Un incontro. Solstizio d’inverno

Data :21 Dicembre 2020
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“Speriamo di incontrarci in occasioni migliori di questa!” Ditemi: quante volte vi siete ritrovati a pronunciare affermazioni simili? Per lo più saluti al termine di un funerale. O magari, quando affollavamo corridoi di ospedali in attesa di una visita medica, incrociando un’altra persona: occasione per raccontarsi un po’ di acciacchi, per condividere dolori e dispiaceri. E senza stare vigili, si può davvero imboccare una china discendente, verso il lamento… abituati come siamo a lasciarci raggiungere più facilmente da cattive o tristi notizie. Il loro peso poi farebbe perfino crollare il cielo e la vita può sembrare solo una zavorra che impedisce un’ascesa, un peso incredibile che rende incapaci di muovere quei passi ancora necessari. Ci siamo abituati a farci visita nei giorni del lutto. Ed è cosa buona. Può portare conforto e consolazione. Può esprimere affetto e amicizia. E quando, in quest’anno c’è stato impossibile compiere queste visite, ci siamo sentiti come privati di quella pietà da riservare a chi muore. 

«Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso» (Gv 16,12) dirà Gesù ai suoi discepoli a pochi giorni dalla sua morte. E colpisce questa delicatissima attenzione di Gesù nei confronti dei suoi discepoli. E intendeva rassicurarli, seppure i discepoli rimasero per un certo tempo ancora nel dubbio. Solo la presenza dello Spirito di verità, li renderà capaci di portare il peso di cose altrimenti insostenibili. Non è il peso di cose pessime o peggiori. È il peso della verità alla quale dobbiamo sempre essere guidati. E parla, proprio in quell’ora che lo avvicina al suo ritorno al Padre, del travaglio di una donna partoriente. «Voi sarete afflitti – disse – ma la vostra afflizione si cambierà in gioia. La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia. In quel giorno non mi domanderete più nulla» (Gv 16,20-23)

E i Vangeli non accenneranno affatto al dolore del parto di Elisabetta. Neppure per Maria. E non perché i Vangeli sono scritti da uomini che non ne sanno nulla di parto. Quel dolore sembrava essere lì come strascico o conseguenza di qualcosa che è andato storto: la disobbedienza di Adamo ed Eva. All’uno il sudore della fronte per la fatica del lavoro. All’altra il dolore del parto. Nei Vangeli, quel dolore di donne che partoriscono non è più nominato. Quel dolore è dimenticato per la gioia che è venuto al mondo un uomo. La sofferenza nei Vangeli è sempre raccontata diversamente: è sempre un fare Pasqua, un venire alla Luce. È sempre per far venire al mondo un uomo.

Moltissimi – immagino – potrebbero obiettare che ci sono dolori e ferite nella vita che sono incancellabili, indimenticabili. Come le cicatrici che fanno ricordare con precisione perfino i dettagli. Dolori che però ad un certo punto possiamo pure decidere di non nominare più, se abbiamo saputo riconciliarci con essi, se anche solo per un istante ci siamo resi conto che proprio attraverso quelle immani fatiche o sofferenze, abbiamo trovato la Luce. Non basta venire alla luce. La Luce è sempre da cercare. Fino alla fine… e oltre.

Quando Maria fa visita ad Elisabetta lo Spirito della verità, il Consolatore le ha già visitate, ha già posto in loro il germe di uomini che devono venire alla Luce. E quelle due madri già riverberano di quella Luce: un saluto, una benedizione, una domanda di stupore… e Dio è già in mezzo a loro. Lo Spirito le sta già guidando alla verità tutta intera. 

E io vorrei parlare al cuore di chi non si autorizza più ad ascoltare buone notizie, a chi non vuole più farsi il semplice dono di un momento di gioia, a chi ha deciso di non ascoltare più Vangelo e si dice “arrabbiato con Quello lassù”, a chi rifiuta benedizioni… perché gli pare di fare un torto a chi non è più. Forse temiamo che una buona notizia in casa di altri ci esponga al rischio della gelosia o dell’invidia. Ricordatevi di Maria ed Elisabetta. I loro figli, quanto a peso di umano dolore, non se la passeranno affatto bene. Eppure oggi ci è permesso di entrare in quella casa per condividere la gioia di un incontro. E sentire la consolazione dello Spirito, la forza di una benedizione quand’è pronunciata anche fuori dal Tempio, sulla bocca di donne e non solo dei sacerdoti. 

