di fatti di cronaca nera? Se ci incontriamo rischiamo di raccontarci fatti spiacevoli e svariati dolori. 

Di diverso ai nostri giorni c’è solo il fatto che siamo avvertiti molto più rapidamente e l’informazione è subito corollata di immagini e testimonianze in diretta dal luogo della tragedia. Anche ai tempi di Gesù accadevano fatti spiacevoli e il Vangelo di oggi ce ne riferisce due. Corrono da Gesù per riferirgli di una strage avvenuta nel Tempio, nel luogo dove il comando «non ucciderai» è sottinteso. Eppure anche lì… 

Gesù, da parte sua, conoscendo queste umane dinamiche da superstiti, cita un altro incidente: il crollo di una torre sotto la quale si trovavano diciotto persone. Incidente sul lavoro, fatalità? Se fossero operai o passanti non c’è dato di sapere, ma che colpa potevano avere?

Gli bastò una domanda. Diretta. Precisa. Una domanda per risvegliare tutti, per sbalzarli dal macabro salotto delle quotidiane cronache nere che diventano solo argomento di conversazione, per ingannare il tempo, per dirci, velatamente, che siamo gran fortunati d’essere scampati. Quella domanda era solo retorica: credete che fossero più colpevoli di altri? La risposta la diede Lui stesso. E la ripeté per ben due volte. No!

E fu subito occasione di invitarli a conversione per non perire allo stesso modo… tragicamente, casualmente, distrattamente. Non possiamo nutrirci di fatti di sangue, di cronaca nera. Non possiamo alimentare la nostra vita della morte altrui. Non è vita. E questo modo di vedere la vita e la morte è sterile. La vita e la morte sono un atto e un’offerta di sé. La morte di Gesù, accanto a quella di tanti crocefissi del tempo, ha un sapore decisamente differente rispetto a morti subite e improvvise.

Come l’albero di fichi che da frutti due volte l’anno, la vita di Gesù diede frutto nelle due stagioni dell’esistenza: nella gioia e nel dolore. La morte di Gesù, a ben guardarla dai Vangeli, appare ai nostri occhi una seconda fioritura perché Egli decise come viverla sebbene fosse una condanna infertagli per ignoranza, per incapacità di ascolto, per non voler conoscere o comprendere, per quell’umano gusto del capro espiatorio. 

Ecco dunque la parabola del fico sterile che sembra semplicemente accostata senza non troppa logica. Nell’immaginario del tempo, il fico era simbolo dello studio approfondito e della conoscenza. La sua generosità e la sua perseveranza, che gli fanno dare frutti due volte l’anno, ricordano a noi che occorre davvero andare più in profondità nella comprensione delle cose e dei fatti. E per fare questo serve tempo, serve pazienza, perseveranza. Quella stessa pazienza che il padrone dell’albero sembra aver perduto. Sarà il contadino a farsene carico. Sarà lui a metterci il suo tempo, la sua pazienza, le sue cure e forse qualche parola… per evitare il peggio.

Non perché Dio voglia il nostro male, ma perché in un modo di vivere che addormenta le coscienze non sappiamo più né interrogarci. Proprio come Gesù stesso diceva nel brano di Vangelo di ieri: sappiamo valutare l’aspetto del cielo e della terra dalle nuvole o dai venti… ma non sappiamo più leggere i segni dei tempi.

Nella pazienza del contadino è aperta una strada di speranza, un’occasione di salvezza è offerta anche a questo albero che da tre anni non porta frutti. Non molto lontano da dove vivo c’è una piccola chiesa su un colle e attorno ad essa è fiorito un luogo di spiritualità. All’ingresso c’è un vecchio albero di fichi senza bellezza alcuna. A renderlo prezioso una dedica che rimanda certamente al Vangelo di oggi: «Al fico sterile e a chi di Lui ancor si prende cura». È questa l’immagine di Dio che Gesù ci ha raccontato.

Stamattina a colazione, credo che aprirò un vasetto di marmellata di fichi. Ringraziando semplicemente per questo frutto e per tante cure. Correte a comprarvene uno. Se non oggi, nei prossimi giorni, mettete in tavola un vasetto di marmellata di fichi, offritela su una fetta di pane… senza perdere l’occasione di far gustare la bellezza di questo brano di Vangelo e la bontà del Signore verso tutte le sue creature. La chiamerei «catechesi artigianale», home-made, fatta in casa, come le cose buone della mamma o della nonna. State tranquilli: nessun prete si offenderà, nessun catechista si sentirà usurpato di qualche potere… perché è quello che da tempo si desidera e si spera. Ed è gioia di preti e di catechisti sapere che mamma e papà (insieme ad un vasetto di marmellata di fichi), molto semplicemente si prendono cura della vita interiore dei figli, frutti del loro amore. Non solo il vestito. Non solo il cibo. Che la casa torni ad essere il primo luogo di annuncio del Vangelo e non solo il salotto dove rimbombano – anche a non volerlo! – fatti di cronaca nera. Custodiamo la casa e il Vangelo. Anche servendoci di un semplice vasetto di marmellata di fichi. 

