Rosso di Verona (… anche le pietre raccontano)

Data :12 Aprile 2024
Commenti: (3)

Del tuo Spirito, Signore, è piena la terra… è piena la terra.
(dalla Messa “Come fuoco vivo”, Gen Rosso)

Riposano nei suoi depositi sotterranei, scarti di pietre tagliate a filo di lama o a spacco, pietre utilizzate per rivestire una chiesa che compie quest’anno i suoi primi vent’anni. Sono pietre di una varietà di marmo conosciuto con il nome di «rosso di Verona». Le restanti, quasi pietre scartate per imperfezione, hanno spesso rivisto la luce del giorno e ritrovato vita quando a più riprese le abbiamo utilizzate come decorazioni e allestimenti temporanei. Pietre che all’occasione di questo ventesimo anniversario, servono ancora. E da scarti che nessuno oserebbe gettare, improvvisamente parlano, raccontano. Segnano incontri o passaggi, proprio come le pietre miliari sulle strade percorse dagli uomini. 

Sono tornato ieri sera, giovedì 11 aprile in quella chiesa dalle pietre che sembrano anch’esse vivere. Sono passati otto anni da quando vi ho celebrato per l’ultima volta. Ieri sera il Risorto ci ha voluti lì. Ci attendeva lì. Per dirci la sua Parola. Per spezzare il Pane. Per farci gustare la Comunione che Lui stesso è sempre capace di creare. In una fraterna e disarmante semplicità abbiamo celebrato l’Eucarestia. Tra fratelli e sorelle. Tra amici che mai pensavo di trovarvi così numerosi. 

Don Alberto ha pensato bene di invitare i suoi predecessori che in questi vent’anni si sono succeduti – giorno dopo giorno, celebrazione dopo celebrazione – nella chiesa dedicata a San Giovanni XXIII, presso l’omonimo Centro pastorale a Seriate, nel quartiere conosciuto con il nome di Paderno. Fateci un giro, semmai qualcuno leggesse da non so dove. Ne vale la pena. L’opera monumentale porta la firma dell’architto Mario Botta che si rallegrò  – le mie orecchio lo hanno sentito parlare così – di vedere una sua opera vivere, paragonandola perfino ad un arnia verso cui le api si dirigono per preparare il dolce miele. Disse così la vigilia di una Pasqua, un sabato santo mattino quando la chiesa si stava riempiendo di bambini e famiglie per un tempo di preghiera. L’opera scultorea invece porta la firma di un altra grande artista: Giuliano Vangi. 

Imponente come una torre, una roccaforte con i suoi quattro angoli che sembrano radicarsi profondamente nella terra dell’ampio parco che la circonda. Lei sta lì. Il tempo le scorre accanto, intorno, dentro, sopra… vive nelle stagioni che si susseguono. Come noi. Così apparentemente invalicabile a ragione delle sue porte dall’aspetto blindato, indubbiamente pesanti da aprire, quasi a chiedere una presa di coscienza per attraversarne le sue soglie. Dentro tutto è luce. Che scende dall’alto, che riverbera e rimbalza sui suoi listoni di legno dorati, tessere di un mosaico modernissimo, fondo di un icona dove il divino scende e si offre spontaneo – come la luce, per illuminare e rischiarare l’umano. 

Nel doppio abside è scolpita la sofferenza di Gesù e la resurrezione del Cristo, nell’unica figura di un Uomo, il nuovo Adamo che ha lasciato la sua impronta sulla Terra, le cui mani e piedi escono dal bassorilievo perché Dio stesso vuole camminare con gli uomini e accoglierli. A fianco, nell’altro abside la sofferenza di una donna che sembra raccoglie l’ultimo respiro della figlia, una pietà dei nostri tempi, di ogni guerra umana. Madre e figlia, velate. Chi presiede la celebrazione sta lì sotto. Tra umane vicende di ieri e di oggi. 

Incuriosisce al passarle accanto, sulla strada principale. Qualcuno ha spesso deviato il suo procedere per arrestarsi ed ammirarla. E raccogliersi. Quella chiesa una volta entrati è tenda di convegno, che sembra voler accogliere i figli di Abramo. I figli di quell’uomo che tra tante voci interiori ci ha insegnato che una di quelle dev’essere proprio la voce di Dio che parla all’uomo. E non puoi non ascoltare. E non puoi non considerare quanto dice, capace com’è di penetrare fino al punto di giuntura (Ebrei 4,12) e fendere il cuore dell’uomo anche quando fosse duro come la pietra. Il Dio di Abramo spacca pietre e modella cuori. Scolpisce e plasma. Il vero artista e noi contempliamo la Sua opera. 

