In-vocare, e-vocare

Data :19 Dicembre 2020
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Le scene di questi giorni si riempiranno via via di angeli. Dapprima come singoli inviati a singoli destinatari. Poi stormi di angeli che cantano per ammaliare pastori ormai rassegnati ad una vita marginale e apparentemente insignificante. Questi divini messaggeri entrano in scena dapprima nel sonno. Apparendo in sogno. E fu il caso di Giuseppe. Al risveglio, potrebbe al massimo rimanere addosso quel dubbio che fa esclamare: «era solo un sogno!». Ma quel sogno, seppure un sogno, non era tuttavia fuori tema. La Bibbia è piena di sognatori e di loro interpreti. Quel sogno si adagia proprio come un sottile manto di neve a quel pensiero fisso, quella tribolazione che non ti lascerebbe nemmeno dormire. Giuseppe, uomo giusto, stava dormendo, con una serenità nella tribolazione da fare invidia ad ogni nostra notte insonne. 

Per le Scritture, i giorni che precedono la notte del natale di Cristo sono tutti giorni visitati. Per noi – mi pare di capire – sono ancora giorni di frenetico movimento. Proprio ieri, mi son trovato a dovermi muovere in auto, uscendo dal paesello e spaziando un po’ nella provincia: sulle nostre strade è di nuovo scoraggiante muoversi. Traffico e acquisti. Come sempre. È forse tornata la normalità che tanto vorremmo da quando le cose non vanno più come prima? O forse non siamo ancora entrati nell’ottica giusta… e, mentre sono al volante, mi vien quasi da pensare, che non sia cambiato granché. Vita sterile che ruota comunque attorno ai riti di sempre. Anche i più santi riti.

Il cambiamento non si produrrà fuori se dentro non accade nulla. E la deduzione più logica è dunque che pochi, pochissimi desiderino veramente un cambiamento. L’unico vistoso cambiamento è questo dover stare ore davanti al computer per delle riunioni remote, a distanza? La scuola, il lavoro… e anche la pastorale? A quelle riunioni remote sono il grande assente. Quel tempo lo sentirei più fecondo e fertile se fosse messo ulteriormente a disposizione per… pregare? Per… leggere? Per… riflettere da solo, in silenzio? Per… stare curvo sulle Scritture? Per… ruminare un salmo? Ma è per la comunione e la fraternità, si dice… Io sento, cari amici, che un senso più vero di fratellanza e di fraternità ce lo deve dare di nuovo il cielo e noi potremmo semplicemente e seriamente stare ad invocarlo. Ancora e più a lungo. Fino quando avremo toccato il fondo della nostra povertà racchiusa nella più sterile solitudine. Senza Dio è vera solitudine per l’uomo. Che solo Dio può darti fratelli, sorelle, madri, padri, amici. Ma noi sempre a dire che il suo mestiere è toglierceli, come se fosse una forza contraria alla vita stessa che si prodiga in ogni dove, deserto compreso.

Leggendo e sfogliando la Bibbia, la promessa di Dio riguarda sempre un figlio che, da qualche parte, nascerà e su quel figlio riposa una benedizione, un compito, una vocazione, una missione. Quando l’umanità ha sempre invocato aiuto dal cielo perché tanta e insopportabile era la pressione della vita esterna, Dio ha sempre scelto un uomo, una donna… delle orecchie per farsi udire e dei grembi da rendere fecondi. Vite sorde e sterili che di colpo ascoltano e generano vita. Non è abbastanza evangelico? Non è sufficientemente portatore di gioia un simile messaggio? E il dio guerriero e militaresco, che guida gli eserciti e stronca le guerre… non convince più. Se ancora stronca le guerre lo fa proprio attraverso l’amore di un uomo e una donna, l’amicizia tra persone di diversa provenienza.

Ci è dato un figlio nella notte di Natale. Ma il figlio è dato prima nel grembo. Dentro. Se dentro non matura qualcosa di differente saremo sempre come Zaccaria che – per sorte e per funzione – sta nel Tempio a svolgere il rito che gli tocca. Sarebbe davvero triste che ci capitasse ancora di stare nel quotidiano per sorte o per funzione, tanto che se qualcuno ci chiedesse: «Cosa stai facendo?» non sapremmo rispondere veramente. Proviamo a chiedercelo seriamente oggi: «Cosa stai facendo?». Mentre fai, mentre disfi, mentre brighi, mentre ti sbatti e ti spendi… «Cosa stai facendo?». 

Senza una visione, un messaggio che irrompe… senza la pioggia dal cielo il deserto rimane deserto. Eppure Dio lo aveva detto che la sua Parola sarebbe stata come la pioggia e la neve che scendono dal cielo. E sappiate che chi vi scrive è un creativo-pratico, uno che sa benissimo che, ad un certo punto, il pensiero deve farsi azione. Detto che anche il  “filosofare”  fa qualcosa… Quando le nostre azioni sono dubbie, meglio davvero stare ad invocare. Non uscire, stare in casa però incentivare i consumi, aumentare gli acquisti… qualcosa non mi torna. C’è del dubbio in questi molteplici inviti. 

Tempo per in-vocare. Per chiamare dentro! Chiamare dentro la nostra storia un’irruzione del divino. Invocare è la vocazione dell’uomo. E non è solo Dio che chiama all’ascolto, ma noi pure chiamiamo Dio all’ascolto delle nostre miserie. E in questo siamo esattamente simili a Lui. Vocare è chiamare all’ascolto. Lo fa Dio e lo facciamo noi.

