… liberaci dal male

Maria Cavazzini Fortini, L’emorroissa guarita, acquarello, 2012

XIII domenica del Tempo Ordinario

(Sap 1,13-15; 2,23-24 / Sal 29 / 2Cor 8,7.9.13-15 / Mc 5,21-43)

Il Vangelo di Marco è pieno zeppo di racconti di miracoli. Imbarazzante faccenda, soprattutto per l’uomo moderno questa dei miracoli. Se già al tempo di Gesù molti ne restavano perplessi o meravigliati, quanto più oggi manifestiamo scetticismo, perché abbiamo imparato a credere nella scienza… e forse, oggi, neppure più a quella. Come la donna che aveva perdite di sangue, sempre costretta a starsene da parte perché impura e sempre in ricerca di un luminare della medicina. Aveva speso tanti di quei soldi che neppure ci credeva più e davvero si chiedeva a chi servisse la medicina.

Gesù stesso, pur compiendo miracoli, comprende presto che questi segni venivano per lo più travisati. Lui stesso lo disse apertamente dopo la moltiplicazione dei pani: mangiarono solo per riempirsi lo stomaco senza nemmeno chiedersi cosa fosse quella Sua premura di raggiungere tutti, di non escludere nessuno.

Si dimostrerebbe inoltre, attraverso il miracolo, che Gesù è Dio? S’è rischiata pure questa interpretazione. Restando a bocca aperta davanti all’impossibile umano, non avremmo che da arrenderci alla grandezza di Dio, come se il miracolo fosse apologia in difesa della divinità.

I miracoli non sono dimostrazione di onnipotenza, nemmeno quando si tratta di risuscitare una fanciulla da morte. Per certo Gesù è stato un guaritore; un guaritore da malattie umilianti, che alla fine intaccano la fede, quella fiducia nella vita stessa. Quando un essere umano è malato, ci si chiede subito: che vita è? Si può ancora credere alla vita quando s’è conciati come la donna che perde sangue da dodici anni o quando ti muore una figlia? 

Fatta dunque esclusione che il miracolo possa essere una prova di forza da parte di Dio affinché l’uomo sia convinto a credere, il miracolo è – al contrario –  espressione della fede. C’è per l’uomo quel rischio di credere a Dio solo dopo averlo sfidato o messo alla prova davanti ai nostri mali o ai nostri bisogni. In realtà Gesù compie miracoli per ricordare che nessun male esclude dalla promessa di Dio, soprattutto per il fatto che la malattia appariva agli occhi dei suoi contemporanei – e forse ancora anche ai nostri – un castigo, una maledizione, una punizione vergognosa che ti taglia fuori da ogni relazione.

I miracoli sono l’altro modo di dire il Vangelo, di annunciare cioè la buona notizia ai poveri proprio quando tutti sono convinti che proprio quell’amara faccenda del male e della morte possa escludere perfino da un rapporto con Dio. Gesù è venuto a portare il regno di Dio e l’uomo deve coglierlo e cercarlo, soprattutto nei momenti in cui la paura, la malattia e la morte tentano di cancellare dal nostro cuore questa fiducia nella Vita e nel Dio che la custodisce.

Attraverso i miracoli è ancora il Vangelo che ci raggiunge. Come sarebbe credibile un Vangelo che non si mette davanti alla questione dei nostri mali e che Dio sarebbe quello che rinuncerebbe a venirci accanto nei momenti più difficili? 

La salute è da mettersi al primo posto, no? Mai come oggi lo sentiamo. E quando la morte arriva improvvisa ci accorgiamo che neppure è sana questa nozione di salute da cercare a tutti i costi. Dovremmo escludere subito da ogni nostro pensiero una grande fetta di umanità che nemmeno sappiamo essere malata. I miracoli del Vangelo di Marco sembrano dirci, ciascuno a modo suo, che la fede dona anche alla vita debole, povera o ammalata la  dignità di essere raggiunti da Dio, proprio lì, in quel punto e in quel momento.

