Avvolti in un dialogo

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Data :19 Febbraio 2022
James Turrell, Passaggi di luce, 2019

Qui regarde vers Dieu resplendira,
sur son visage plus d’amertume,
sur son visage plus d’amertume.

Qui guarda verso Dio risplenderà,
sul suo volto non ci sarà più amarezza
sul suo volto non ci sarà più amarezza. 

Dal Vangelo secondo Marco (9,2-13)

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elìa con Mosè e conversavano con Gesù.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati.
Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!».
E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.
E lo interrogavano: «Perché gli scribi dicono che prima deve venire Elìa?». Egli rispose loro: «Sì, prima viene Elìa e ristabilisce ogni cosa; ma, come sta scritto del Figlio dell’uomo? Che deve soffrire molto ed essere disprezzato. Io però vi dico che Elìa è già venuto e gli hanno fatto quello che hanno voluto, come sta scritto di lui».

Troppa luce all’improvviso ti porta a chiudere gli occhi. Fu il candore delle vesti ad abbagliare. Improvvisamente pare più chiaro che non è la visione a trasfigurare la realtà. Pare tutto un gioco di nascondimento e di svelamento: le vesti – ancor più se luminose – proteggono il corpo dallo sguardo che scruta e indaga, le capanne riparano dal freddo e segnano le soste notturne come in altri tempi nel deserto. La nube, come nebbia, avvolge, riempie, indica presenza proprio nascondendo ogni cosa alla vista. 

Fu trasfigurato davanti agli occhi di tre dei suoi discepoli. Erano presenti a valle quando, poco prima, chiese conto di sé, quando li interrogò circa ciò che la gente diceva sul suo conto. Ora sul monte, ancora abbagliati dal candore delle vesti, tutto viene trasfigurato attraverso la Parola. Da quando, accanto a Gesù, appaiono Mosé ed Elia, da quel momento inizia ciò che c’è di più interessante nella Trasfigurazione. Anzitutto c’è una conversazione, un dialogo che si intuisce fecondo e rivelatore. C’è intesa e dialogo tra Legge, Profezia e Gesù stesso. La Scrittura si spiega con la Scrittura, la Parola apre dialoghi: Prendendo la parola, Pietro disse… pur non sapendo bene che cosa dire. E pure la nube venne a coprirli e da quella nube uscì una voce. 
Le visioni improvvisamente si interrompono ma la Trasfigurazione prosegue in ciò che accade attraverso la parola: ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa… E lo interrogavano… ed Egli rispondeva… sono tutte citazioni scritte qui in corsivo proprio per renderci conto di quanto la Parola operi la trasfigurazione della realtà.

Ho letto in alcuni articoli che l’impoverimento del linguaggio è spesso segno dell’incapacità di esprimersi o di una perdita di sensibilità. So di riflesso che nelle scuole, fin da piccoli, si sono accentuati percorsi didattici testi a lavorare sulle emozioni, sulla capacità di riconoscerle ed esprimerle iniziando semplicemente con l’ausilio dei colori. È chiaro che il dialogo apre visioni. Non è un caso che il racconto della Trasfigurazione sia da riferirsi alla passione e morte di Gesù: l’uomo rischia troppo spesso di sfogare in violenza ciò che non riesce a rielaborare. Quel «Ne usciremo tutti più buoni» fu proprio un’illusione e tanti arcobaleni dipinti da mani innocenti non sono bastati ad esprimere tutte le emozioni o a far tornare il sole. 

Il racconto evangelico della trasfigurazione viene proclamato oggi accanto ad un passaggio delle lettera di Giacomo che partendo da alcune osservazioni della realtà, ci porta a meditare nuovamente attorno al mistero della parola umana.
Se mettiamo il morso in bocca ai cavalli perché ci obbediscano, possiamo dirigere anche tutto il loro corpo. Ecco, anche le navi, benché siano così grandi e spinte da venti gagliardi, con un piccolissimo timone vengono guidate là dove vuole il pilota.
Così anche la lingua: è un membro piccolo ma può vantarsi di grandi cose. Ecco: un piccolo fuoco può incendiare una grande foresta! Anche la lingua è un fuoco, il mondo del male! La lingua è inserita nelle nostre membra, contagia tutto il corpo e incendia tutta la nostra vita, traendo la sua fiamma dalla Geènna.
Infatti ogni sorta di bestie e di uccelli, di rettili e di esseri marini sono domati e sono stati domati dall’uomo, ma la lingua nessuno la può domare: è un male ribelle, è piena di veleno mortale. Con essa benediciamo il Signore e Padre e con essa malediciamo gli uomini fatti a somiglianza di Dio. Dalla stessa bocca escono benedizione e maledizione. Non dev’essere così, fratelli miei! (Gc 3,3-10)

Salvami, Signore! Non c’è più un uomo giusto;
sono scomparsi i fedeli tra i figli dell’uomo.
Si dicono menzogne l’uno all’altro,
labbra adulatrici parlano con cuore doppio.

Recida il Signore le labbra adulatrici,
la lingua che vanta imprese grandiose,
quanti dicono: «Con la nostra lingua siamo forti,
le nostre labbra sono con noi:
chi sarà il nostro padrone?».

Le parole del Signore sono parole pure,
argento separato dalle scorie nel crogiuolo,
raffinato sette volte.
Tu, o Signore, le manterrai,
ci proteggerai da questa gente, per sempre.

(dal salmo 11)

Sieger Kœder, Trasfigurazione

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