Ciò che di Lui sanno
Epifania del Signore
(Is 60,1-6 / Sal 71 / Ef 3,2-3.5-6 / Mt 2,1-12)
Scrivo a cavallo del giorno in cui in certi Paesi la festa dell’Epifania volge al termine. Scrivo da un Paese in cui della medesima festa siamo appena alla vigilia. Stranezze o particolarità di calendari liturgici e festivi? Poco male, sapete? Stiamo celebrando il tempo della manifestazione di Gesù Cristo al mondo e come dice bene un’antifona di questo giorno – Oggi la Chiesa è unita al suo Sposo: Cristo, nel Giordano, la purifica dalle sue colpe, i Magi portano i loro regali alle nozze reali, l’acqua viene cambiata in vino, per la gioia degli ospiti – questo mistero della manifestazione («epifania» appunto) è il legame con tre avvenimenti precisi: quello contemplato nell’adorazione dei Magi davanti al Bambino di Betlemme, quello celebrato nel battesimo al fiume Giordano e quello vissuto alle nozze di Cana. Dio si rivela e si manifesta in molti modi, in diversi tempi… ma sempre per farsi conoscere come il Dio-con-noi.
Ma veniamo dunque a questa prima Epifania, quella del bambino nella culla e dei magi venuti da Oriente. Io non so come mai ci siamo permessi di dire così tante cose su questi magi venuti da Oriente. Tutto ciò che di loro abbiamo detto il testo evangelico non lo dice affatto. Certo ci sono racconti, leggende, romanzi e poi ancora dipinti, rappresentazioni, composizioni musicali. E senza dubbio c’erano pure i racconti di chi, viaggiando in altre terre, riportava di modi di vivere diversi dai propri… abiti e costumi, sapori e profumi, colori, lingue e accenti differenti. Narratori affascinati e racconti affascinanti… da far sognare, da far viaggiare. Da metter voglia di andare a vedere, conoscere. E allora forse è vero che tutto dipende dal racconto che se ne fa… di altre terre, di altre culture, di altri popoli, di altre persone.
È già qui che possiamo comprendere quanto il Vangelo si sia spinto ai confini, nel punto in cui ha potuto incontrare tradizioni, altre culture, altre credenze. Eppure mi pare che proprio questi molteplici punti di incontro – che per alcuni sembrano solo essere tradimenti alla tradizione o rappresentare una sorta di contaminazione – in questi punti di contatto e di incontro c’è qualcosa di ben noto al Vangelo stesso, indubbiamente la sua stessa essenza… se partiamo dalla più grande delle rivelazioni, che cioè il primo viaggiatore è Dio stesso nel suo gesto infinito di lasciare l’eternità dei suoi cieli per venire a vivere nel tempo e nello spazio delle sue creature. È il suo farsi povero da ricco che era…
Torniamo dunque ai nostri magi, che abbiamo fatto re, che abbiamo contato in numero di tre, che abbiamo voluto di carnagione differenti… nulla di tutto ciò dice il Vangelo. Fore tutto questo bisogno di sapere, di definire, di conoscere, di interpretare o immaginare non è che il frutto di quell’umano desiderio di quadrare, di identificare… per non restare impauriti e sospettosi di fronte a ciò che apparirebbe soltanto sconosciuto o estraneo.
Non sono dunque re e se anche lo fossero stati è chiaro che prostrandosi per adorare quel Bambino essi dichiaravano la loro abdicazione ad ogni volontà di potenza, una rinuncia ad ogni forma di potere o di sovranità. Il testo del Vangelo nemmeno dice che fossero tre. Tre invece sono i doni, ben scelti per dire a noi qualcosa di quel Dio bambino.
Dei magi sappiamo poco ma quel poco che sappiamo è decisivo per il nostro cammino di fede e di vita. Sono stranieri e pagani rispetto a quel popolo che si presentava quale «popolo di Dio», fin dai tempi dei padri e dei profeti. Vengono da un altro paese, vengono da oriente. Un oriente più lontano per noi che per chi è nato in Galilea, ma certo un oriente che doveva risultare comunque lontano se consideriamo quanto viaggiare fosse assai più impegnativo di oggi. Un viaggio non lo si improvvisava e le ragioni per lo spostamento dovevano davvero essere più che nobili, qualcosa per cui valeva tentare l’impresa, ad ogni costo, ad ogni rischio.
Quando subito all’inizio del racconto evangelico i nostri magi aprono la bocca per parlare (forse proprio questa è la cosa più interessante da notare) chiedono esplicitamente: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei?». È una certezza che li abita: che il re dei Giudei sia nato in terra. Non sanno dove si trova ma non dubitano – diremmo noi – della sua presenza, della sua incarnazione. Non dubitano neppure che quella strada di luce apertasi in cielo abbia per loro tracciato un cammino che finisce dritto in terra… Non è affatto lo svanire di un desiderio, non è la fine di un sogno! È affascinante guardare le stelle, scrutare i cieli, sondare galassie, sperare di predire tempi futuri scegliendo di cercare luce nelle notti dell’uomo… ma ad un certo punto realizzano che quella stella che tanta gioia aveva già procurato al loro cuore, brillava proprio per condurli a contemplare quel Bambino, Dio fatto uomo. Di cosa sono ora più sorpresi e meravigliati? Della stella o di quel Bambino sconosciuto ai più? Cos’è il vero mistero? Una scia di luce in cielo o un cammino da percorre in terra per lasciarsi condurre e diventare più umani?
È quando li troviamo davanti al re Erode che i magi acquistano tutta la nostra simpatia. Erode, lui, era ed è più conosciuto. Ha segnato la storia e non proprio nel senso migliore. Ora anche noi, dapprima spettatori della scena ma subito affascinati da questo racconto matteano, noi che segretamente conosciamo pure il male subdolo e bugiardo del potere, noi stessi vorremo suggerire, come farà poi un angelo in sogno, di non tornare da Erode, di non farsi complici di alcun proposito di male.
L’arrivo dei magi – cioè l’avvicinarsi di popolazioni straniere ai confini di altri regni – poteva anzitutto risuonare come un incombente pericolo, una minaccia? Forse… la storia di sempre lo dice. Il profeta Isaia, tra l’altro, aveva già pronunciato parole che invitavano a convertire lo sguardo nei confronti di tutti coloro che si avvicinavano al popolo che si considerava eletto. E Isaia, lo sappiamo, parla nei tempi dell’esilio, nei tempi in cui Gerusalemme era stata conquistata e i suoi abitanti deportati in terra straniera. I magi non sono forieri di sventura e nel misterioso scambio di doni – perché certamente pure i magi avranno ricevuto qualcosa stando davanti a quel Bambino – c’è la strada per una pacifica convivenza.
La festa dell’Epifania – o se volete il Vangelo – accende ancora una volta una luce su temi di scottante attualità, circa i nostri rapporti di vicinato, nel senso stretto del pianerottolo di casa o in senso ampio dei confini di una nazione e delle popolazioni viciniore. Forse è per questo preferiamo che di questa festa conserviamo solo l’incanto e il fascino esotico, senza lasciare che brilli in tutto il suo fulgore: attorno a quel Bambino disarmato – vero volto di quel Dio che senz’altro ci sarebbe rimasto estraneo se non avesse benevolmente deciso di rivelarsi – si possono intraprendere cammini di Bene e di pace.
Di questi magi poco sappiamo, ma una cosa ancora è evidente: la loro generosità. Aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Evidentemente hanno trovato la perla preziosa, il vero tesoro per cui vale la pena di lasciare ogni cosa, di vendere tutto… per cercarlo, seguirlo, servirlo e amarlo.
E pure sono beati questi magi che possono far ritorno al loro paese. Quanti sono partiti senza poter far ritorno? E tornando avranno raccontato, avranno detto ciò che i loro occhi hanno potuto vedere, in un paese che pure dal loro punto di vista doveva sembrare estraneo. E così anche i Magi avranno potuto portare il Vangelo nella loro terra: a qualcuno avranno pur raccontato del loro incontro con quel Bambino di nome Gesù. Questo il Vangelo non lo dice… e non vorrei cadere nello stesso rischio di fantasticare attorno a questo brano, eppure è vero che scrutando le Scritture e incontrando Gesù Cristo, non possiamo tenere più nulla per noi stessi.
Dal Vangelo secondo Matteo
(2,1-12)
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
Non più segni nella notte,
anche la stella è morta.
Ma Dio è lì, nel suo Figlio
dato al mondo.
Gesù Cristo si è rivelato
nel cuore dell’uomo.
Non più voci provenienti dal cielo
come quando Giovanni battezza.
Ma Gesù stesso, Dio riconosciuto
nella sua Parola,
quando Lui stesso la ripete
nel cuore dell’uomo.
Niente più brocche per risvegliarsi
la gioia delle nozze,
ma il vino cambiato in sangue:
ecco il nuovo prodigio!
Dio, è il nostro ospite in Gesù Cristo
nel cuore dell’uomo.
(inno dalla liturgia francofona)
L’immagine di copertina è di Gaetano Previati, Adorazione dei Magi, 1896, olio su tela, 98 x 198 cm. Milano, Pinacoteca di Brera
Commento al Vangelo illuminante. Grazie
È bello che la prima epifania, la prima manifestazione di Cristo in terra, coincida con l’arrivo dei magi. Forse non tre, di certo non uno soltanto, forse non con carnagioni del tutto differenti, ma certamente stranieri, estranei a quel territorio, eppure i primi che gli si fanno incontro e che gli rendono omaggio. Tutto questo è notevole e molto significativo anche rispetto a quello che sarà il percorso di Gesù, sempre teso a ricordare la sua apertura a tutti e l’importanza di amare chi è altro da me come me stesso e come Dio mi ama. In effetti credo non ci possa davvero essere modo migliore per aprire l’anno, ricordandoci di restare aperti: all’altro da me come all’amore di Dio.