Gridino a Te con gioia
i desideri del mio cuore,
ti cantino gloria
i doni delle tue grazie multiformi.
La speranza e la fiducia che ho in Te
gridino a te con gioia […]
L’amore divino,
che previene il mio amore
e mi obbliga ad amarti senza fine,
gridi con gioia a te al di sopra di tutto,
perché Tu, o Dio, mio dolce amore,
sei l’unico Dio, benedetto per tutti i secoli. 

(Gertrude di Helfta)

Dal Vangelo secondo Luca (13,1-9)

In quel tempo, si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

Anche se in fondo ai mari
e nei già alti cieli
si mormora di Te,
so che non hai altra casa:
sei il mio inevitabile Ospite
sconosciuto e muto.
E ci accomuna
la disperazione di amare.
Pure se santità significhi
dimore inaccessibili
qui è la tua casa. […]
Tu non puoi che celarti qui
nel presente, non puoi
che essere in urto
né puoi sfuggire alla sorte
della tua amata immagine.

(David Maria Turoldo, Mio ospite – Canti ultimi)

Eremo della Ghisiola, Castiglione delle Stiviere (MN)

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Piccoli Pensieri (3)

Savina

Ho imparato a cucinare marmellate, la prima volta con timore, non sapevo cosa sarebbe uscito, poi ho trovato il modo di usare meno zucchero, cuocere poco per conservare tutto il buono della frutta, così mi piace poi regalare i vasetti di marmellata a chi voglio bene, oltre la mia famiglia…
Non ho scritto questo per dare una ricetta di cucina, ma mi capita sempre più spesso, appunto quando cucino che siano marmellate o altro, di seguire riflessioni sulla vita in generale, che sia la mia o di altri.
Come in questo brano di Vangelo…
Quando sento di morti improvvise per tragedie varie, penso a loro e un po’ mi si stringe il cuore pensando al fatto che non hanno potuto rendersi conto di quello che stava loro succedendo, così prego il Padre perché abbia per loro molta più misericordia che per altri…
Non so perché lo faccio, o forse perché io continuo a chiederGli che voglio essere presente al momento della mia morte.
Le parole di Gesù sono un invito ad essere sempre pronti, perché una morte improvvisa può colpire tutti…
Anche se sembra un parlare severo, io sento in Lui l’amorevole cura verso di noi con consigli per meglio vivere.
Così come io scopro, quando cucino, che se preparo con “amorevole cura”, il cibo ha un altro sapore.
Forse un ingrediente segreto, non costa nulla e si ottengono buoni risultati.
E così che per le marmellate che regalo mi pare che vengano buone…almeno lo spero…
Anche la marmellata di fichi.
Grazie per l’attenzione

23 Ottobre 2021

Il contrasto tra l’immediatezza della morte improvvisa (accidentale o meno) e l’insistente pazienza del giardiniere che chiede al padrone di dargli fiducia e permettergli di fare ancora dei tentativi, salta all’occhio per forza! Non possiamo sapere come nè quando periremo, ma sappiamo che Dio non si stanca di aver fiducia in noi. Non si stanca di sperare che ciascuno di noi porti frutto, anche quelli apparentemente più distanti dal suo amore. Nessuno è escluso solo perché non porta frutto… A maggior ragione è bene che noi tutti, nessuno escluso, ci applichiamo a fare la nostra parte smuovendo la terra e concimando alla base degli animi più inariditi… Come? Magari iniziando a seguire quelle semplici indicazioni presentate dai cartelli di ieri…E allora che bel giardino di anime in fiore potrebbe diventare la nostra società!

23 Ottobre 2021
Stefania

La pazienza, la cura, la speranza di conversione anche dopo lunghi periodi di sterilità, che diventano catechesi in cucina intorno al tavolo della prima colazione, partendo da un vasetto di marmellata di fichi, il cui albero appare infinite volte nella bibbia, peraltro prima pianta citata con nome proprio, hanno già dato un senso a questo nuovo giorno. Grazie.
Buona colazione a tutti

23 Ottobre 2021

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