Un discorso aperto
Margherita Pavesi Mazzoni, Cristo crocefisso
(Gc 2,1-9 / Sal 33 / Mc 8,27-33)
Heureux qui s’abandonne à Toi, ô Dieu,
dans la confiance du cœur:
Tu nous gardes dans la joie, la simplicité, la misericorde.
Beato qui s’abbandona a Te, o Dio,
nella fiducia del cuore:
Tu ci custodisci nella gioia, nella semplicità, nella misericordia.
Dal Vangelo secondo Marco (8,27-33)
In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti».
Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.
E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere.
Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
Dire chi è una persona, parlare della sua identità, non è sempre farne una ricostruzione somatica. Quando si sente parlare di qualcuno, la cui fama magari s’è diffusa rapidamente, non si pensa immediatamente al volto. Ciò che si viene a conoscere di quella determinata persona riguarda anzitutto ciò che dice e ciò che fa. A questo punto è possibile immaginare: quale volto dietro uno sguardo pieno di misericordia e di attenzione per i più poveri? Quale corporatura sorregge un uomo capace di arginare il male e di perdonare i peccati?
E spesso, prima ancora di immaginare il volto che contiene uno sguardo, il cuore che sostiene un certo modo di agire, può anche succedere di associare per somiglianza una persona ad un’altra. Così ogni figlio assomiglia a qualcuno della famiglia, per tratti somatici certamente ma ancor più per caratteristiche comportamentali.
Il cieco di Bestsàida, ora guarito, non ci ha svelato proprio nulla dell’identità di Gesù, ma ci ha detto molto sull’uomo, sulla realtà da osservare sempre con particolare attenzione. Non bastano gli occhi che portiamo in volto. C’è una visione e una conoscenza di ogni cosa che avviene ad un livello più profondo. Dopo aver avvertito i suoi discepoli di stare molto attenti al lievito dei farisei che, aumentando esponenzialmente, deforma la visione alimentando giudizi e condanne; dopo aver ridato la vista al cieco, ora Gesù chiede conto di sé. I segni da lui compiuti gli danno una certa fama: il Cristo, il Figlio di Dio inviato sulla terra – stando alle attese umane – non può che essere così perché siamo proprio noi quelli che pensano che Dio deve abitare sempre e soltanto dalla parte dell’intervento miracoloso. Ed è a questo punto che il Cristo (che non dunque non è più solo il Gesù storico ma il Risorto da morte riconosciuto nella fede) spiega ciò che l’uomo non può nemmeno immaginare o accettare: impensabile, inconcepibile, impossibile… che il Cristo soffra, sia rifiutato, muoia in croce. Impossibile per noi pensare questa sofferenza morale e corporale di Gesù; impossibile pensarne un rifiuto di chi, passando in mezzo gli uomini, ha compiuto solo il bene; impossibile pensarlo morto in croce. Ciò che Gesù annuncia ai suoi discepoli è proprio quello che noi non possiamo nemmeno pensare o immaginare.
È Pietro che incarna questo umano pensare. È Pietro che viene dunque rimproverato per non aprirsi al pensiero di Dio, un pensiero di piena comunione e solidarietà con la vicenda umana, quella di molti emarginati ed esclusi. È un’insegnamento quello che Gesù fa in mezzo ai suoi discepoli. È qualcosa che dobbiamo imparare e imparare ad accettare. Che Dio non sia disposto a fare quello che vogliamo noi, ma che Egli possa compiere la sua volontà in mezzo a noi, per noi e nonostante noi. Come può un uomo sofferente, rifiutato e infine condannato a morte essere segno di un Dio che salva? Questo è il nostro rompicapo! Come può esserci salvezza passando per la via della debolezza? È questo il discorso sempre aperto della nostra fede.
Perdo pezzi
e tu li raccogli
alle spalle, Signore,
tu Dio dell’orfano e della vedova,
tu Dio dei frammenti,
tu hai compassione
del non intero,
dei pezzi di pane avanzati,
tu che non vuoi
che si perda nessuno.
Perdo pezzi di voci e di occhi,
di memoria e di cuore.
Dietro,
alle spalle tu ti chini
e raccogli.
(Angelo Casati, in «E non avere occhi spenti»)
Una domanda a volte mi sorge: chi scrive, ciò che dice, lo vive? È ciò che chiedo a me stessa, ancor prima che ad altri, nella mia professione così come nella vita.
Che il Signore ci aiuti a vivere ciò che riusciamo a dire o a scrivere, per essere credibili testimoni che sanno professare con la vita e non solo con le labbra o con la penna.
“Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me…”.
Siamo un po’ tutti farisei ma fa’, o Signore, che possiamo testimoniare e professare che “Tu sei il Cristo” ed “il Signore delle nostre vite”, rispondendo ogni giorno alla domanda “Voi chi dite che io sia?” che hai posto ai Tuoi discepoli e lo scopriremo anche noi solo vivendo.
“Vieni Spirito, vieni Spirito, scendi su di noi…”.
Gesù è venuto su questa terra ed è morto in croce per ognuno di noi, ma soprattutto è morto per salvare i peccatori, non i “bravi”, gi ammalati – non i “sani” -. Tutto questo non è comprensibile a noi, perché fa parte di un progetto Suo che ha un nome ben specifico: IL MISTERO. E ognuno di noi lo capirà più a fondo nell’al di là.