Instancabile presente

sant’Ambrogio (Is 40,25-31 / Sal 102 / Mt 11,28-30)

Il profeta Isaia – nella prima lettura di oggi – canta la grandezza di Dio. Nessuno a Lui si può paragonare. È indubbiamente proprio della fede esaltare la grandezza di Colui in chi si ripone la propria fiducia. «A chi potreste paragonarmi, quasi che io gli sia pari?» dice il Santo. Levate in alto i vostri occhi e guardate: chi ha creato tali cose? Egli fa uscire in numero preciso il loro esercito e le chiama tutte per nome; per la sua onnipotenza e il vigore della sua forza non ne manca alcuna. (Is 40,25-26)

Per sottolineare poi la grandezza del Creatore non resta più che accentuare la distanza delle sue creature, cosa che pure Isaia non rinuncerà a fare, forte della sua capacità di osservazione e di ascolto: Dio eterno è il Signore, che ha creato i confini della terra. Egli non si affatica né si stanca, la sua intelligenza è inscrutabile. Egli dà forza allo stanco e moltiplica il vigore allo spossato. Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono (Is 40,28-30).

Non servono profeti né parole di Dio per conoscere la fragilità dell’uomo. Serve soltanto un po’ di onestà con se stessi: imparare ad ascoltare anche la propria stanchezza può far nascere rispetto, può far riscoprire anche la bellezza di un comandamento che chiede all’uomo il riposo. Crediamo ancora che sia dei giovani il vigore e degli anziani la stanchezza. Ogni età della vita conosce tempi di fatica, di stanchezza, di difficoltà. Dovremmo forse ricordarcelo maggiormente. Saper superare una fatica o un ostacolo non significa che da quel momento in poi tutti lo sapranno fare. Oltre l’ostacolo, oltre la fatica si può solo essere segno che è possibile superare le prove. Proprio come Cristo risorto che oltre la morte sta davanti a noi per dire che dalla morte si può risorgere. 

Davanti alle parole di Isaia, vado riflettendo: il nostro Dio avrebbe dunque bisogno di accentuare distanza per affermare la sua grandezza? La sua santità consisterebbe nel sottolineare la nostra indegnità, la nostra distanza da Lui? La grandezza di Dio sta piuttosto racchiusa nella sua capacità di farsi in tutto simile alle sue creature per comprenderle fino in fondo, per essere solidale con esse. Solo chi sa comprendere e ascoltare le umane fatiche può offrirsi come solido punto di riferimento e di ristoro. Questa è la grandezza di Dio che si farà conoscere nella debolezza di un bambino esposto al pericolo di stare al mondo. È proprio dell’amore – come cantava San Giovanni della Croce – farsi in tutto simile all’amata.

Gesù non condannerà mai la fatica e la stanchezza dell’uomo. Non calcherà la mano e i toni per affermare la sua identità. Egli si offre semplicemente per condividere il peso di quel giogo che si impone a noi col passare dei giorni. Prendere in braccio quel Bambino nato a Betlemme è accogliere Colui che ha voluto condividere la nostra natura umana facendosi trattare da peccatore pur non essendolo. Ecco fin dove arriva l’instancabile Dio in cui crediamo.

Dal Vangelo secondo Matteo
(11,28-30)

In quel tempo, Gesù disse: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

A proposito di solidarietà, di condivisione e di compagnia, leggevo in questi giorni una lettera scritta da Simone Weil che può ancora aiutarci a riflettere sulle parole del vangelo di oggi:

Bisogna sentire la realtà e la presenza di Dio attraverso tutte le cose esteriori senza eccezioni, con la stessa chiarezza con cui la mano avverte la consistenza della carta attraverso il portapenne e la penna […] Avverto il bisogno essenziale, e credo di poter dire la vocazione, di passare fra gli uomini e i diversi ambienti umani fondendomi con essi, assumendone lo stesso colore, almeno nella misura in cui la coscienza non vi si opponesse, dissolvendomi fra loro, affinché si mostrino quali sono, senza dissimularsi ai miei occhi. Desidero conoscerli per poterli amare quali sono. Perché se non li amo quali sono non sono loro che amo, e il mio amore non è vero. (S. Weil, Attesa di Dio, Adelphi Edizioni, 2008)

La pace di Dio non è un grido
lanciato ai quatro angoli dell’universo.
La pace di Dio è Dio stesso che rischia la sua vita,
figlio degli uomini, la notte di Natale.

L’amore di Dio non è una parola
che culla i nostri sogni di vivere in alto.
L’amore è Dio che rinasce dalle acque,
acqua viva e nuova che sgorga nel deserto.

Il giorno di Dio non è un giorno,
un istante della storia, un momento senza ritorno.
Il giorno di Dio, è Dio per sempre,
vivente, senza notte, senza riposo.

(inno della liturgia francofona)

6 dicembre 2022 – Ouchy (Losanna), il lago Lemano

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Piccoli Pensieri (3)

Marco

Non sono stato capace spesso di esserci, umile e mite, perché ho ascoltato e ascolto la mia iniquità e il mio orgoglio, ma ogni volta alla fine ho guardato quel bambino, quel verbo che si è fatto umanità e ho pianto di gioia lavando in un attimo la mia anima con queste lacrime, e capisco cosa vuol dire essere mite e umile come te mio Gesù….. e non perdo la speranza

8 Dicembre 2022
Dania

Instancabile presente che chiede di farsi presenza in ogni nostro giorno, quasi fosse il primo o l’ultimo. La nostra gioia è Sua gioia, il nostro dolore è Suo dolore ma noi sapremo far diventare la Sua speranza nostra speranza, i Suoi sogni nostri sogni? La via potrà essere solo una: quella della mitezza e dell’umiltà con cui è venuto, è stato e continua ad essere nel mondo. Insegnaci instancabilmente il modo, per essere come Tu ci vuoi e scopriremo misteriosamente che Tu invece ci ami così come siamo. Per questo oggi e sempre Ti ringraziamo.

7 Dicembre 2022
Emanuela

“La pace di Dio non è un grido” è un’affermazione e una preghiera bellissima.
Solo le armi urlano, e chi alza la voce per imporre la pace, sta solo facendo un’altra guerra.
Quanto ancora abbiamo da imparare da Gesù ‘mite e umile di cuore’.

7 Dicembre 2022

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