Tra fuoco e acqua… c’era un volta un granello dinamico

Data :8 Agosto 2020
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Spirito Santo, memoria di Dio, ravviva in noi il ricordo del dono ricevuto. Liberaci dalle paralisi dell’egoismo e accendi in noi il desiderio di servire, di fare del bene. Perché peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi. Vieni, Spirito Santo: Tu che sei armonia, rendici costruttori di unità; Tu che sempre ti doni, dacci il coraggio di uscire da noi stessi, di amarci e aiutarci, per diventare un’unica famiglia.

(Vescovo Francesco, dall’omelia di Pentecoste 2020)

Dal Vangelo secondo Matteo (17,14-20)

In quel tempo, si avvicinò a Gesù un uomo che gli si gettò in ginocchio e disse: «Signore, abbi pietà di mio figlio! È epilettico e soffre molto; cade spesso nel fuoco e sovente nell’acqua. L’ho portato dai tuoi discepoli, ma non sono riusciti a guarirlo».
E Gesù rispose: «O generazione incredula e perversa! Fino a quando sarò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatelo qui da me». Gesù lo minacciò e il demonio uscì da lui, e da quel momento il ragazzo fu guarito.
Allora i discepoli si avvicinarono a Gesù, in disparte, e gli chiesero: «Perché noi non siamo riusciti a scacciarlo?». Ed egli rispose loro: «Per la vostra poca fede. In verità io vi dico: se avrete fede pari a un granello di senape, direte a questo monte: “Spòstati da qui a là”, ed esso si sposterà, e nulla vi sarà impossibile».

C’era una volta un granellino dinamico… Detta così sembra la migliore delle favole. Ma il granellino dinamico, pieno di forza, c’è davvero. È per effetto di questo granello forzuto che un uomo corre incontro a Gesù. Strappano il cuore questi genitori che chiedono vita per i loro figli. Prima la donna cananea e ora quest’uomo ancor meno identificabile. Strappano il cuore anche madri e padri che i figli li hanno persi. Il mondo e la vita per loro non sono più gli stessi. Sostengono – e c’è da crederci – che sia terribile sopravvivere ad un figlio. Mi domando quale percezione della vita e quale visione di mondo rimane a questi genitori. 

La vita di un figlio, ancor di più se malato, ruba le ore di sonno, sbarra le palpebre per paura che possa succedere qualcosa, in ogni momento. La vita di un figlio malato prosciuga la vita dei genitori stessi i quali – dicono – che sia normale dedicarsi tanto, fino al punto di spossessarsi completamente di sé. Ma si può anche giungere ad un certo punto in cui credi di non farcela più. Quest’uomo che si getta in ginocchio sembra davvero stremato. Poi diremo che inginocchiarsi è un gesto di fede, di adorazione… certamente! Ma solo dopo che sei caduto a terra ti accorgi che quella è la giusta postura per credere. Perché mai dunque ci avrebbero insegnato a metterci in ginocchio? Mettersi in ginocchio per pregare è assumere la postura di chi nella vita è davvero caduto e farsi compagni di supplica. 

Della malattia del figlio quell’uomo conosce tutti i sintomi. Come un genitore dei nostri tempi quando cerca di leggere nelle cartelle cliniche e impara a memoria vocaboli. Saper raccontare la sintomatologia è un segno che quella malattia si è imparato a conoscerla, ci si prova a convivere e dandole un nome pare già un modo per contenerla e arginarla. È in un certo senso esercitare quel potere di dare il nome alle cose.

Ma certo, l’uomo non avrebbe mai pensato di dover dare il nome pure a cose sgradevoli o spiacevoli perché in principio Dio stesso ebbe occhi solo per le cose buone. Ma scoperto che nel mondo esiste il male, ci pare che dando il nome ad una malattia la cosa possa contenersi. E pure Dio si è fatto attento al male: orecchi che ascoltano il gemito della creazione, l’umano soffrire. Occhi che guardano nella direzione di ogni figlio che soffre.

Il padre cade stremato dalla fatica di star dietro a questo figlio malato. Il figlio cade pure lui, nel fuoco e nell’acqua. Da un’estremo all’altro, completamente incapace di controllare i suoi movimenti, senza neppure sentire che quel fuoco brucia e quell’acqua infradicia. Quell’uomo fa un’ultimo tentativo. Probabilmente non voleva nemmeno rivolgersi al Maestro. Gli sarebbero bastati i discepoli se questi fossero riusciti  guarirlo ma, non riuscendo, si vede costretto all’estrema richiesta. Egli va direttamente alla fonte. 

