Diede loro potere (indizi per un corretto esercizio dell’autorità)
XI domenica del Tempo Ordinario (A)
(Es 19,2-6 / Sal 99 / Rm 5,6-11 / Mt 9,36-10,8)
Dio e Padre nostro,
La tua parola contenuta nelle Scritture
sia la nostra bussola
per non smarrirci nel cammino
e il tuo Spirito
sia la nostra forza nella lotta
per non cadere nei tranelli
della nostra cupidigia
e delle nostre passioni.
Amen.
Dal Vangelo secondo Matteo
(9,36-10,8)
In quel tempo, Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe perché mandi operai nella sua messe!».
Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità.
I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello; Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo, figlio di Alfeo, e Taddeo; Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, colui che poi lo tradì.
Questi sono i Dodici che Gesù inviò, ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».
Di questo sfinimento evangelico anche il nostro mondo, il nostro tempo, potrebbe esserne un’ennesima illustrazione. Va forse detto che gli uomini in ogni epoca e in ogni tempo hanno i loro momenti di stanchezza. Ogni giornata di fatto porta con se il segno di questa condizione di stanchezza e affaticamento: qualcuno è stanco di fare, di lavorare, a volte pure invano. Altri invece sono stanchi di non poter fare, di non trovare lavoro, casa e pane. E continuano a bussare, ad andare in cerca, a mendicare una qualche attenzione. Perché forse non è soltanto una questione di lavoro, di casa e di pane. È piuttosto la paura incombente di non sapersi parte di una collettività, di una società.
Come pecore senza pastore: similitudine che molto doveva dire ai contemporanei di Gesù e che probabilmente rischia di dire poco a noi oggi. Non si tratta di pecore allo stato brado. Non si tratta di animali selvatici. Sono pecore che il pastore ha fatto sue, pecore che gli stanno a cuore, così a cuore che anche se solo una dovesse perdersi per una qualsiasi ragione, andrebbe follemente a cercarla. Sono le pecore che conoscono la voce del pastore e per questo hanno imparato a fidarsi e seguirlo. E lui, il pastore, mentre le pecore brucano su pascoli di erbe tenere e fresche o bevono ad acque chiare e tranquille, se ne sta tranquillo a contemplare il suo gregge e il pascolo ove si trova con le sue pecore. Sono immagini già conosciute dai profeti, scene di vita quotidiana evocate ad emblema della relazione tra Dio e il suo popolo.
La Chiesa continua ancora a chiamare «pastorale» ogni sua azione finalizzata a pascere il gregge affidatole dall’unico Pastore buono. Il termine pastorale si rifà proprio a questa immagine biblica. Ora sarebbe pure legittimo chiedersi: se il gregge appare ancora oggi stanco e sfinito, stiamo davvero compiendo la giusta azione pastorale? E se il gregge è assetato e affamato, perché non trova pascolo? Dove può trovare pascolo? Sarà questione di pastori o sarà pure questione di gregge che non si sente più tale, che non ama riconoscersi in questa immagine di comunione? E provo ad essere più esplicito anche se forse meno evocativo o poetico: abbiamo ancora bisogno di pastori? Non solo in ambito ecclesiale. La domanda potrebbe davvero applicarsi ai diversi ambiti della nostra vita: abbiamo ancora bisogno che qualcuno prenda il comando ed eserciti un’autorità?
Si rivendica autonomia su più versanti e chi deve esercitare l’autorità sa bene – oggi più di altri tempi – quanto incombe sempre più il rischio di incorrere in quello che abbiamo imparato bene a chiamare come abuso di potere. Siamo diventati esperti nel discernere ogni forma di abuso di potere. Di riflesso tuttavia rischiamo di non voler nemmeno più sapere cosa significhi esercitare autorità. E per altro è la vita stessa che sembra reclamare questo esercizio: non sono forse i genitori per primi chiamati ad esercitare autorità parentale sui proprio figli? E poi insegnanti, professori… e via via fino agli uomini della politica e della Chiesa…. autorità.
Il Vangelo di oggi potrebbe davvero venire in nostro aiuto se la nostra stanchezza e smarrimento derivassero proprio da questo che sembra un impasse, un dibattito senza via d’uscita tra autonomia rivendicata ad ogni costo e l’esercizio dell’autorità esercitato al meglio delle sue possibilità. Mettiamoci dunque alla scuola di questo brano di Vangelo più che noto e lasciamo che il divino Maestro ci insegni cosa e come si possa esercitare autorità, come cioè si possa condurre un gregge a ritrovare le sue risorse, le sue energie.
Alla constatazione della stanchezza e dello sfinimento delle folle che ha suscitato compassione (e già questa sarebbe un primo indizio per l’esercizio dell’autorità) segue l’invito che Gesù rivolge ai suoi di pregare il padrone della messe abbondante. Servono collaboratori all’opera della comunione, della condivisione e non persona che incitano a spartire la preda o il bottino, che viene presentato sempre più magro. Lui, il buon Pastore si prendeva cura delle folle come fosse l’unico gregge, affamato e assetato. E insegnava a condividere più che ad accaparrare per sé. Non è forse questa un’azione pastorale? Non è forse questo un autorevole compito per chi deve condurre a pascoli erbosi il gregge? La messe è molta e il frutto di questa messe è per la sussistenza del popolo. Continuiamo a considerare la fine del mondo come fosse la tragica fine delle risorse per la sussistenza della specie umana, ma non consideriamo abbastanza quanto troppo c’è nei recinti di pochissimi. La messe abbonderebbe ancora se sapessimo distribuire risorse secondo i reali bisogni e non secondo l’avido interesse di accumulare e di arricchire.
Quindi chiamò i suoi discepoli per dare loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità. Questi discepoli, che subito dopo nel testo saranno già chiamati apostoli (cioè inviati) vengono dunque incaricati di un preciso mandato, una missione chiara. Viene loro conferito un potere. Ed è questa la questione: su chi o cosa gli uomini esercitano potere? Voi sapete – si legge più avanti nello stesso Vangelo di Matteo – che i governanti delle nazioni dóminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così (Mt 20,25-26). Il potere dunque per Gesù viene conferito non per esercitare supremazie o imporre sudditanze. Il potere è da esercitare su tutte le forze contrarie ed ostili ad ogni persona. Sappiamo quanto al tempo di Gesù le persone affette da malattie, possedute da spiriti impuri o altri venivano tenute lontane, separate per paura di rendere impuri un numero superiore di persone. E tutto questo avveniva con tanto di sigillo religioso: ogni cosa, animale o persona che potesse rendere impuri era da tenere ben distante. Il potere che Gesù conferisce ai suoi è un potere contro il Male in vista della salvezza dell’uomo. Nessuna attenuante al Male dunque ma le persone venivano salvate, nuovamente accolte, riabilitate. E questo dunque è il potere che è nelle mani dei suoi discepoli. Ricevuto gratuitamente o solo a motivo di quella compassione davanti allo sfinimento delle folle. Non grazie dunque a noi, quanto piuttosto grazie a Lui che con lo stesso sguardo compatisce ancora la nostra carne liberandola dal male che opprime e sfinisce.
Il luogo della missione è poi delimitato ai confini della casa d’Israele. Una missione interna diremmo, una missione a quelli della propria casa non ai lontani, a coloro che erano considerati impuri solo perché non si identificano con il popolo del Signore. E quindi la missione è all’interno del recinto e rivolta in primo luogo a quelli che credono d’essere più meritevoli di altri solo perché potevano vantarsi di essere stati scelti dal Signore quali suo popolo. La salvezza non è un vanto di separazione; la salvezza non è nemmeno credersi dalla parte giusta del mondo; la salvezza non è sentirsi al sicuro solo perché qualcuno è sulla terra ferma e non in mezzo al vasto mare quando fa tempesta. La salvezza sta tutta racchiusa nell’annuncio della vicinanza del Regno di Dio. Difficile dirsi autorevoli e credibili quando non si prova compassione per il gregge smarrito; impossibile riconoscere la presenza del Regno di Dio quando il potere è usato per affermare se stessi più che servire l’uomo per dare gloria a Dio. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni: azioni rivolte all’uomo nelle sue peggiori condizioni. Proprio perché mosso a compassione da queste stesse condizioni, Dio s’è fatto uomo. Impossibile per noi credere che Dio abbia il potere di limitarsi alla natura umana. Impossibile anche credere che l’uomo possa avere un tale potere ma Egli è venuto per condividerci tutto di sé e dunque per darci questo semplice manuale per l’esercizio dell’autorità da discepoli come apostoli. In fondo abbiamo lasciato la condizione puerile nella quale altri hanno avuto autorità su di noi e siamo entrati nella vita adulta proprio per esercitare nella libertà questo potere che il Signore ha condiviso e affidato ai suoi.
