Chi sei, tu che ospiti ?

XVI domenica del tempo ordinario (C)

Gn 18,1-10 / Sal 14 / Col 1,24-28Lc 10,25-37

Dimenticate canoni e codici delle nostre ospitalità occidentali. Nulla a che vedere. Siamo – quando ascoltiamo le Scritture – nella terra dove l’ospitalità non conosce orari né appuntamenti e così l’ospite può passare quando vuole, che sia l’ora più calda del giorno (come nel caso della prima lettura di oggi) o nel mezzo della notte (come racconterà Gesù in una delle sue parabole). Anche il rapporto col tempo è completamente differente. I viaggi erano imprevedibili. Impossibile calcolare l’ora di arrivo come fanno per noi oggi i più moderni sistemi satellitari. La parabola del samaritano, ascoltata proprio domenica scorsa, non nasconde gli imprevisti di un viaggio o di uno spostamento. Non sorprendono dunque gli inviti biblici a vegliare e dunque non sorprende neppure Abramo che – come racconta la prima lettura di questa domenica – nell’ora più calda del giorno sta sulla soglia della sua tenda a scrutare l’orizzonte.

Uno sguardo rivolto all’orizzonte è sinonimo di vigilanza, di attesa e perfino di lungimiranza. Fin dai tempi di Abramo, il viandante – per lo più straniero – può trasformare due reciproci sconosciuti in ospiti. Ospite è colui che viene accolto ma ospite è pure colui che pratica l’ospitalità. La lettera agli Ebrei non mancherà di esortare a «non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo» (Ebr 13,8). Se – biblicamente parlando – consideriamo che gli angeli sono messaggeri di buone notizie provenienti da Dio, l’equazione tra ospite e messaggio di Dio è subito fatta. È considerata così sacra l’ospitalità, è così sacro l’ospite che perfino Dio ama affidare le sue parole a viandanti sconosciuti che tutti diventano ospiti. 

La nostra ospitalità occidentale non conosce nulla di tutto questo. Qui dalle nostre parti, un ospite lo si invita con le agende alla mano, tanto per dare l’idea. Una volta seduti a tavola, terminare quanto abbiamo sulla tavola ci pare il segno più grande di buona educazione. Laggiù, terminare quanto c’è nel piatto è l’altro modo per dire che ne vorremmo ancora. Codici e usanze completamente diversi, tanto per fare un esempio. 

L’ospitalità è filo rosso tra le pagine della sacra Scrittura, un filo rosso che se seguito potrebbe evitare rivoli e fiumi di sangue, di violenza e di guerre. Tenere uno sguardo verso l’orizzonte senza temere che colui che si sta avvicinando possa essere un nemico ostile, è già una questione di fede. Ricordare d’essere stati ospitati potrebbe aiutare ad essere ospitali. Ma nemmeno di questo pensiero possiamo farne un assoluto. 

Veniamo ora al nostro brano di vangelo odierno. Tra questi viandanti sempre in cammino c’è pure Gesù. Stando alle concordanze bibliche, il villaggio – qui non nominato – dovrebbe essere Betania, a pochi passi da Gerusalemme. C’è solo da scollinare un attimo e la vista della Città della Pace si apre allo sguardo del viandante, allo sguardo del pellegrino che accompagnava il suo avvicinarsi al Tempio di Dio intonando e cantando salmi, proprio come il salmo 14 che oggi abbiamo cantato: «Chi abiterà nella tua tenda, Signore? Chi starà nel tuo luogo santo?». E ben sappiamo quanto contasse la salita a quell’unico Tempio che rappresentava la dimora di Dio tra gli uomini. 

Il Vangelo tuttavia ci sta già dando indizi per un nuovo pellegrinaggio, non più rivolto a quel Tempio. C’è un pellegrinaggio che il credente ha da fare per uscire da sé ed andare verso l’Altro. È il pellegrinaggio del Samaritano, è il pellegrinaggio di Abramo, è il pellegrinaggio di Marta, così affannata e agitata da non accorgersi che Maria ha già raggiunto il Santo dei Santi, senza fare un passo di più, nemmeno tra la cucina e la sala dove si ricevono gli ospiti. Ora che Gesù è entrato in quella casa, l’ospitalità non si misura più nei passi da fare per essere il più servizievoli possibile, bensì in quella capacità che Maria mette subito in atto di stare seduta ai piedi del Signore. 

Intendiamoci : Marta non fa nulla di sconveniente. Marta fa esattamente quello che tutti in quella terra farebbero. È piuttosto Maria che pare assumere un comportamento meno consono, certamente fuori dagli schemi e dai canoni. Una donna non poteva affatto sedere ai piedi di un rabbino. Quella postura era propria agli uomini che s’erano scelti il loro maestro. E le parole di Gesù non sono affatto sprezzanti di Marta seppure ai suoi orecchi dovettero suonare come parole forti. Marta lamenta la sua solitudine («non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire») e non si accorge che già il «Dio-con-noi» le sta riempiendo la casa della Sua presenza, della sua compagnia, della sua Parola. 

Sicché anche per Marta la Parola risuona. Forte, per aprire una breccia. Forte, per invitare ad ascoltare. Forte, per invitare a sedersi lei pure e lasciarsi nutrire di ogni parola che esce dalla bocca di Gesù. 

Questo vangelo ci lascia addosso una sola domanda che potrebbe ridare all’umano tutta la sua dignità: come possiamo noi cristiani incarnare la Parola di Dio se non sappiamo nemmeno più ascoltarla tanto siamo in mille faccende affaccendati? La Parola di Dio chiede ospitalità. Sapremo noi essere suoi ospiti? 

Dal Vangelo secondo Luca
(10,25-37)

In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.
Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

Mio Dio, se Tu sei ovunque,
com’è che io sono sempre altrove?
(Madeleine Delbrêl)

Dio ci fa visita, 
ma la maggior parte del tempo
noi siamo assenti.
(Jean Tauler)

I punti cardinali sono piuttosto cinque:
il quinto, sei tu, 
nel posto dove ti trovi. 
(Humberto Ak’abal)

Un giorno se dovessi perdermi in Te,
mi ricorderai il mio nome?
Un giorno, se Tu mi ritrovassi,
mi rivelerai il Tuo nome?
(François Cheng)


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Piccoli Pensieri (1)

Emanuela

Ricordo di aver letto che Madre Teresa di Calcutta iniziava le sue giornate con l’adorazione davanti all’eucaristia. Qualunque cosa avesse da fare.
E considerato la grande quantità di progetti che ha portato a termine, immagino che le sue giornate fossero molto piene….
La considero un grande esempio di sintesi tra Marta e Maria, da cui trarre esempio per la nostra vita quotidiana.

20 Luglio 2025

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