La preghiera del popolo e  la preghiera stessa di Zaccaria, sono significate in quelle volute di incenso. Quella nuvola di incenso che incarna la preghiera dell’uomo e del popolo, sale al cielo e attorno si spande come promessa di una soavità che ti pervade senza invadere, che ti impregna perfino i vestiti senza fare male. Il popolo sta fuori, in attesa. Zaccaria è entrato, dentro… nel tempio. E ancora non sapeva che entrando nel tempio egli stesso stava facendosi Tempio per Dio che ha sempre preferito costruirsi una dimora nel cuore degli uomini. Entrando nel Tempio per comunicare con il divino, è Dio stesso che irrompe. 

L’incredulità, non lo spaventò ma lo rese muto. Comprese bene ma stentò a credere. E quando si riapriranno le sue labbra, è da dentro che fioriranno parole di benedizione per quel Dio che ha visitato e redento il suo popolo. E al figlio appena nato – Giovanni – si rivolgerà evocandogli la sua missione:

«E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo
perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade,
per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza
nella remissione dei suoi peccati.
Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio,
ci visiterà un sole che sorge dall’alto,
per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre
e nell’ombra di morte,
e dirigere i nostri passi
sulla via della pace». (Lc 1,76-79)

Ma ci avete mai pensato che se per ogni figlio che nasce su questa terra, ci fosse un padre che si rivolgesse con parole simili a quella creatura, ultima arrivata, le cose potrebbero cambiare davvero e seriamente attorno a noi? Perché così è scritto… e così avvenuto. Non per fato. Non per destino. Non per sorte. Per ascolto. Per silenzio. Per benevolenza. Per misericordia. Su! Dai! Giovani che vi accingete a diventare padri e madri… preparate nel silenzio le parole da sussurrare all’orecchio del vostro bambino appena nato. Chissà che lo Spirito di Dio, invocato su di loro, non venga ad abitarli profondamente! E io mi chiedo cosa mio padre e mia madre abbiano sussurrato alle mie orecchie appena venuto alla luce, per essere qui oggi ad evocare…

O Radice di Jesse,
che sei un segno per i popoli,
innanzi a te i re della terra non parlano,
e le nazioni ti acclamano:
vieni e liberaci, non fare tardi.

O Radix Jesse,
qui stas in signum populorum,
super quem continebunt reges os suum,
quem gentes deprecabuntur:
veni ad liberandum nos, jam noli tardare.

Dal Vangelo secondo Luca

Al tempo di Erode, re della Giudea, vi era un sacerdote di nome Zaccarìa, della classe di Abìa, che aveva in moglie una discendente di Aronne, di nome Elisabetta. Ambedue erano giusti davanti a Dio e osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore. Essi non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni.
Avvenne che, mentre Zaccarìa svolgeva le sue funzioni sacerdotali davanti al Signore durante il turno della sua classe, gli toccò in sorte, secondo l’usanza del servizio sacerdotale, di entrare nel tempio del Signore per fare l’offerta dell’incenso.
Fuori, tutta l’assemblea del popolo stava pregando nell’ora dell’incenso. Apparve a lui un angelo del Signore, ritto alla destra dell’altare dell’incenso. Quando lo vide, Zaccarìa si turbò e fu preso da timore. Ma l’angelo gli disse: «Non temere, Zaccarìa, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, e tu lo chiamerai Giovanni. Avrai gioia ed esultanza, e molti si rallegreranno della sua nascita, perché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti, sarà colmato di Spirito Santo fin dal seno di sua madre e ricondurrà molti figli d’Israele al Signore loro Dio. Egli camminerà innanzi a lui con lo spirito e la potenza di Elìa, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto».
Zaccarìa disse all’angelo: «Come potrò mai conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanti negli anni». L’angelo gli rispose: «Io sono Gabriele, che sto dinanzi a Dio e sono stato mandato a parlarti e a portarti questo lieto annuncio. Ed ecco, tu sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, che si compiranno a loro tempo».
Intanto il popolo stava in attesa di Zaccarìa, e si meravigliava per il suo indugiare nel tempio. Quando poi uscì e non poteva parlare loro, capirono che nel tempio aveva avuto una visione. Faceva loro dei cenni e restava muto.
Compiuti i giorni del suo servizio, tornò a casa. Dopo quei giorni Elisabetta, sua moglie, concepì e si tenne nascosta per cinque mesi e diceva: «Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna fra gli uomini».

Facciamo silenzio
prima di ascoltare la Parola,
perché i nostri pensieri
sono già rivolti verso la Parola.

Facciamo silenzio
dopo l’ascolto della Parola,
perché questa ci parla ancora,
vive e dimora in noi.

Facciamo silenzio
la mattina presto,
perché Dio deve avere la prima Parola,
e facciamo silenzio
prima di coricarci,
perché l’ultima Parola
appartiene a Dio.

Facciamo silenzio
solo per amore della Parola.

(Dietrich Bonhoeffer)

Sanna Myrttinen, Somewhere in the Fjäll, 2020

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Piccoli Pensieri (1)

Dania

“Non temere…” questa parola mi ripeto spesso ed il Signore mi/ci dice per darci il coraggio per vivere ogni giorno, per procedere nel cammino… Perché non è tanto e solo ciò che ci capita a fare la differenza ma il modo con cui la affrontiamo e viviamo. Che la nostra fiducia, la nostra speranza sia in Te…, solo così possiamo non temere perché Tu sei e sarai con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo ed è proprio ciò che l’Emmanuele è venuto a dirci e dimostrarci. Rendiamo grazie a Dio

19 Dicembre 2020

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