Non c’è rosa senza spina

Categoria :Omelie
Data :6 Agosto 2019
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Festa della Trasfigurazione (C)

Uscì allo scoperto all’età di circa trent’anni. Non lo fece prima. Non certo per pigrizia. Non era un lazzarone. Ci vuole tempo per capire cosa fare da grandi. E non bastava imparare il mestiere del padre. Ci vuole un’esistenza intera per capire chi sei. A casa ci stette per un po’ ma quando capì che non era lì dentro che doveva proseguire, lasciò. Lasciò suo padre e sua madre. Si mise alla scuola di Giovanni, il battezzatore nel deserto. Con l’acqua limacciosa del fiume Giordano – il fiume che delimita e segna un passaggio – egli battezzava e non con l’acqua che sgorgava limpida e pura dal Tempio. Un invito implicito a lasciarsi contaminare, ad immergersi nella vicenda umana con una speranza nel cuore – il cuore della fede – essere salvati da Un Altro.
Perché seguì proprio quel maestro di nome Giovanni? Probabilmente fu il contenuto del suo messaggio, della sua predicazione ad affascinarlo. O semplicemente perché già Giovanni se ne stava alla larga dai centri dei poteri. Preferiva gridare in pieno deserto, non alle pietre, ma a quella terra che, contro ogni speranza umana, attende piogge feconde e sorprendenti fioriture.
«Convertitevi e credete al Vangelo». E poi quell’urgenza di dire che il regno di Dio si stava avvicinando come mai prima d’ora e che l’Agnello di Dio era finalmente da quelle parti. Occorreva solo accendere il desiderio di incontrarLo e Giovanni avrebbe fatto il resto: indicarlo già presente nel mondo. Non sono parole poetiche queste, ma piuttosto accostamento di citazioni evangeliche, di parole già pronunciate e scritte.
Giovanni venne incarcerato e poi ucciso. Erode lo fece decapitare per soddisfare assurdi capricci. Una delle peggiori pagine di cronaca nera. E quando seppe che Giovanni, il Suo maestro, era in carcere, Gesù già ci stava pensando. Lo aveva intuito. Aveva intuito che annunciando la vicinanza di Dio (di cui per altro Egli era l’unica vera espressione carnale credibile) avrebbe pagato a caro prezzo. Con la vita e con il sangue. Era tempo di sacerdoti, di sacrifici… e i sacrifici erano sempre quelli dei poveri malcapitati. Loro dovevano starsene lontani, loro dovevano sapersi «maledetti». Il pio credente ben doveva guardarsi dall’avvicinarsi agli ultimi della Terra, pena la contaminazione. Avrebbe contratto impurità e questa era già allontanamento da Dio (o banale esclusione da un sistema sociale?)
Giovanni prima e Gesù poi, annunciarono che Dio si stava facendo prossimo e che a nulla serviva quella religiosità di separazione e di esclusione. Se Un Dio c’è, questi è per tutti e se entrerà nel mondo, entrerà dalla porta stretta, quella dell’umiltà, quella degli ultimi. Dalle periferie e non per archi di trionfo o cavalcature regali. Il sistema è forte, potente.
Religione si prenderà a braccetto con Politica e il potere si rafforzerà. La sentenza di morte del Cristo, Gesù di Nazareth, fu espressione del potere forte che si serve però delle folle e delle masse per far udire in piazza la propria voce. Gesù non rinunciò all’annuncio. Non ritrattò il suo desiderio di avvicinarsi in nome di Dio ai poveri in spirito, a coloro che piangono e soffrono, a coloro che hanno sete di giustizia e di pace. E capì molto presto che tragica e violenta poteva essere la sua morte. Non lo sapeva perché era Figlio di Dio. Non lo sapeva nemmeno perché credeva che la volontà di Dio potesse permettere cose simili. Nemmeno avrebbe parlato di destino, di cose già predette per lui (e per noi!). Libero era e libero rimase.
Provò così a parlarne ai suoi discepoli. Glielo disse a più riprese che stavano andando a Gerusalemme per la Pasqua. Quella che sarebbe diventata la sua però. Non quella ebraica. La sorpresa della Pasqua sta nella libertà ricevuta in dono. Libertà da morte e da peccato. Libertà dagli occhi impietosamente giudicanti degli uomini, libertà di stare alla presenza tenera e misericordiosa di Dio. A Gerusalemme, proprio in quei giorni, avrebbe preso forma la congiura contro il Figlio di Dio, contro il Messia. Quale periodo migliore per toglierlo di mezzo in fretta? La gente ha la testa nei preparativi della festa… e le luci della festa, che sempre inizia la sera precedente, obbligarono ad una veloce sepoltura per chiudere il caso abbastanza in fretta.
Da quando Gesù capì quale piega avrebbe preso la sua vicenda di assoluta solidarietà tra gli uomini, non mancava occasione di ritirarsi in solitudine e in preghiera: per accettare questa intima solitudine, mentre numerose folle folle lo seguivano; per chiedere al Padre la forza della perseveranza e la fedeltà all’Amore di Dio che tutto spera, tutto sopporta, tutto perdona.
«Otto giorni dopo» quell’annuncio di passione, prese con sé tre dei suoi discepoli: Pietro, Giovanni e Giacomo. Un’escursione sul monte Tabor? Il luogo è decisamente affascinante. Un panettone che si erge nella pianura di Armaghedon, il luogo dove – stando alle profezie – avverrà il giudizio finale. Una vista incredibile, a 360°! Lui però non salì per il panorama. Un (altro) luogo in disparte per pregare. Questo fu il Tabor nell’intento di Gesù.
Apparvero Mosè ed Elia che discutevano con Gesù: ecco il nocciolo della vicenda. Gesù dialoga con Mosè ed Elia, cioè interpella le Scritture per trovare il senso di ciò che egli continuerà a fare in mezzo agli uomini suoi contemporanei; dialoga con Mosé ed Elia al fine di capire per quale motivo egli sarebbe dovuto morire di una morte così violenta, dopo aver passato una vita a fare il Bene, risanando ogni sorta di infermità. Ne dovette parlare con Mosé ed Elia. E li sentiva vivi tanto desiderava da loro un lume. Il rapporto di Gesù con la Parola di Dio è davvero la trasfigurazione di ciò che ci sta davanti. Un invito luminoso ad intrattenerci pure noi in dialogo con la Parola di Dio per imparare a trasfigurare la realtà, per imparare a guardare con luce e occhi nuovi la storia presente e quella che ci sta dinnanzi.
Il sonno dei discepoli, aggiunto alla paura di quella nube che improvvisamente li avvolse (avrebbero dovuto saperlo che la nube è preludio alla presenza di Dio già che il popolo di Israele conosceva questa esperienza) e quel parlare di Pietro (di Pietro, capite?) senza sapere cosa precisamente stesse dicendo, raccontano della nostro ritardo a capire, della nostra durezza di cuore, della nostra cecità, della nostra incredulità. Una Parola nuova – proprio dal cuore della nube – più forte di ogni paura, di ogni pigrizia spirituale, di ogni parola vana, chiede a noi di ascoltare Gesù, il Figlio amato di Dio.
Il silenzio, scelto sulla strada del ritorno e al termine di questa esperienza della Trasfigurazione attesta che – forse – l’hanno compresa. La nostra esistenza necessita di questo silenzio che nasce come risposta all’invito di ascoltare Gesù. Dio non si può ascoltare nel frastuono e nel rumore delle nostre vicende terrene che tuttavia hanno così bisogno di essere illuminate. Non si vive diversamente. Non si è esenti dalla fatica dell’esistere. Neppure la violenza e la barbarie ci sono risparmiate. Ma alla luce della Parola di Dio, in un dialogo profondo con le Scritture meditate, studiate, ascoltate, potremo nuovamente ritrovare le motivazioni del nostro dirci cristiani, discepoli del Maestro che sale a Gerusalemme. E quella morte non fu certo per dare lustro alla cattiveria umana. Quella morte fu per la gloria di Dio già che mise fine ad ogni sete di vendetta. Trasfigurò la sua morte facendola diventare – quasi un paradosso – il momento della nostra nascita. Nel momento in cui stava escluso in mezzo agli esclusi, crocefisso fuori dalla città, Egli apriva le porte del paradiso a chi aveva capito che Dio non può essere preso in giro con due o tre pratiche religiose, magari fatte di corsa prima di morire.
E Pietro, dopo essersi ravveduto, dopo aver capito che quel giorno sul monte aveva detto proprio una cosa inappropriata (annota Luca: «non sapeva quello che diceva»), raccogliendo l’invito di Gesù risorto di confermare i suoi fratelli, ci scrive queste parole in una sua lettera:
Carissimi, vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole artificiosamente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza. 
Egli infatti ricevette onore e gloria da Dio Padre, quando giunse a lui questa voce dalla maestosa gloria: «Questi è il Figlio mio, l’amato, nel quale ho posto il mio compiacimento». Questa voce noi l’abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte. 
E abbiamo anche, solidissima, la parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l’attenzione come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e non sorga nei vostri cuori la stella del mattino. (2 Pietro, 1,16-19)

Vorrei pure invitarvi a leggere una parte dell’inno (prefazio) che durante l’Eucarestia abbiamo pregato:
Dinanzi ai testimoni da lui prescelti, 
egli rivelò la sua gloria 
e nella sua umanità, in tutto simile alla nostra, 
fece risplendere una luce incomparabile, 
per preparare i suoi discepoli 
a sostenere lo scandalo della croce 
e anticipare, nella Trasfigurazione, 
la meravigliosa sorte della Chiesa, suo mistico corpo.
Pare dunque che non ci attenda un destino impietoso ma una meravigliosa sorte – per utilizzare le parole della liturgia che troppo poco ascoltiamo e meditiamo. E la sorte meravigliosa sarà come vedere al termine di un lungo stelo con le spine una rosa fiorita su quella terra che pareva un deserto. Buona festa della Trasfigurazione! Che le nostre esistenze, diventino Vita in Dio!


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