Questo anno 2020, segnato da subito per un’epidemia trasformatasi rapidamente in pandemia il cui virus porta il nome dell’anno precedente, ci ha fatto rivivere la condizione dei deportati. Stranieri sulla nostra Terra. A vivere qualcosa di mai vissuto prima. Così prima di ascoltare dalle labbra di Maria il suo cantico di lode, è forse bene per noi servirci del salmo dei deportati che invocano la liberazione. Liberazioni già avvenute in passato nei racconti biblici e nelle storie personali di ciascuno. Liberazioni che desideriamo si rinnovino ancora e sempre. Inverni che devono lasciare spazio a fioriture primaverili. E proprio in pieno inverno, nel giorno del solstizio d’inverno, la liturgia ci ha ascoltare la promessa della primavera contenuta nel Cantico dei Cantici. E un invito per noi ad alzarci!

… perché, ecco, l’inverno è passato,
è cessata la pioggia, se n’è andata;
i fiori sono apparsi nei campi,
il tempo del canto è tornato
e la voce della tortora ancora si fa sentire
nella nostra campagna.
Il fico sta maturando i primi frutti
e le viti in fiore spandono profumo.
Àlzati, amica mia,
mia bella, e vieni, presto! (Ct 2,11-13)

Per ascoltare l’antifona di questo giorno, clicca sulla freccia bianca nella barra sottostante

O astro sorgente,
splendore di luce eterna, e sole di giustizia:
vieni ed illumina chi è nelle tenebre,
e nell’ombra della morte.

O Oriens,
splendor lucis aeternae, et sol justitiae:
veni, et illumina sedentes in tenebris,
et umbra mortis.

Dal Vangelo secondo Luca (1,39-45)

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

Quando il Signore ricondusse i prigionieri di Sion,
ci sembrava di sognare.
Allora la nostra bocca si aprì al sorriso,
la nostra lingua si sciolse in canti di gioia.
Allora si diceva tra i popoli:
«Il Signore ha fatto grandi cose per loro».
Grandi cose ha fatto il Signore per noi,
ci ha colmati di gioia.
Riconduci, Signore, i nostri prigionieri,
come i torrenti del Negheb.
Chi semina nelle lacrime
mieterà con giubilo.
Nell’andare, se ne va e piange,
portando la semente da gettare,
ma nel tornare, viene con giubilo,
portando i suoi covoni.

salmo 126 (125)

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Piccoli Pensieri (6)

Claudia

Imparare tutti ad essere figli di Dio, ascoltandolo dentro di noi, in connessione col creato…..e la vita diventa una vera opera d’arte.

22 Dicembre 2020
Maria Rosa

Grazie Don Stefano

Spesso ci inviti a ricordare che anche noi possiamo scegliere, anche solo nel parlare, se vivere la Pasqua o confrontarci sempre e solo nelle lamentele quotidiane.

21 Dicembre 2020
Emanuela

Nei giorni più bui dell’anno invochiamo l’astro sorgente…. che ricchezza la speranza che ci dona la nostra fede.
Ed è con la forza di questa speranza che voglio accogliere l’invito di ieri di papa Francesco a non piangerci addosso per quello (poco) che ci manca, ma a condividere quello che abbiamo con chi ha veramente bisogno. Questo sarà il vero calore del Natale

21 Dicembre 2020
Stefania

I solstizi sono spettacoli del cielo che stupiscono da sempre i popoli.
Anche solo entrando in una chiesa romanica, oggi un raggio di sole illuminerà l’icona di un santo o un altare.
Sono passaggi di stagioni, di LUCE.
È sempre la natura a parlarci, anche nell’odierna lettura dal cantico dei cantici che ri-veste i fidanzati.
Che nella notte di Natale possiamo ri-vedere tante stelle per sentirci più vicino al cielo.

21 Dicembre 2020
serena

Maria portaci Gesù come l’hai portato ad Elisabetta ma soprattutto aiutaci a sentire la Sua dolce presenza e per questo provare grande gioia

21 Dicembre 2020
MARZIO FABIANO COLLEONI

Voglio commentare l’immagine posta all’inizio di questo articolo: la porta di legno di una cascina e, lo sguardo su quell’albero: l’ultimo Gelso! Evoca l’attesa: la Terra dal Cielo riceverà la rugiada del Cristo.

“I popoli che abbandonano la Terra, sono condannati alla decadenza” ebbe a dire uno Statista.

Erano luoghi di alto valore spirituale, speriamo che in futuro qualcuno possa conservarli.

Grazie per aver inserito un brano Gregoriano. Solitamente se si eseguono canti Gregoriani veniamo accusati di

“tradizionalismo”. Ma non è questo l’intento.

21 Dicembre 2020

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