Non fare i capricci!

Data :16 Settembre 2020
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Davanti al tuo volto di luce dirigi il fluire del tempo, e al giorno che è senza tramonto conduci il tuo popolo, o Cristo. A Te, Luce vera del mondo; al Padre, sorgente di luce; al Fuoco, che è luce d’amore, in questo mattino sia gloria. Amen. 

Dal Vangelo secondo Luca (7,31-35)

In quel tempo, il Signore disse: «A chi posso paragonare la gente di questa generazione? A chi è simile? È simile a bambini che, seduti in piazza, gridano gli uni agli altri così:
“Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato,
abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!”.
È venuto infatti Giovanni il Battista, che non mangia pane e non beve vino, e voi dite: “È indemoniato”. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e voi dite: “Ecco un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori!”.
Ma la Sapienza è stata riconosciuta giusta da tutti i suoi figli».

Non credo che al mondo siano state pronunciate parole più universali di queste, sempre e ovunque valide. Ogni volta che viene proclamato questo passo è come se ci venisse scattata un’istantanea. Anche a distanza dal giorno in cui queste parole furono pronunciate o fissate per iscritto, questo passo rivela quanto sia attuale e credibile il Vangelo nel suo modo di cogliere l’essenza dell’uomo che di eterno pare avere solo questa insoddisfazione e questa inadeguatezza.

In sostanza, per dire che non siamo mai contenti di quanto accade sotto i nostri occhi. In sostanza per dire che siamo incapaci di accordarci: tra noi oppure davanti a ciò che si dà. La storia rivela sempre che “un salvatore” è sempre atteso, come oggi attendiamo un vaccino che guarisca il letale virus, pacifichi cuori e menti, e distenda i nervi a fior di pelle. L’attesa del Messia si fece penitenza e digiuno in Giovanni Battista, come un deserto che attende la pioggia per la fioritura. Venuto il Messia, Gesù, non andava bene. Per Giovanni Battista almeno fu un dubbio sortogli in cuore mentre – come attesta l’evangelista Matteo – si trovava in prigione. Aveva predicato l’imminente avvento del Messia che si sarebbe fatto riconoscibile per le sue maniere: gesti forti e determinati. Di qui la stessa austerità di colui che gli stava aprendo la strada: temprò se stesso in un cammino di ascesi personale per reggere la tempra del Messia, per non essere trovato impreparato o non disposto. Poi venne a sapere di cosa faceva Gesù e così pensò di aver cannato completamente perché il Messia s’era fatto piuttosto mite e paziente anziché rapido giustiziere.

Fu un dubbio, per Giovanni. Legittimo. Di quelli che non ti mollano un istante. Di certo non fu mai un capriccio. Diverso è per noi che non siamo mai pronti ad aprirci ad una rivelazione, a cogliere il momento preciso in cui Qualcuno dall’Alto ci fa visita. Senza per forza essere come Abramo che seppe riconoscere la visita di Dio in tre personaggi che si avvicinavano alla sua tenda nell’ora più calda e improbabile del giorno. Ma nemmeno essere come noi, incapaci a riconoscere l’opportunità di una presenza, di un segno… quasi ad accusare Dio che quanto sta compiendo in mezzo al suo popolo non sia la cosa giusta. 

Scena al supermercato, proprio l’altro ieri: una mamma alla cassa che cerca disperatamente di concludere l’operazione di pagare la sua spesa. Con una mano a tenere il portafogli, con l’altra il passeggino con il figlio più piccolo. A terra, invisibile ai passanti, il figlio più grandicello che alza i decibel con urla isteriche… Capricci da far perdere la pazienza, a quella povera madre e a tutti i clienti! Chissà cosa avrà voluto che quella madre non gli avesse acquistato, mi chiedo io. Scene di vita ordinaria, mi direte. Scene che paiono fotografarci in certi nostri passaggi quotidiani o epocali. 

Giovanni scelse di attendere il Messia e in funzione di Lui si scelse un comportamento, un atteggiamento che potesse dire qualcosa di quella attesa, di quel tempo ormai giunto a maturazione. Immaturità è iscritta nella nostra incapacità a scegliere e a deciderci. Gli esempi si sprecherebbero. Emerge così, mentre noi facciamo i nostri capricci da insoddisfatti, tutta la pazienza del Messia che, come attinta da una riserva senza fondo, Egli dosa anche ai nostri giorni. 

