L’invisibile non è assente. La diversità trova concordia
Marc Perez, Ensemble
VII domenica di Pasqua (A)
(Atti 1,12-24 / salmo 26 / 1Pietro 4,13-16 / Giovanni 17,1-11)
Dove l’Ascensione viene celebrata il giovedì, in questa domenica vengono proposte nella liturgia eucaristica le letture qui sopra indicate. Per le letture dell’Ascensione, rimando al commento precedente.
Padre nostro,
che abiti una luce inaccessibile,
Tu ti sei rivelato a noi in Cristo tuo Figlio,
luce del mondo che illumina ogni uomo,
e affidi a noi il compito
di essere luce del mondo e sale della terra:
custodiscici nell’umiltà,
nella sequela perseverante di Gesù
e nell’ascolto quotidiano della tua Parola.
Solo così il nostro agire e operare
sarà sacramento della Tua presenza
e condurrà gli uomini a dare gloria a Te
che vivi e regni nei secoli dei secoli.
Amen.
(monastero di Bose)
Dagli Atti degli Apostoli
(1,12-24)
Dopo che Gesù fu assunto in cielo, gli apostoli ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino permesso in giorno di sabato.
Entrati in città, salirono nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi: vi erano Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo figlio di Alfeo, Simone lo Zelota e Giuda figlio di Giacomo.
Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui.
Gesù ha appena lasciato i suoi discepoli. Quel giorno segnò una tappa cruciale nella vita dei suoi discepoli. Mai come in quel momento i discepoli furono così vicini a noi per questo sentirci in qualche modo orfani della sua presenza fisica. Gesù aveva lasciato loro delle consegne molto precise, cioè di non lasciare Gerusalemme finché non avessero ricevuto la forza dello Spirito, quella forza che vuole rassicurarci in ogni circostanza. Luca annota che il monte degli Ulivi non è così distante dalla città santa: il cammino permesso in giorno di sabato, un chilometro circa. Tutto è accaduto a Gerusalemme: la sua morte, la sua resurrezione e dunque il successivo dono dello Spirito.
Nel cenacolo Luca fa l’appello dei presenti, un elenco di nomi che già conosciamo. E allora perché elencare nuovamente? Evidentemente per sottolineare continuità. Sono le medesime persone che hanno vissuto con Gesù, che hanno partecipato alle sue sofferenze, alla sua passione e morte (senza certo comprendere molto!), ma sono proprio gli stessi che si impegneranno per la missione che il Risorto affiderà loro. Ci sarebbe anzitutto da chiedersi come Gesù abbia potuto tenere insieme persone così differenti, ma già ci meravigliamo che questi stessi discepoli si sentano così unanimemente responsabili nella missione di annunciare la Buona Notizia, il Vangelo.
Luca specifica poi che assieme agli Undici ci sono alcune donne e Maria: il gruppo non è già più rinchiuso nella paura. Per la loro stessa diversità di caratteri e di temperamenti, il gruppo avrebbe potuto dissolversi e pure malamente a motivo di tensioni o incomprensioni. Ma ecco – specifica Luca – il primo segno che dà forma alla comunità dei discepoli del Risorto, un vero miracolo già in corso: viene sottolineata la perseveranza e la concordia della loro preghiera. Non pregavano perché il loro Maestro e Signore si facesse nuovamente presente in forma d’uomo. Della sua presenza ormai ne erano certi, dato che Gesù aveva detto loro: «Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo». Forti di questa Parola sapevano così che Invisibile non è sinonimo di assente. Pregavano dunque unanimemente e concordemente perché loro stessi potessero immergersi coscientemente in quella nuova presenza, che i loro occhi potessero riconoscerlo presente ed essere loro stessi sempre in cerca di quel Regno di Dio che è tra noi, in noi.
In un mondo che appare sempre più secolarizzato, che rivendica autonomia o indipendenza dalle istituzioni religiose, quanto parlare si fa ancora della Chiesa! Ma come se ne dice? E cosa se ne potrebbe dire? In quelle che sembravano ad una prima lettura semplici annotazioni per introdurre la nuova opera editoriale di Luca – il libro degli Atti degli Apostoli – ci sono le indicazioni più preziose per chi ancora desidera riconoscersi in questa comunità di discepoli e soprattutto per chi decide, nonostante se stesso e nonostante le umane incomprensioni che potrebbero nascere per le differenti personalità, di continuare questa missione affidata dal Risorto stesso: annunciare il Vangelo ad ogni creatura.
Dal vangelo secondo Giovanni
(17,1-11)
In quel tempo, Gesù, alzati gli occhi al cielo, disse: «Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse.
Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola. Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato.
Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi. Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro. Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te.
