“Dammi senno e discernimento”
I domenica di Avvento (C)
Ger 33,14-16 / Sal 24 / 1Ts 3,12-4,2 /Lc 21,25-28.34-36
Tra giochi di potere, intrighi di corte e regolamenti di conti, alla fine il re Salomone poté salire al trono. Sarà lui a costruire il tempo di Gerusalemme. La cerimonia di insediamento, che comprendeva anche un sacrificio di mille animali, venne fatta a Gàbaon, poco distante da Gerusalemme. Il racconto lo si trova narrato nel terzo capitolo del Primo libro dei Re.
La notte precedente Salomone fece un sogno: in Gàbaon il Signore apparve a Salomone in sogno durante la notte e gli disse: “Chiedimi ciò che io devo concederti”. Salomone rispose a Dio con queste parole ed altre ancora: «Ebbene io sono un ragazzo; non so come regolarmi. Il tuo servo è in mezzo al tuo popolo che ti sei scelto, popolo così numeroso che non si può calcolare né contare. Concedi al tuo servo un cuore docile perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male, perché chi potrebbe governare questo tuo popolo così numeroso?».
Dio gli disse: «Perché hai domandato questa cosa e non hai domandato per te né una lunga vita, né la ricchezza, né la morte dei tuoi nemici, ma hai domandato per te il discernimento per ascoltare le cause, ecco faccio come tu hai detto. Ecco, ti concedo un cuore saggio e intelligente».
La prima lettura di questa domenica, tratta dal libro della Sapienza è l’eco di questo fatto: dopo novecento anni, ancora si racconta di questo sogno e ancora si ricordano le parole di questo dialogo tra Dio e Salomone. Perché dunque ricordare un dialogo così intimo se non per suggerire ad ogni uomo di adottare lo stesso atteggiamento di Salomone? La sapienza non è congenita all’autorità, ma ogni uomo può riceverla. Occorre chiederla nella preghiera e non pretendere di conoscere da sé cos’è bene e cos’è male.
Pregai e mi fu elargita la prudenza,
implorai e venne in me lo spirito di sapienza.
La preferii a scettri e a troni,
stimai un nulla la ricchezza al suo confronto. […]
L’ho amata più della salute e della bellezza,
ho preferito avere lei piuttosto che la luce,
perché lo splendore che viene da lei non tramonta.
(Sap 7, 7-8.10)
Dal Vangelo secondo Marco
(10,17-30)
In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”».
Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».
Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà».
Anche noi, potremmo rispondere come questo tale: «Tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza»… anche chi avesse vaghi ricordi di un cammino di fede, non esiterà a ricordare che i primi passi furono proprio questi: insegnati i comandamenti si tratta di imparare a rispettarli. In fondo sarebbe proprio Dio ad aver donato per primo le Tavole della Legge al suo popolo e dunque anche a noi sembrava più che giusto partire da qui: insegnare e osservare i comandamenti. Un dettaglio non indifferente forse ci è sfuggito e che, cioè, prima di donare i comandamenti, Dio ha udito il grido degli oppressi e per primo s’è impegnato per liberare da ogni forma di schiavitù, da quella imposta dal faraone d’Egitto a quella già seria e profonda dell’idolatria. I comandamenti segnano i margini di un cammino da percorrere dopo la liberazione per giungere nella terra che Dio aveva già indicato ad Abramo.
A cosa servono i comandamenti se non ci è possibile camminare perché ancora imprigionati? Quel tale che fin da giovane si credeva in cammino verso la vita eterna per il fatto di aver osservato i comandamenti, si accorge improvvisamente che le sue ricchezze sono il vero ostacolo che impedisce di seguire liberamente Gesù.
La ricchezza – pensa l’essere umano – è evidentemente espressione del suo potere di acquisto e fonte di sicurezza. La ricchezza – per una strana visione teologica – potrebbe persino? E cosa dovrebbero pensare di loro stessi? Finché l’uomo è nella condizione di potere non può sperimentare l’impossibile che a Dio è possibile. Ciò che a noi sempre impossibile è proprio seguire Gesù, vivere la vita umana proprio come lui l’ha vissuta. Quel tale che corre incontro a Gesù pensa al suo domani, mentre Gesù gli offre di iniziare in quell’istante preciso una vita nuova. La vita eterna non è una ricompensa per domani, ma è già la vita di colui che segue Gesù.
La tristezza del ricco, che l’evangelista mette bene in luce (avrebbe potuto non rilevarla) è dunque di buon auspicio: egli sta prendendo coscienza. Quando il tale che possedeva molti beni saprà smettere di voler «fare» per «avere» nel senso di guadagnarsi da solo la sua salvezza, potrà finalmente accogliere la salvezza che Dio gli darà. Quanto ai discepoli, anch’essi sono ancora imprigionati nella logica del merito. La vita eterna è un dono e non un merito. Il discepolo non sarà che un testimone di questa vita ricevuta in dono. E come? Donando.
O alto e glorioso Dio,
illumina le tenebre del cuore mio.
Dammi una fede retta, speranza certa,
carità perfetta e umiltà profonda.
Dammi, Signore, senno e discernimento
per compiere la tua vera e santa volontà.
Amen.
(san Francesco di Assisi)
Chiedere di “avere in eredità la vita eterna” è proprio un pensiero da ricchi!! Una preoccupazione di persone che neppure si accontentano del troppo che già hanno in questa vita terrena da volersi immaginare protetti, al sicuro, riconosciuti, tranquilli… in eterno. È un pensiero deviato e deviante che non ci fa vedere chi non ha un’eredità di vita, chi non riesce neppure ad immaginare che vita farà domani, che vita potrà garantire ai suoi figli o ai suoi vecchi perché è sotto privato da ogni minima sussistenza, protezione, riconoscimento.
Non abbiamo più bisogno di essere anestetizzati anche se siamo angosciati.
Grazie don Stefano per la tua capacità di farci riflettere e pregare.
Solo quando comprenderemo che nulla ci è dovuto, men che meno l’eredità, scopriremo che tutto è un dono “di Lui e del Suo immenso Amore”. A volte basterebbe così poco per farsi dono gli uni degli altri, sgonfiando il nostro io, per far più spazio a Dio.
Sia la Tua parola ad illuminare la nostra vita, affinché si possa camminare insieme a Te Signore.
Grazie Don Stefano, un caro saluto.
Grazie don Stefano: è un dono questa tua riflessione.
Parto dalle parole di San Francesco che ben riassumono il senso delle scritture di oggi.
Ma chi chiede più queste cose a Dio?
Siamo più orientati a chiedere grazie per la salute, la sicurezza, la tranquillità…
Tutte cose che riguardano solo noi o, adesso, per la brutta situazione mondiale chiediamo la pace ma che siano gli altri a fare il primo passo…
Di quello che dovrebbe abitare il nostro cuore riguarda solo noi.
Ma sono proprio questi doni che possono cambiare la nostra vita orientandola al bene e verso il Padre.
Così per tutto il resto ci pensa Lui come ha promesso…