Avvento: tempo incrociato (Dove posare i nostri piedi?)

I domenica di Avvento (B)

(Is 63,16-17.19; 64,2-7 / Sal 79 / 1Cor 1,3-9 / Mc 13,33-37)

Noi non sappiamo più cosa sia il buio e quanto pesa, sulla testa, una volta trapuntata di stelle. Chiedetelo ad Abramo, dopo che si mise in cammino. Oggi, anche il più piccolo dei paesi si vuole illuminato di lampioni perché ogni strada, ben visibile, sia già segno dell’umano passaggio. Dell’uomo che conquista, dell’uomo che costruisce… e col “metter su casa” noi spesso dimentichiamo di essere viandanti, figli di Abramo. Le strade collegano, incrociano e noi costruiamo case adiacenti alle strade o vengono, le strade, vicino alle nostre porte. Caso mai pure qualcuno giungesse a noi. E noi dalle case usciamo — o vorremmo uscire –  alle nostre quotidiane fatiche, ai nostri doveri e ai nostri affari. Restano, di noi, questi intrecci di strade e di cammini percorsi.

E ogni strada la puoi percorrere nelle due direzioni: andata e ritorno. L’Avvento è questo tempo incrociato: il cielo desidera scendere e la terra punta ad innalzarsi. Come un germoglio da terra, come la cima di un abete impreziosita da un puntale per diventare già “albero di Natale”. È Dio che vuole venire a noi. S’è chinato ad ascoltare il grido che sale dalla terra e, tanto si chinò, che parve quasi cader giù dalle nuvole… ma siamo noi a pensarlo distratto, sbadato. Insensibile alle umane fatiche. Venne bambino, dal peso più leggero dei cieli cupi quando incombono su noi. Ebbe anzitutto il peso di un neonato. E come solo ogni neonato sa fare ci concentra alle cose essenziali, alle cure necessarie. E così ci facciamo vigilanti, attenti. Come madre che tende l’orecchio di notte per ascoltare il bimbo che piange semmai si svegliasse. E il riposo non è più riposo… è un vegliare. E vegliare è concentrarci, appunto, all’essenza. Al ritorno. All’incontro. Un figlio mandato da Dio, ci rende nuovamente capaci di guardare il presente e osare il futuro.

In queste giornate corte di luce, tendiamo alla Luce, noi, venuti alla Luce una volta… segnati per sempre da questo bisogno di chiarore. E chi ama la notte, la ami solo per provare a contare le stelle. Mai per altro. Non c’è notte oscura che possa nascondere la Vita quando viene alla Luce. Anche la terra, quella dei campi, contiene e racconta questo doppio andirivieni. La terra, seminata, ora parla al contempo di desolazione e di speranza. Tutto sembra morto mentre invece sta elaborando la Vita. I campi arati sono come un grembo in attesa. La storia, con tutte le sue sofferenze eppur segnata di piccole profezie, come un cielo che si specchia sulla terra, è questo cammino che ascende, che sale dalle creature al Creatore. 

E quindi non è solo tempo confuso e incerto. Non è solo tempo in cui non si capisce più cosa fare, dove andare, chi ascoltare. Che in noi si produca questo umano impasto di carne con un alito di Vita a ricordarci che non siamo nati solo per soffrire, finire o morire. Ma ce lo deve ricordare proprio il cielo e questo divino Soffio altrimenti è solo umana prepotenza, prevaricazione dei forti a scapito degli ultimi. La solitudine, accentuata dai distanziamenti sociali necessitati dalla pandemia, si mescoli nuovamente alla fiducia. Se Dio si fa uomo è per sposare questa precisa condizione. E non sarà un rinascere del Bambin Gesù. Sarà piuttosto la nostra rinascita. 

Attesa e vigilanza sono momenti decisivi della Vita, non fanno altro che costituirla. Da dentro. E dunque, attendiamo e vigiliamo. Creiamo dentro uno spazio interiore perché la Vita viene da dentro e anche quando venisse dal cielo passa sempre da dentro l’umano: un grembo, una carne. 

Per questo tempo di Avvento: due immagini a cornice. Una in alto e una sotto. Le mie parole, poi, precederanno l’Altra Parola, quel Verbo che ha da farsi carne. Umane parole che precedono solo per prepararTi all’incontro con il Vangelo. Come il mallo per la noce o il riccio per la castagna. Il grembo per un nascituro. Il frutto è all’interno. Entra in te stesso, raccogliti, fatti vigilante e attendi. Prenditi cura del seme o del germoglio… già da tempo – da quand’è stata seminata in noi –  la Parola soffre e geme.

Come l’uomo ha bisogno del Cielo per stare dritto in piedi e non finire sdraiato nella polvere, così il Cielo ha bisogno della terra per reggere. In questo pandemico smarrimento, cosa regge oggi? E come reggere? Cosa rimane e come rimanere? Vorrei provare a tracciare tre sentieri, o mettere tre puntelli come fossero picchetti che ancorano la tenda di quei viandanti che siamo o come contrafforti di grandi cattedrali: ritrovare l’ispirazione dalle Scritture, tornar o riprendere a studiare i testi sacri. Quelle delle religioni per intenderci, e ciascuno secondo la propria. Per noi cristiani sarà la Bibbia. La chiave per aprirla è il Vangelo. Per gli ebrei sarà la Torah, e il Corano per i musulmani. E perfino l’uomo più laico della Terra, quello che non vuole ispirarsi ad alcuna divina rivelazione, studi le Costituzioni, le Carte, le Mappe che hanno tracciato la via all’esistenza… che ormai – per quanto assolutamente necessari – paiono troppo corti questi decreti mensili che non ci fanno alzare più nemmeno lo sguardo. L’uomo ha bisogno di Parole più alte (che non significa incomprensibili!), come il seme ha bisogno del calore del sole che, pur lontano anni luce, stende i suoi raggi sulla crosta di terra.

Ritrovare il gusto per la ritualità, una forma religiose fatta di preghiera, di contemplazione e di lode. Ogni persona ha i suoi riti: basti pensare a come ci svegliamo e come succediamo le prime azioni al risveglio. Ogni società, ogni umano vivere insieme, ha tutta una sua ritualità. E non solo per il Natale. Le nostre case per questo umano convivere sono già una somma rispettata di ritualità e ci sono poi riti che strutturano e tengono in piedi la casa. La tavola, il mangiare insieme per dirne uno. A proposito di riti, che spesso chiamiamo “tradizioni”, dobbiamo notare che qualcosa s’ è perso. Altro s’è dimenticato. Qualcosa volutamente s’è lasciato andare. Ma ciò non significa che non dobbiamo più essere costituiti da alcuni riti, da alcuni gesti che facciamo e ripetiamo e sono proprio questi che ci forgiano, che danno forma al blocco di pietra e diventano pietà. Diamo un ritmo al nostro tempo, un ordine e delle priorità che il nostro tempo non poggia solo su quanto altri decidono che dobbiamo o possiamo fare. Stante le restrizioni, stanti i divieti e tutte le precauzioni di questi tempi, diamo forma a quel tempo che rimane a disposizione nelle nostre mani. Personalmente- ad esempio – questo tempo prima dell’alba non le lascerò mai più! 

Infine, ritroviamo l’amore per la giustizia e tutte le sue opere. Ritroviamo l’amore per la sobrietà, la semplicità, la povertà, la condivisione. Che non è solo la povertà dei poveri che pure vanno amati come li ha amati Cristo e perché anche in loro, come in noi, c’è Cristo. Rendere più sobria la nostra vita è già fare giustizia. È possedere meno perché altri possano ricevere. E mangiare il necessario senza togliere di bocca il pane a chi non ne ha.

E queste fondamenta su costruire, questo terra comune, credo si possano ritrovare in tutte le religioni del mondo, nell’umano quando tende al divino. E Dio, certo, invoca da noi queste cose: ascolto, gratitudine e misericordia. Solo così si intrecceranno nella pace le strade degli uomini. 

È ancora avvento,
ancora un tempo di attesa e speranza:
torna, Dio, fra noi e non lasciarci soli:
da soli siamo perduti!
Guarda dal cielo e osserva
il nostro stato di poveri:
làsciati prendere dal fremito
della tua pietà e tenerezza,
e ritorna, e non permettere che i cuori
si facciano ancora di pietra.
Almeno per pietà dei tuoi servi ritorna. Amen.

(David Maria Turoldo)

Dal Vangelo secondo Marco (13,33-37)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.
Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati.
Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».

Quando la stanchezza e lo scoraggiamento
invadono i nostri cuori
e allentano la nostra volontà
di amare, di lottare, di costruire,
ci sostenga, Signore la consapevolezza
che Tu, come Padre, non ti puoi dimenticare dei tuoi figli.
Aiutaci a vegliare con cuore leggero:
tu non sei un Dio assente dalla storia,
le tue tracce sono per chi sa scrutare i tuoi passi silenziosi
e per chi sa stare in ascolto.
Ci chiedi il coraggio di vigilare:
troppe forze agiscono in segreto
per dominare le nostre coscienze,
per imporre un modo unico di pensare, di agire.
Fa’ che non abdichiamo all’intelligenza
e alla Luce che tu hai posto dentro di noi.

(Angelo Casati)


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Piccoli Pensieri (4)

Rosaemma

Mi piace condividere con voi un commento di padre Jean Paul che ho ascoltato stamattina. Paragona”il momento decisivo” del ritorno del Signore – bellissimo ed emozionante- all’arrivo della persona amata all’aeroporto, pieno di folla e di confusione. Ebbene…questo momento si estende a tutta la vita : è intravedere, scorgere in lontananza e poi riconoscere Colui che ci ama….
Tutta la vita è imparare a riconoscere il Signore che arriva…percepire i segni del suo ritorno e poi accogliere con gioia il suo amore che entra nella nostra vita.
Consapevoli che la nostra attesa non sarà mai delusa.
Avvento – tempo di veglia e di attesa
(attendere: tendere a…essere in cammino verso il Signore che viene)…. può essere uno di questi “momenti”…

29 Novembre 2020
Dania

…”Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore…Ci vogliono i riti. Anche questa è una cosa da tempo dimenticata”…
Prepariamo il cuore perché il Signore può venire in ogni nostro giorno, non si sa come o quando di preciso ma le Sue promesse le mantiene e non deludono. Che sia un buon tempo di attesa per tutti

29 Novembre 2020

Quanto abbiamo bisogno di reimparare ad attendere la gioia! Che quella è un attesa feconda, un attesa che può diventare più fruttuosa di quanto non si osi sperare. Noi che ci siamo fatti ormai un po’ il callo sulle attese imposte, pur per il nostro bene, ma che non siamo poi così in grado di capire nè di accettare. Prego di cuore che questo avvento 2020, questa attesa fervente e fremente della luce nuova che è venuta sulla Terrabper noo, ci possa davvero accompagnare a rinnovare i cuori, a rivivificarli e renderli fertili.

29 Novembre 2020
MARZIO FABIANO COLLEONI

Avvento tempo del desiderio di Dio.

29 Novembre 2020

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