È davvero Abramo che ci ha dato la prima grammatica della fede, lui il padre dell’Israele di Dio, il popolo che Dio s’è scelto, il padre di noi che ci chiamiamo cristiani, il padre dei figli dell’islam. In quella chiesa sono anzitutto dei figli di Abramo che si radunano. E parlano delle cose della terra. Parlano di loro stessi, delle loro paure, dei loro dolori, delle loro pene. Parlano… pregano. Sperano di essere ascoltati. In quella chiesa il rosso di Verona ricopre le pareti in corrispondenza dell’altezza delle persone. Due metri circa ,non di più. Ma dei suoi ventiquattro metri di altezza la più parte è luce. È il prevalere della luce sulle tenebre, è invito ad ascoltare la parola che come la Luce viene dall’alto. Non prevalgono le parole della terra in quel luogo sebbene noi, figli di Abramo, continuiamo a parlare secondo la terra. Su quel fondo dorato, i figli di Abramo diventano senza ancora ben comprenderlo icona della Chiesa stessa, comunione di chi già è pienamente in Dio e di noi che camminiamo non ancora in visione. 

Dal cielo viene la luce. Dal cielo viene la Parola. Dal cielo viene il Figlio di Dio. Dall’alto dobbiamo rinascere, per non rimanere impantanati nelle sabbie mobili della stessa terra di cui siamo fatti, quando la terra sotto i piedi sembra crollare. Al di sopra di tutto e di tutti ci sia sempre quella Luce, quella Parola, quel Figlio di Dio che è Gesù, il Cristo. Al di sopra di tutto vi sia l’Amore. Scrive Paolo nella lettera ai Colossesi (3, 12-17):

«Scelti da Dio, santi e amati,
rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza,
di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità,
sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri,
se qualcuno avesse di che lamentarsi
nei riguardi di un altro.
Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi.
Ma sopra tutte queste cose
rivestitevi della carità,
che le unisce in modo perfetto.
E la pace di Cristo regni nei vostri cuori,
perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo.
E rendete grazie!
La parola di Cristo abiti tra voi
nella sua ricchezza.
Con ogni sapienza istruitevi
e ammonitevi a vicenda
con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine,
cantando a Dio nei vostri cuori.
E qualunque cosa facciate,

in parole e in opere,
tutto avvenga nel nome del Signore Gesù,
rendendo grazie per mezzo di lui
a Dio Padre».

A volte è così chiaro ed evidente che sia Lui, risorto e vivo nella sua Chiesa, a radunarci per fare dei figli di Abramo dei figli di Dio! La Parola di Dio e Gesù stesso che ne è l’incarnazione più coerente tra dire e fare, scende come Luce ad illuminare. C’è qualcosa di prezioso che la Chiesa continua a fare ed è proprio questo il vero miracolo di cui essa sia ancora capace dal giorno della Resurrezione: non ha mai cessato di far udire questa Parola che viene dall’Alto e scende nel profondo ad illuminare ogni zona d’ombra dell’umano. E forse è soltanto per questo che possiamo dirci e considerarci obbedienti al Signore Risorto, per quel comando che sta inciso lì nella pietra e avvolge tutto l’ambone: «Andate in tutto il mondo e annunciate il vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15) e che ancora oggi prendiamo sul serio.  Noi siamo i figli di Abramo divenuti figli di Dio per questo ascolto che ci fa rinascere. Per questa vita eterna che non può che risorgere. 

Auguri, chiesa di Paderno! Mentre Dio conta i passi del nostro vagare (salmo 56), il tuo pavimento ha conosciuto i passi di coloro che tu hai accolto. Che tu possa ancora e sempre accoglierne. Mentre Dio raccoglie nel suo otre le lacrime dei suoi figli (salmo 56), il tuo pavimento pure ha visto lacrime, di gioia o di dolore. Le tue pietre continuino ad ascoltare preghiere di supplica e canti di lode. Sei stata sognata, desiderata, voluta, progettata e infine costruita per essere «una casa per sentirsi più vicini a Dio» (da «L’Eco di Bergamo», domenica 9 maggio 2004). Piova sempre dall’alto e risuoni sempre tra le tue mura la Parola di Dio.

Quei figli di Abramo, già divenuti figli di Dio hanno formato anche ieri sera la famiglia di Dio, il Corpo del Risorto. Mi ha commosso il pensarci riuniti in quel modo, attraverso quell’Eucarestia: e pensare che in quei seicento metri quadrati – non pochi certo ma sempre un piccolo fazzoletto di terra rispetto al mondo intero – ci sia potuto stare tanto affetto reciproco, sincero e schietto. 