Se vogliamo evitare di risultare ridicoli agli occhi di chi ancora vive di attesa e spera una salvezza, non ci resta che invocare la Sapienza che non dimora di certo nelle nostre tasche ma piuttosto presso l’Altissimo. Sento dire spesso che “la madre dell’ignoranza è sempre incinta”. Voglio sperare che pure la Sapienza si personifichi in una madre in dolce attesa di figli. Noi, stando all’intero racconto biblico, dovremmo essere suoi figli. 

Se la ricchezza è un bene desiderabile in vita,
che cosa c’è di più ricco della sapienza, che opera tutto?
Se è la prudenza ad agire,
chi più di lei è artefice di quanto esiste?
Se uno ama la giustizia,
le virtù sono il frutto delle sue fatiche.
Ella infatti insegna la temperanza e la prudenza,
la giustizia e la fortezza,
delle quali nulla è più utile agli uomini durante la vita.
Se uno desidera anche un’esperienza molteplice,
ella conosce le cose passate e intravede quelle future,
conosce le sottigliezze dei discorsi e le soluzioni degli enigmi,
comprende in anticipo segni e prodigi
e anche le vicende dei tempi e delle epoche.

Ho dunque deciso di dividere con lei la mia vita,
certo che mi sarebbe stata consigliera di buone azioni
e conforto nelle preoccupazioni e nel dolore.
Per lei avrò gloria tra le folle
e, anche se giovane, onore presso gli anziani.
Sarò trovato perspicace nel giudicare,
sarò ammirato di fronte ai potenti.
Se tacerò, resteranno in attesa,
se parlerò, mi presteranno attenzione,
e se mi dilungo nel parlare, si tapperanno la bocca.
Grazie a lei avrò l’immortalità
e lascerò un ricordo eterno a quelli che verranno dopo di me.
Ritornato a casa, riposerò vicino a lei,
perché la sua compagnia non dà amarezza,
né dolore il vivere con lei,
ma contentezza e gioia.

Riflettendo su queste cose dentro di me
e pensando in cuor mio
che nella parentela con la sapienza c’è l’immortalità
e grande godimento vi è nella sua amicizia
e nel lavoro delle sue mani sta una ricchezza inesauribile
e nell’assidua compagnia di lei c’è la prudenza
e fama nel conversare con lei,
andavo cercando il modo di prenderla con me.
Ero un ragazzo di nobile indole,
ebbi in sorte un’anima buona
o piuttosto, essendo buono,
ero entrato in un corpo senza macchia.
Sapendo che non avrei ottenuto la sapienza in altro modo,
se Dio non me l’avesse concessa
– ed è già segno di saggezza sapere da chi viene tale dono -,
mi rivolsi al Signore e lo pregai,
dicendo con tutto il mio cuore:

Dio dei padri e Signore di misericordia,
che tutto hai creato con la tua parola,
che con la tua sapienza hai formato l’uomo,
perché domini sulle creature fatte da te,
e governi il mondo con santità e giustizia
e pronunzi giudizi con animo retto,
dammi la sapienza, che siede in trono accanto a te
e non mi escludere dal numero dei tuoi figli,
perché io sono tuo servo e figlio della tua ancella,
uomo debole e di vita breve,
incapace di comprendere la giustizia e le leggi.
Se anche uno fosse il più perfetto tra gli uomini,
mancandogli la tua sapienza, sarebbe stimato un nulla.

Inviala dai cieli santi,
mandala dal tuo trono glorioso,
perché mi assista e mi affianchi nella mia fatica
e io sappia ciò che ti è gradito.
Ella infatti tutto conosce e tutto comprende:
mi guiderà con prudenza nelle mie azioni
e mi proteggerà con la sua gloria.

Quale uomo può conoscere il volere di Dio?
Chi può immaginare che cosa vuole il Signore?
I ragionamenti dei mortali sono timidi
e incerte le nostre riflessioni,
perché un corpo corruttibile appesantisce l’anima
e la tenda d’argilla opprime una mente piena di preoccupazioni.
A stento immaginiamo le cose della terra,
scopriamo con fatica quelle a portata di mano;
ma chi ha investigato le cose del cielo?
Chi avrebbe conosciuto il tuo volere,
se tu non gli avessi dato la sapienza
e dall’alto non gli avessi inviato il tuo santo spirito?
Così vennero raddrizzati i sentieri di chi è sulla terra;
gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito
e furono salvati per mezzo della sapienza».

(dal libro della Sapienza cap. 8-9)


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