Dall’alto, come su ali d’aquila, vorrei concludere dando uno sguardo all’Eucarestia che ci ha riuniti come un solo gregge, un solo popolo, una sola famiglia in questo giorno del Signore. Siamo stati subito accolti e i nostri peccati sono stati perdonati per quel potere di scacciare spiriti impuri e guarire l’uomo. Abbiamo poi ascoltato la sua Voce, dalla sua Parola, la sua Legge. Egli desidera tanto che la sua Legge sia nel nostro cuore e presto anche sulle nostre labbra perché l’autonomia nasce dall’ascolto di questa Parola quando essa è finalmente radicata nel nostro cuore. E poi radunati nella comunione dell’unico pane raccogliamo il frutto di quella messe abbondante e facciamo ancora prova di quanto ogni uomo possa trovare ristoro dalla condivisione e della comunione. Si tratta di non sentirsi soli. Il Regno di Dio è veramente ancora in mezzo a noi: perdonati, istruiti e nutriti, il Signore ha esercitato la sua autorevole signoria sul suo popolo, il Pastore ha guidato ai pascoli della vita il suo gregge.
Non andiamo più a depredare
lo Spirito rigeneratore:
il Signore è risorto!
Ora è sangue nuovo che scorre nelle vene d’un solo corpo.
La notte dei tempi si trasforma in luce:
l’uomo era morto, ora vive.
Non andiamo più controcorrente
da Colui che ci guida:
il Signore è risorto!
Nella sua carne sorge all’improvviso l’Eternità.
Egli dà il giusto peso ai giorni, alle settimane,
e li conduce verso la gioia.
Non camminiamo più senza meta o luogo
quando Gesù ci accompagna:
il Signore è risorto!
Eccolo farsi Pane sulla tavola dei battezzati.
Dono da Dio offerto in condivisione:
Cristo oggi ci apre gli occhi.
(traduzione da un inno liturgico francofono)
Abbiamo ancora bisogno di pastori?
Sì don Stefano, oggi più che mai.
Oggi, dove ci ribelliamo ad ogni tipo di autorità, oggi dove non vogliamo assolutamente sottostare alle leggi umane che democraticamente ci siamo dati, oggi…. più che mai.
Potemmo anche provare a fare a meno di “pastori” se riuscissimo veramente ad imitare, ognuno di noi, l’unico “Pastore” del quale abbiamo visto e toccato con mano la guida sicura.
Ma siamo ribelli, preferiamo l’anarchia convinti di essere in grado di gestirci da soli.
Con quali risultati lo vediamo tutti i giorni…
Abbiamo bisogno di “pastori” imitatori di Cristo, che ci insegnino a gustare “l’autorevole guida” di Gesù.
Mi sono data tempo e spazio oer riflettere un po’… Poi ho deciso di partire dalle basi, dal vocabolario, ed ecco la “scoperta dell’acqua calda”. Cito testualmente dal dizionario Treccani alla voce “autorità”:”Termine che presenta un’ampia gamma di significati, tutti in qualche modo legati alla capacità – da parte di un qualsiasi soggetto (individuale o collettivo, reale o immaginario) – di determinare o influenzare il comportamento o le opinioni altrui”. Un autorità non è necessariamente qualcuno detentore di potere, nel senso più umano del termine, ma è piuttosto qualcuno capace di influenzare il nostro comportamento e, nel caso specifico, di indirizzarlo in un’ottica migliorativa, per noi e per gli altri. Eccolo l’emblema del potere divino. Non il potere di tenerci in riga nè quello di schiacciarci… Ma il potere di farci fratelli, di tutti e di ciascuno e, cosí facendo, così agendo, rendere il mondo un posto migliore per tutti.