Gesù non pare affatto spaventato da quella malattia. Egli sa che minacciando il demonio avrebbe ottenuto l’effetto desiderato. Rimane invece seccato dall’incapacità dei discepoli a guarire dato che Lui stesso aveva dato loro il potere di farlo. La sua invettiva contro la generazione incredula non è generica ma indirizzata anzitutto ai suoi discepoli. A noi, se volete. Non sappiamo neppure cosa disse Gesù per allontanare il demonio ma certo è che il risultato fu ottenuto.

È più una questione di comprendere alcune cose che sono della fede. E non di altro. Da tempo battiamo questo chiodo: la fede ha un suo legame strettissimo con l’ascolto della parola buona, la buona notizia del Vangelo. È proprio della fede permettere l’ascolto di parole buone, in modo tale che poi, quello che ci sarà fatto, sarà esattamente secondo la nostra fede. Forse non sapremo pronunciare parole che ci facciano vedere malati che si rialzano prontamente dal letto o demoni che se ne vanno lasciando in pace l’uomo. È vero tuttavia – ed è un gesto di fede –  che possiamo allontanare da noi i pensieri cattivi che ci invadono la mente e ci occupano le giornate. Quei pensieri che spesso coccoliamo quasi che gli altri possano volerci più bene per il fatto che stiamo male.

Quando Gesù parla di semi è sempre per ricordarci che lì dentro c’è vita. E se il seme di senape diventa simbolo della fede, possiamo dire che nella fede c’è quella stessa forza del germoglio che riesce a spostare sassi e farsi strada dal sottosuolo. Caduto in terra, anche il seme, porta frutto. Caduto in terra, anche l’uomo, mette a frutto la sua fede. Certi pensieri ossessivi in noi sono davvero montagne ingombranti. Si tratta di dare più spazio all’ascolto del Vangelo che è come quel granello dinamico e forzuto. 

Resteremo incorreggibilmente incapaci di guarire? Prestiamo attenzione alle parole che Gesù dice dopo aver rimproverato i suoi come parte di quella generazione incredula. Dice: “Portatelo qui da me!“. La fede ci fa portare davanti a Dio ogni forma di umana fatica e di umano soffrire certi che Dio sa mettere un termine al Male. Certo cose che Dio ha compiuto attraverso la vita umanissima di Gesù stesso, stanno ancora ai nostri occhi nell’ordine della cose impossibili. Proprio qui si intuisce la nostra poca fede, così incapace di ascoltare o decifrare una storia di salvezza in corso.

Il Signore è un rifugio per l’oppresso,

luogo sicuro in tempi di angoscia.

Chi ti conosce ha fiducia in te, Signore:

tu non abbandoni chi ti cerca.

Celebrate Dio, Signore di Sion,

proclamate tra i popoli le sue meraviglie.

Mostrami la tua bontà, Signore,

non farmi giungere alla porta della morte.

Guidami alla porta di Sion:

là canterò le tue lodi,

con gioia griderò che tu mi hai liberato.

(dal salmo 9, traduzione interconfessionale in lingua corrente TILC)


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Piccoli Pensieri (4)

Maria Rosa

Noi siamo davvero così
Siamo piegati così ma il Signore ci rialza e ci pone in relazione con Lui
Rialzaci anche oggi Signore dalle nostre miserie perché godiamo della tua gloria
Fa che coltiviamo quel granellino che anche in noi c’è.

9 Agosto 2020
Dania

Chiedo o meglio ancora chiediamo a Dio di essere discepoli coraggiosi, che in virtù della poca fede che hanno in questo Dio dell’impossibile riescono a tradurre la Parola in opere ed azioni, che mai avrebbero pensato di poter fare un giorno, un mese e perfino anni prima. E se falliremo potremo sempre alzare gli occhi al cielo supplicadoLo, intonando “Dio ti prego agisci Tu…l’uomo che confida in Te non è deluso”. Come non cercare e provare ad amare un Dio così, in ogni cosa ed in ogni uomo??

8 Agosto 2020
Rosaemma

“Come il seme, caduto in terra,porta frutto, anche l’uomo….”. Signore,aiutaci a rialzarci, dopo che siamo stati messi in ginocchio dalle inevitabili prove della vita…. Signore, aiutaci a riscoprire la fede nella tua Parola vivificante….

8 Agosto 2020
Emanuela

Questo padre mi ricorda la traduzione in un libro di Erri de Luca delle beatitudini dall’ebraico. I ‘poveri in spirito’ dalla traduzione letterale sono gli ‘abbattuti di vento’, l’autore li descrive come boccheggianti, con lo sterno al suolo, le labbra all’altezza dei sandali degli altri.
Nella nostra cultura è una vergogna mostrarsi così, eppure è proprio così che a volte ci sentiamo quando ci presentiamo con tutti i nostri fardelli davanti al Signore

8 Agosto 2020

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