Tra le contese, un bambino
XXX domenica del Tempo Ordinario (B)
(Ger 31,7-9 / Sal 125 / Eb 5,1-6 /Mc 10,46-52)
Mio Signore e mio Dio,
trasforma il mio essere,
il mio cuore, il mio sguardo,
le mie parole e i miei gesti
nell’intero tuo essere
affinché gli altri possano vederti in me
ed io possa amarti nell’altro.
Dal Vangelo secondo Marco
(9,30-37)
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
«Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi?» chiede l’apostolo Giacomo nella seconda lettura (Gc 4,1). Domanda che ancora ci fa arrossire considerato il tempo presente e l’attualità. Bisognerebbe avere il coraggio di rispondere anche se sappiamo bene quanto questa domanda sia retorica già che l’apostolo stesso ha già proposto una chiave di lettura ben precisa: dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni. (Gc 3,16)
Il fatto è che l’essere umano considera le sue strategie bellicose primizie della propria intelligenza e frutto del progresso e finiamo per convincerci a considerare sapienza ciò che sapienza non è affatto. C’è al fondo del nostro modo di vivere questo continuo discutere tra noi di chi mai possa essere il più grande e come accadde per i discepoli un tempo, così oggi stesso questa domanda risuona nel fondo del cuore di ciascun uditore come nel mezzo di ogni assemblea domenicale come una domanda di estrema attualità. [Gesù] chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?»
Volenti o nolenti la nostra educazione è tesa da secoli alla riuscita, al successo, alla vittoria, al primato, all’affermazione. E per legge matematica dell’inversamente proporzionale mai come oggi ci troviamo a dover sempre più curare i feriti di questa lotta che continua a scartare i perdenti, di questa guerra che continua a lasciare soltanto vittime sul campo.
Gesù, nel vangelo di oggi, rende visibile ai nostri occhi quella che Giacomo chiama «la sapienza che viene dall’alto» (Gc 3,17). Egli prende un bambino e lo piazza in mezzo ai suoi e a quel bambino egli si identifica non tanto per la tenerezza che può ispirare una creatura indifesa quanto per il fastidio che l’insignificanza genera in un mondo che a stento sopporta gli ultimi, gli emarginati e gli esclusi. Per comprendere il gesto di Gesù, sapiente e provocante al contempo, si deve partire dalla considerazione che i bambini a quel tempo non erano affatto considerati e nemmeno contanti, come si dirà per esempio nel racconto evangelico della moltiplicazione dei pani quando si trattò di dire quante persone furono sfamate. Si parlò di cinquemila uomini, senza contare donne e bambini (Mt 14,21). Quel bambino posto in mezzo alle discussione dei grandi non è dunque richiamo a sdolcinate tenerezze di epoche romantiche quanto richiamo ad ogni umano rifiuto, scarto o esclusione.
Non ci resterebbe davanti a questo bambino del Vangelo di augurargli di poter presto crescere, diventare grande per essere un adulto nel mondo dei riconosciuti, qualcuno tra quelli che contano o solamente un numero in più nella conta degli abitanti. In realtà davanti a quel bambino che Gesù abbraccia c’è una nuova domanda al nostro crederci sapienti: che cosa significa crescere o far crescere? Quale sapienza ci guiderà per far crescere figli che neppure si vogliono più mettere al mondo dato il mondo stesso? Nell’epoca dell’individuo imperante, dell’egoismo sfrontato, Gesù chiede a noi di aprire gli occhi e di tornare ad essere servitori gli uni degli altri. Non è negata la grandezza dell’uomo, non è esclusa la sua realizzazione, ma la sapienza che viene dall’alto ci inviterà sempre ad uscire da ogni contrapposizione e continuerà a farci sedere attorno alla medesima tavola, a imbandire il medesimo banchetto per tutti (Prov 9,1) dove pane e vino sono donati gratuitamente ai presenti perché diventino anch’essi corpo di Cristo.
A volte provo a mettermi nei panni degli apostoli che sentivano parlare di risurrezione prima che fosse avvenuta, che vedevano mettere al centro donne e bambini che nella loro cultura non venivano nemmeno presi in considerazione. In questo contesto anche la loro discussione su chi fosse il più grande è, in fondo, comprensibile. Infatti credo che la domanda di Gesù non fosse per rimproverarli, ma per avvicinarli ancora di più e rafforzarsi nella fede.
Ma noi, oggi, che della Sua risurrezione abbiamo fatto la nostra fede, come possiamo giustificare la nostra incapacità di mettere in pratica i suoi insegnamenti?
Quanta pazienza che ha Gesù con gli apostoli e con noi, sempre alla ricerca di primeggiare! Fortunatamente la Parola ci ridà ogni giorno la segnaletica per ricondurci sulla strada dei piccoli. Lo Spirito santo ci illumini e ci doni la Sapienza che viene dall’alto.
Anche oggi la Parola nelle scritture di questa domenica mi fa riflettere molto sulla sua attualità, sia la Parola di Gesù che degli Apostoli, i quali solo dopo la discesa dello Spirito Santo su di loro hanno potuto accogliere “la Sapienza che viene dall’Alto”
Gesù conosce bene l’animo umano e continuamente si propone nell’umiltà del Figlio dell’Uomo pur essendo Figlio di Dio.
I suoi esempi sono sempre presi dalla realtà quotidiana, tanto di allora quanto di adesso.
Così hanno fatto gli Apostoli lasciando scritte le loro predicazioni perché ci fossero di insegnamento.
Visti i risultati, sembra fatica vana.
Da Adamo ed Eva in avanti, l’animo umano non sembra cambiato molto.
Cosa altro ci aspettiamo che il Signore dica visto la nostra pochissima adesione.
Questa sera sono un po’ confusa e perplessa.
Perché non riusciamo a lasciarci plasmare dall’Amore di Dio?
“Ma la sapienza che viene dall’alto ci inviterà sempre ad uscire da ogni contrapposizione e continuerà a farci sedere attorno alla medesima tavola”.
Fa che accettiamo il tuo invito Gesù