Ricevi, o Terra, non solo il sangue dei tuoi figli che ancora muoiono nella violenza e nelle guerre.  Ricevi, o Terra, anche questa gioia, semplice e profonda, degli umani incontri, come il seme di una pace che vorremmo sbocciasse come i fiori della bella stagione. Salga fino a Te, Signore, anche il clamore di tutte quelle mani che applaudendo dicevano riconoscenza, gratitudine vicendevoli o semplicemente la gioia di essere così riuniti. Quella pietra in rosso di Verona che mi è stata donata e che già è qui con me a Losanna, racconterà e ricorderà di questo rinnovato incontro. A voi tutti, carissimi amici, grazie di cuore per questo incontro pasquale. 

Dal Vangelo secondo Giovanni
(3,31-36)

Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla secondo la terra. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza. Chi ne accetta la testimonianza, conferma che Dio è veritiero. Colui infatti che Dio ha mandato dice le parole di Dio: senza misura egli dà lo Spirito.
Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui.

Quanto sono amabili le tue dimore,
Signore.
Anche il passero trova una casa
e la rondine il nido
dove porre i suoi piccoli.
Beato chi abita nella tua casa:
senza fine canta le tue lodi.
Beato l’uomo che trova in te il suo rifugio
e ha le tue vie nel suo cuore.

(dal salmo 84)

Sei stato buono, Signore, con la tua terra,
hai ristabilito la sorte di Giacobbe.
Hai perdonato la colpa del tuo popolo,
hai coperto ogni loro peccato.
Hai posto fine a tutta la tua collera,
ti sei distolto dalla tua ira ardente.
Ritorna a noi, Dio nostra salvezza,
e placa il tuo sdegno verso di noi.
Forse per sempre sarai adirato con noi,
di generazione in generazione riverserai la tua ira?
Non tornerai tu a ridarci la vita,
perché in te gioisca il tuo popolo?
Mostraci, Signore, la tua misericordia
e donaci la tua salvezza.
Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore:
egli annuncia la pace
per il suo popolo, per i suoi fedeli,
per chi ritorna a lui con fiducia.

(dal salmo 85)

Fra gli dèi nessuno è come te, Signore,
e non c’è nulla come le tue opere.
Tutte le genti che hai creato verranno
e si prostreranno davanti a te, Signore,
per dare gloria al tuo nome.
Grande tu sei e compi meraviglie:
tu solo sei Dio.
Mostrami, Signore, la tua via,
perché nella tua verità io cammini.

(salmo 86)


Rimani aggiornato per ricevere i miei nuovi articoli




Piccoli Pensieri (3)

Emilia Mariani

La luce del Signore non può mancare nel nostro cammino ed è bello vedere e provare che può arrivare nel modo più semplice e vero. Grazie, Signore.

13 Aprile 2024
Savina

“Sol chi guarda il mondo con occhi di meraviglia racconta col cuore ciò che vede”.
Grazie di cuore don Stefano.
Questa descrizione conferma il mio ” sentirmi a casa” quando entro in una chiesa.
È vero, dentro le nostre chiese si vivono gioie e dolori accompagnati e sostenuti dalla Parola.
In questi nostri giorni così buio mi vengono alla mente tutte le parole dei Profeti che ci invitano a tornare al Padre con cuore contrito e accogliente e il Padre saprà agire in nostra difesa e sostegno.

13 Aprile 2024

Non so dire quanto sia bello e sorprendentemente tempestivo trovare questa riflessione qui, ora. Io che ieri non ho potuto partecipare alla riunione comunitaria perché influenzata e nella serata di oggi mi preparo ad affrontare l’avvento della stessa affezione sulla mia piccola Adele, l’ho recepita come autentica boccata d’aria. Per quanto uno possa esser “preparato” la vita coglie sempre i momenti più fitti di sollecitudini per metterci un poco più alla prova, ed ecco che allora la Lettera di Paolo ai Colossesi, letta frammezzata dalle richieste di rassicurazione del fidanzato (autenticamente preoccupato per la sorte della figliola), acquista una puntualità inedita. Cosí come pure la poetica lettura della medesima struttura architettonica che, per sua natura intrinseca, nel corso dell’ estate sa anche mettere a dura prova, mi accompagna a ripensare non solo quella chiesa ma anche al mio vissuto in modo nuovo: tornando a mettere l’accento sulla luce, sulla speranza, sulla fiducia. Grazie Don Stefano e a buon rendere!

12 Aprile 2024

Scrivi il tuo Pensiero

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *