Non sprecate parole, disse. Dunque anche Dio si stanca (di ascoltare)?

Data :18 Giugno 2020
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O Padre! Datore di ogni cosa! Dona a noi l’ossatura della tua Parola; fondaci su di essa come fondasti la terra sopra la roccia viva; fa’ che ti esprimiamo come la terra ti esprime, che ti abbiamo in noi come la terra ha in sé la tua Luce, eterna sorgente di Vita. Vieni, santo Spirito! Amen.

Dal Vangelo secondo Matteo (6,7-15)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:  «Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate.
Voi dunque pregate così:
Padre nostro che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno,
sia fatta la tua volontà,
come in cielo così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
e rimetti a noi i nostri debiti
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e non abbandonarci alla tentazione,
ma liberaci dal male.
Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe».

Andiamo a Gerusalemme. Se non altro immaginiamoci là. Per chi c’è stato è davvero un attimo ritornare con mente e cuore. Voci, lingue, suoni, colori, odori e sapori si radunano in un istante. Hai come la percezione di essere nel cuore del mondo. Gerusalemme: con tutta la sua bellezza che attira e seduce; Gerusalemme: con tutte le contraddizioni che allo stesso tempo ti respingono.

Arrivati ai piedi del “Western wall” (impropriamente chiamato “Muro del Pianto”) ci si può rendere conto a cosa alludesse Gesù quando diede consigli su come pregare. Ai piedi di enormi blocchi di pietra che formavano le basi della grande spianata dove sorgeva il maestoso Tempio, gli uomini dondolano su loro stessi, come a dare un ritmo alla preghiera, che dev’essere rigorosamente recitata ad alta voce. Pregare recitando, recitare ad alta voce, dire le preghiere… questo faceva vera la preghiera. Un po’ come le nostre nonne che – seppure sole – recitano preghiere sussurrandole.

Di questo modo di pregare Gesù non bandisce il contenuto anche perché la maggior parte delle preghiere sono veri e propri rimandi a passi della Scrittura, insieme a benedizioni rivolte a Dio. Piuttosto egli mette in guardia dallo stare ritti in piedi, per essere visti dalla gente. Perché la preghiera è veramente tale quando nasce da un faticoso abbassamento verso un’obbedienza alla Vita che quasi mai va come vorremmo, come la progettiamo o la pensiamo. Quell’umiltà che pure noi impariamo dalle cose che si patiscono, è come se ci prostrasse a terra per poi pregarci di risollevare il capo al cielo, per rivolgerci al Padre.

Gesù chiede però di non sprecare parole come fanno i pagani. Se sembrano già numerose  le parole che escono dalle labbra dei figli di Israele, ancora più abbondanti erano le parole dei pagani che – per usare un’espressione dello storico romano Tito Livio (reminiscenze di studi nei giorni della maturità!)  – stancavano gli dei.

“Stancare Dio” con tante parole non ancora pregare. È semplicemente buttar fuori, come addosso a qualcuno, tutta la nostra ansia o la paura di non essere ascoltati, compresi, accolti e infine esauditi. Pregare con troppe parole, non sempre è indice di fede quanto di un cuore che è ancora in tumulto e che ha bisogno di svuotarsi di tutto quanto emerge dal profondo. Non che Dio non tenga conto di queste parole e di tutti i nostri moti interiori, ma certo la preghiera – secondo Gesù – deve poi sfociare in poche richieste precise, richieste non di poco conto. In numero di sette, numero biblico di pienezza e riposo, quel riposo dell’ultimo giorno della creazione in cui Dio stesso si fermò.

Sette richieste che puntano al massimo. Non chiediamo la nostra gloria ma quella di Dio; non una casa, ma di sentire la sua vicinanza; non quello che noi vogliamo (fosse capriccio o nobile desiderio) ma ciò che il Padre vuole; non di resistere ai morsi della fame, ma il pane stesso; non di essere perdonati da Dio (se non lo facesse Lui, chi mai potrebbe?) quanto di avere noi stessi questa duttilità al perdono chiesto o offerto; non di esimerci dalle tentazioni (se Gesù stesso le ha conosciute, perché noi non dovremmo?) quanto di sentire in esse la sua presenza, non fosse che la sua Parola che ci traccia la via d’uscita; non chiediamo la liberazione da un piccolo dolore quotidiano (come quelli che da una certa età si iniziano a contare fin dal mattino!) ma di essere liberati dal Male, con la maiuscola.

Sette richieste che potrebbero convergere in una: Padre, avvicinaci il tuo regno! Quel regno che Gesù ci ha chiesto di cercare dopo aver fatto tacere tutte le più umane preoccupazioni (che cosa mangeremo, che cosa indosseremo?), osservando gli uccelli del cielo e i gigli della terra. Quel regno di cui parlava rivolgendosi a quei beati che ancora siedono su quella collina ad ascoltarlo. E come per un passaggio pasquale  – ecco! – non siamo più a Gerusalemme, ma sulle rive del lago Kinnereth, il mare di Galilea, dove Gesù risorto attenderà i suoi fratelli. Figli, da sempre, del Padre. Non più un Tempio di pietre in cui stare ritti a recitare preghiere, ma presenti in quel Tempio – che è Gesù – in cui è possibile vedere il Padre.

Kinnereth, mare di Galilea

Oggi non so come leggo il tuo Vangelo, Signore,

se in ginocchio o in piedi,

se adorando o imprecando,

se con disperazione o con fede…

La brava gente, che ne ha fatto un bel libro

che si può prendere in mano senza fremito,

che si può leggere senza spasimo,

dirà che non so leggere…

Io che ho bisogno di leggere

come leggevo da piccolo come quando compitavo le sillabe

cantandole un poco come una musica strana,

la cui armonia sta in fondo al cuore

come la lava di un vulcano.

Leggo segnandomi con la croce,

sulla fronte, sulle labbra, sul petto…

per un impegno che non esclude niente di me stesso,

che mi occupa tutto,

corpo e anima, intelligenze e cuore,

oggi e domani.

Leggo dalla prima parola all’ultima con devozione crocifissa,

tagliandomi dietro tutti i ponti,

inghiottendo tutti i rimpianti.

Leggo spalancando ogni pagina fino a sciuparla,

perché non voglio che nessuna mano, 

neanche la mia, ardisca chiuderlo o diminuirlo

anche se il cuore, nel leggerlo, ne viene roso.

Il Vangelo sta contro di me,

contro tutti, dal principio alla fine,

poiché “in principio era la Parola”

e la Parola è il pane quotidiano

per ogni uomo che viene al mondo.

(don Primo Mazzolari)


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