Alla fine c’è del nuovo

V domenica di Pasqua (C)

(At 14,21-27 / Sal 144 / Ap 21,1-5 / Gv 13,31-35)

Veni sancte Spiritus. Tui amoris ignem accende.
Veni sancte Spiritus, veni sancte Spiritus.

Vieni santo Spirito. Accendi il fuoco del tuo amore.
Vieni santo Spirito. 

Dal Vangelo secondo Giovanni (13,31-35)

Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

Hanno una collocazione esatta queste parole di Gesù: quando Giuda fu uscito dal Cenacolo. Il tradimento – potremmo dire – è avvenuto. Eppure quel momento è fatto coincide esattamente con l’ora in cui il Figlio dell’uomo è stato glorificato e così Dio è glorificato in lui. Come può un abbandono, un distacco, un tradimento essere al contempo motivo di glorificazione? È proprio nell’ora in cui l’amico tradisce che Gesù potrà mostrare chi Egli sia veramente. Quasi a dire che l’Amore per rimanere oltre ogni cosa deve attraversare anche il tradimento, la delusione, la morte. 

Accanto alla parola tradimento noi preferiamo chiudere, porre fine, rompere un’alleanza. Gesù, davanti al tradimento di Giuda, ai rinnegamenti e agli abbandoni che ancora seguiranno di lì a poco, consegna se stesso insieme ad un comandamento nuovo. 

Il nuovo – va detto – genere sempre qualche diffidenza, un po’ di ritrosia, difficoltà ad accogliere. Il nuovo ci spaventa sempre un po’ e pertanto preferiamo ciò che è già noto. Per questo vino nuovo, conservato fino alla fine, servono otri nuovi che lo sappiano contenere. Il vecchio comandamento, quello d’un tempo, quello della tradizione chiedeva già l’amore ma alla misura di sé: ama il prossimo tuo come te stesso. Amare se stessi per arrivare a comprendere che possiamo fare agli altri ciò che vorremmo fosse fatto a noi stessi. Se ti vuoi bene e hai sete, prendi dell’acqua e ti disseti. Se vedi qualcuno che ha sete, prendi dell’acqua e dai da bere. Perché così faresti a te stesso. 

Eppure, in qui pochi attimi che lo separavano dalla morte, quasi allo scadere del tempo, Gesù consegna un comandamento nuovo. Uno… sintesi di tutti i precetti. Uno, come uno è Dio. Uno… perché due sarebbero già troppi e avremmo la scusa di non sapere quale scegliere per primo. Chiede che l’amore si diffonda, che non sia solo restituzione del bene ricevuto. «Non dice amatemi. Dice amatevi»,  espressione ormai nota.

Alla fine c’è del nuovo. Come attesta anche Giovanni nelle sua visione: vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più. E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo (Ap 21,1-2). 

Il comandamento nuovo non è romanticismo. Il comandamento nuovo rinnova il cielo e la terra. Rinnova il cielo, cioè rinnova la visione di Dio, il nostro modo di intenderlo, di conoscerlo e di amarlo. Rinnova la terra, cioè il nostro modo di vivere qui e ora. Rinnova perfino la città in cui gli uomini vivono. E quando il comandamento nuovo agisce in virtù della carità, dell’amicizia, della fraternità è in quel momento che si ode la voce di Colui che siede sul trono: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21,5).

Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri. Per dirsi discepoli di Cristo sembra perfino superfluo affermare cose su Dio. Solo il bene che si vuole per l’altro prima che per sé sembra glorificare Dio e dare ragione della nostra umanità. È buffo che per riconoscersi a volte si ricorra a distintivi, divise o uniformi. Giocando un poco con le parole si può dire che non servono distintivi, perché distinguono. Non servono divise, perché dividono. Non servono uniformi, perché uniformano. 

La resurrezione di Cristo è strettamente legata  a questo comandamento nuovo che spinge la vita oltre il tradimento, oltre l’amarezza dell’abbandono. In questo giorno, Charles de Foucauld è riconosciuto santo con un nome nuovo: «fratello universale».

Scriveva: « Tutti gli uomini sono figli di Dio, che li ama infinitamente: è dunque impossibile voler amare Dio senza amare gli uomini, più si ama Dio più si amano gli uomini. L’amore per Dio, l’amore per gli uomini, è tutta la mia vita, sarà tutta la mia vita, lo spero.
Amare, non significa convertire, ma per prima cosa ascoltare, scoprire questo uomo, questa donna, che appartengano a una civiltà e ad una religione diversa. L’amore consiste non nel sentire che si ama, ma nel voler amare; quando si vuol amare, si ama; quando si vuol amare sopra ogni cosa, si ama sopra ogni cosa. Quando si ama, si imita; quando si ama, si guarda il Beneamato e si fa come fa lui; quando si ama, si trova tanta bellezza in tutti gli atti del Beneamato, in tutti i suoi gesti, in tutti i suoi passi, in tutti i suoi modi di essere…»

Donaci di passare dalla nativa fragilità umana
alla vita nuova nel Cristo risorto.

(dall’orazione dopo la comunione della liturgia odierna)

Charles de Foucauld

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