Attorno a malattia e morte noi chiediamo sempre «Fino a quando?». Basterebbe leggere alcuni salmi. E che dire di quell’indisponente modo di parlare dei malati, in giro per le strade? Che spesso li diamo già per morti o per spacciati prima del tempo, faccenda questa che pare solo scaramanzia alla nostra sopravvivenza. Come le fastidiose folle del Vangelo per le quali Gesù sembra dover usare maggior forza e determinazione per scansarle, tanto gli impedirebbero l’incontro. Egli è venuto a cercare e salvare coloro che noi diamo sempre per spacciati o perduti. Ci basterebbe imparare a stare in silenzio davanti alla malattia e davanti alla morte. Quella decenza di non dire nulla che tanto rischiamo di dire solo parola di circostanza, frasi fatte. Ci basterebbe scansarci un po’ e dire dal profondo di un cuore in ricerca: «Maranathà, vieni Signore Gesù».

Dio, origini di ogni vita,
fonte di gioia di vivere,
nessuno lotta come te
contro il nulla e la morte:
donaci di vivere ogni giorno
la risurrezione di tuo Figlio.
Amen.

Dal Vangelo secondo Marco (5,2143)

In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.
E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».
Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

Fino a quando, Signore?
Fino a quando mi volterai le spalle
e resterai inerte e muto
come un morto che non può consolare?
Fino a quando questo silenzio
dell’anima e dello spirito,
questo vuoto interiore
nel buio di una fede perduta?
Per sempre e senza respiro?
Fino a quando, Signore,
l’ansia sarà padrona
di questo mio fragile cuore,
di questa mia testa confusa?
Fino all’ultimo giorno?

Guardami, parlami Dio,
non fare la statua dipinta;
sorridimi, sgridami, calmami,
diventa una luce ai miei occhi. […]

La gente non scuota la testa,
non dica con finta tristezza:
«Lo dicevo, hai visto che fine!
Ormai è perduto per sempre».
In te ho sperato, Signore,
mi sono aggrappato a tuo Figlio
come a tavola nel mare in tempesta:
Salvami, aiutami Dio,
ridammi la forza di vivere,
di vedere l’alba gioire […]Per te diventerò come un pazzo
che ride di sogni perduti
e canta il suo essere vivo
in mezzo a gente affannata.
Mi sorridi, mi parli, Signore,
da un’immagine ingiallita dal tempo.
Mi sento rinascere dentro
accecato in un’alba di luce,
naufragato in un mare di gioia.
Grazie, Dio della vita,
grazie, Dio dell’amore!

(salmo 12, trascrizione di Sergio Carrarini)

Maria Cavazzini Fortini, Talità kum, acquarello, 2012

Rimani aggiornato per ricevere i miei nuovi articoli




Piccoli Pensieri (2)

Suor Regina

Signore, la tua Parola agisce sempre… ” Non temere, continua ad aver fede. ” Una Parola che diventa azione e silenzio dentro l’oscurità della malattia dell”emorroissa e dentro la morte della fanciulla. Con un gesto di Risurrezione tu rialzi queste due donne come segno e le consegni alla vita. Signore aumenta la nostra fede…

27 Giugno 2021
... Alba

Il Vangelo di oggi è uno di quelli da leggere lentamente, facendo risuonare ogni parola…ogni silenzio.
Il silenzio di questa donna che agisce con coraggio e determinazione, toccando le vesti di Gesù, certa del Suo intervento, ci dice che la fede non ha bisogno di parole, basta un semplice gesto. Anche Giairo trova il coraggio di rivolgersi a Gesù, presentando la situazione drammatica della figlia. È guidato dalla certezza che Dio è presente ed interverrà con il Suo Amore.
“Non temere soltanto abbi fede!”
È rivolto proprio a me oggi,nel mio qui e ora. In qualunque situazione, dubbio, prova o dolore sto attraversando, con coraggio devo abbandonarmi a Lui, certa che sarò guarita e risvegliata e lo posso fare nel silenzio abitato da un semplice ed umile gesto : la preghiera.

27 Giugno 2021

Scrivi un commento a Suor Regina Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *