Non manca la terra sotto i piedi… osservala!
Donaci, o Signore Gesù, il tuo Spirito consolatore, la sua presenza ci riveli la verità delle cose create, l’effimero e l’eterno, l’illusorio e il permanente.
Il tuo Spirito ci inizi alla vita di contemplazione, ed in essa trovi pace il nostro cuore inquieto. Il tuo Spirito illumini la nostra mente, la renda attenta alla tua Parola e docile alla presenza silenziosa. Amen.
Dal Vangelo secondo Luca (21, 29-33)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: «Osservate la pianta di fico e tutti gli alberi: quando già germogliano, capite voi stessi, guardandoli, che ormai l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino.
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno».
Osservo dalla finestra del mio studio il grande noce nel giardino: è praticamente ormai spoglio di tutte le foglie. Lo guardo con un senso di riconoscenza per l’estate trascorsa. M’è stato utile e prezioso. Alla sua ombra mi sono seduto più volte, per leggere, per ascoltare, per incontrare chi ha voluto raccontarsi. E penso ad ogni persona, ogni incontro. Il suo vecchio tronco ha fatto pure da cornice ad alcuni spettacoli teatrali “da asporto”. A volte perfino un pranzo o una cena sotto le sue fronde. Qualche volta il buon vecchio noce ha dovuto farsi forte, più forte di quei temporali estivi che assomigliavano a dei piccoli ma violenti uragani, mai visti primi. Noci non ne ha date quest’anno ma la sua ombra, nelle calde e umide estati di pianura, era già un buon frutto, di cui c’era bisogno. A terra un tappeto di foglie che ogni tanto rastrello. È lavoro inutile, probabilmente. Ma il rumore e il ritmo delle bracciate che rastrellano fanno quasi pensare al rumore delle onde quando si infrangono sulla spiaggia, e la risacca – il moto di ritorno dell’onda – trascina i granelli producendo il tipico rumore del mare quando incontra la terra. Come il vento quando incontra gli alberi. Come gli occhi quando osservano. Si produce in noi un’osservazione, un pensiero, una riflessione. E noi facciamo da cassa di risonanza alla vita che accade attorno a noi.
Un tappeto di foglie diventa una coperta naturale a riparare la terra, quasi pronta al riposo d’inverno. Resta un piccolo orto invernale con erbe, cavoli di ogni sorta, carciofi, cime di rapa, insalate invernali. E il giardino delle aromatiche. C’è come un senso di rassegnazione, come se ogni cosa dovesse obbedire al tempo, a questo tempo d’inverno alle porte. L’umidità regna sovrana e di notte si fa gelo che all’alba poi fa scricchiolare il prato sotto le scarpe. C’è come un senso di quiete, di riposo, di attesa. Animali – a parte quelli domestici – nemmeno l’ombra. Il riccio, anche lui, si sarà appallottolato da qualche parte per il lungo letargo.
Osservate, osservate anche voi. E ascoltate com’è vicino il regno di Dio. Oltre gli sconvolgimenti, oltre i fatti grandi che terrorizzano gli uomini… ci sono segni inconfondibili che segnano le stagioni, come punti di riferimento per l’uomo, perché possa lui pure comportarsi di conseguenza, in una comunione con tutte le creature che, spesso, sembra perduta. Raccogliersi e tornare in sé. E stare così. Quieti. E, tranquilli, confidare nella primavera.
“Quando scende il sole e tutto si fa nero, solleva gli occhi al cielo. Ecco c’è la luna e imbianca la collina, la luce tornerà. Se non canta il grillo, allora canta il gallo, e torna un altro giorno. Anche un fiore un muore e quando muore un fiore una gemma nasce già. Sai perché noi siamo qua? Cerca nella neve e nella nebbia trova la fogliolina nuova, aspetta primavera e pensa già alla vita, al sole che verrà. Sai perché noi siamo qua?” Sono le parole di un canto con cui si apriva un musical scritto da Vincenzo Cerami: “Francesco, il musical”. Mi sono tornate in mente, standomene qui fermo.
L’osservazione, la meditazione, la riflessione fanno nascere in noi delle naturali connessioni che maturano nel tempo. Mi chiedo spesso cosa potranno lasciare in noi queste connessioni comode ma troppo rapide, prodotte per noi dalla tecnologia. Per come siamo concepiti, non credo che la Vita si radichi e si imprima maggiormente in noi per effetto di rapidità e di accelerazioni. A cosa serve la rapidità tecnologica? A non posarci, forse. Che non è adagiarsi. È quietarsi, trovare riposo, far tacere i rumori che producono dentro l’uomo identiche risonanze.
Quando mi fermo ad osservare è lì che mi rendo maggiormente conto di quanto le parole del Vangelo non passino e di come realmente il regno di Dio ci si avvicini spesso, spessissimo. Più di quanto pensiamo. E non c’è una generazione migliore o peggiore delle precedenti. Ogni generazione porta sempre con sé il rischio della distrazione. Oggi siamo frastornati – a ragion veduta, si intende – dal fragore di sconvolgimenti che paiono non finire mai. Ma interroghiamo pure i tempi antichi e anche lì vi troveremo motivi per giustificare quello stare in continua agitazione. A qualcuno pare davvero mancare la terra sotto i piedi. Non stare più nella pelle è tutt’altra cosa. La prima è affannosa agitazione, la seconda ha a che fare con la gioia. Senza terra sotto i piedi non si cammina più! Ma la terra c’è sotto i nostri piedi ma semplicemente ci siamo dimenticati di toglierci i sandali… e così la calpestiamo e le facciamo violenza per poi stupirci e fingerci ingenui, come se la morte venisse dal cielo.
L’invito ad osservare, contenuto nel vangelo di oggi, è implicitamente un’esortazione a dare un ritmo differente alle giornata che altrimenti scorrono veloci e ci lasciano addosso quel senso di non aver vissuto appieno. Cos’è altrimenti quella percezione di tempo che si consuma e si corrode se non un segno che abbiamo preso tutto con troppa fretta e troppa urgenza? È un po’ come la differenza che c’è nello stare a tavola e mangiare di corsa o prendersi invece il tempo di gustare ciò che si mangia e, ancor più, conoscere coloro con i quali stiamo dividendo il pane.
E facciamolo oggi questo esercizio di osservare. Soffermandoci. Da soli. E vedrete “un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più” (Ap 21,1)
E non sempre noi abbiamo voglia di rifiorire,
di continuare il ritmo della vita:
quel ritmo sempre nuovo
che, a volte, ci sembra sempre vecchio.
Dobbiam mettere in conto anche questa stanchezza,
questa polvere che si è posata sulla vita
e che non siamo capaci di detergere.
Quando la polvere si posa sulle foglie dura poco;
il cielo, prima o poi, se n’accorge
e manda un acquazzone a lavare la terra;
e gli alberi nuovamente
risplendono di verde lustro e ripulito.
Dovremmo imparare, a questa scuola,
a lavarci dalla stanchezza e dalla noia.
(Adriana Zarri)
La Bellezza salverà il mondo….forse siamo troppo presi dalle situazioni negative che ci interpellano ogni giorno e non diamo spazio alle piccole cose che ci parlano ella presenza di Dio in modo semplice e quotidiamo.Teniamo fisso lo sguardo su di Lui e lo scopriremo molto vicino.
Poesia.
Tanto belle quanto vere le tue parole, don Stefano.
Un respiro di nostalgia, ripensando a quando da bambini si faceva più caso a tutto ciò, perché si giocava di più all’aperto e gioia, per aver maturato col tempo, la consapevolezza che tutto ciò è il regno di Dio.
Com’è vero e com’è prezioso ed utile prendersi (anche per forza, costringendosi un po’!) anche solo 5 minuti di sguardo nel verde. Che sia il giardino di casa o il parco comunale, ma anche solo il balcone! Ad osservare, anche per poco, non si riesce a non tornare un po’ a meravigliarsi per tanta bellezza ed armonia. A me stupisce ancora come tutti questi uccellini che adesso riempiono i rami spogli restino attivi anche d’inverno, ben attrezzati dalla Divina Provvidenza che con tanta attenzione ha provveduto al loro abito.