«…E io vengo a te» dice Gesù per significare quella morte che Egli vuole vivere nella stessa direzione con la quale ha sempre orientato la sua vita terrena: nell’amore del prossimo e nell’amore di Dio, senza nemmeno più lasciarsi interrogare su quale dei due comandamenti sia più grande. Dare la vita per il suoi, amare fino a perdonare chi lo stava uccidendo e senza fare vendetta è questa la testimonianza più grande di Dio. Gesù è uscito dal Padre, da Lui viene. C’è profonda conoscenza e profondo amore tra il Padre e il Figlio. Dio è finalmente rivelato, manifestato al mondo.
«Padre, è venuta l’ora». È l’ora del grande passaggio, la Pasqua di Gesù. All’inizio del Vangelo di Giovanni, quando anche Gesù era invitato alle nozze di Cana, rispose alla madre che la sua ora non era ancora venuta. La rivelazione di Dio, la più alta, la più profonda, non stava dunque nel moltiplicare la gioia a quelle nozze. La vera gloria di Dio s’è rivelata nella vita umana del Figlio di Dio, che dispiega nella sua carne quella fedeltà capace di amare fino alla morte, anche quando gli uomini tradiscono il comandamento che salva la vita: non ucciderai!
È finalmente giunta l’ora. L’ora decisiva, tanto attesa e tanto temuta. L’ora decisiva, centrale, l’ora che tutta la creazione attende, l’ora in cui è compiuta la volontà di Dio.
Ci sono due parole che potremmo sostituire con due sinonimi così da rendere più chiaro ed efficace il testo. Laddove compare il termine «glorificare» possiamo prenderci licenza di leggere «manifestare». E pure il verbo «dare» con «donare», ogni volta che ricorre con grande insistenza in tutto il capitolo diciassettesimo.
E l’ora in cui il Padre si manifesta, si fa conoscere veramente. Finalmente possiamo conoscere Dio ed entrare nella vita eterna. La vita eterna – di cui Gesù parla al presente – è una condizione già presente, quando gli uomini conoscono questo Dio che Gesù, il Figlio ha manifestato: non avranno più paura di un Dio temibile perché ritenuto colui che toglie la vita, ma un Dio che impareremo ad amare perché è lui che dona la vita eterna. Conoscere Dio così è dunque già vivere della vita eterna e i discepoli lo hanno finalmente compreso, ricevendo da Gesù queste parole sigillate dalla testimonianza della sua vita, di chi ha pagato di persona.
Ho voluto affiancare la prima lettura dagli Atti degli Apostoli con il brano di Vangelo: sono accomunati dal tema della preghiera, preghiera che è forza di coesione per un gruppo di discepoli così diversi tra loro, preghiera che è forza di motivazione per vivere una vita come impegno a testimoniare, a glorificare, a rendere visibile quell’invisibile che altrimenti continueremo ad identificare come il grande assente. Gesù stesso prega il Padre perché solo nella preghiera può pensare al volto di quel Padre che sta nei cieli. L’uomo in effetti è costantemente esposto al rischio di perdere quell’immagine di Dio che si porta dentro. E tutto ciò che ci allontana da questo volto misericordioso è già un idolo spaventoso.
Serve ancora perseveranza e concordia alla preghiera di quei discepoli di Gesù che siamo noi, oggi. Lo aveva detto: «con la vostra perseveranza salverete le vostre anime» (Lc 21,19) Perseveranza per restare fedeli alla missione di testimoniare il Padre in questo mondo che pare così orfano e concordia per essere segno di una fraternità che ha nello Spirito santo il suo proprio soffio vitale.
Mentre andavamo sognando Dio,
una voce giunta dal grande vuoto
delle profondità dell’Uomo
ci ha sorpresi: restate qui,
vegliate e pregate questa notte
che tra tutte è per voi la migliore.
Era nel segreto dei nostri cuori,
presso il sepolcro vuoto del Signore,
è la voce dell’Angelo!
Ha aggiunto: Cosa stai cercando?
Il corpo del Signore è con voi,
rimanete i suoi uomini di fiducia!
Di fronte alla tomba spalancata,
ritorno del Signore dagli inferi,
cantate il suo inno!
Questo luogo profondo appartiene a Dio!
Nessuno lo sonda con gli occhi
che non sono fatti per l’abisso.
Il Signore vi ha preceduto
nella morte che ossessiona
le vostre future morti.
Andate, dunque, senza paura verso la vita!
Nella sua Passione,
Gesù vi ha già strappati,
dalle vostre tombe.
(traduzione da un inno della liturgia francofona)
Quando ci si sente soli, smarriti e inquieti, nei momenti della vita in cui ci scontriamo con sfide, dubbi e sofferenze che possono mettere in discussione la nostra fede, è difficile credere che Egli sia con noi tutti i giorni fino alla fine del mondo… o perlomeno, fino alla nostra presenza terrena! In questi momenti, chiedo incessantemente a Gesù: rafforza la mia fede e la convinzione che sei con me, negli alti e bassi della vita, anche quando non ti percepisco e manifestati con la tua costante Presenza nella mia vita! Amen.
“È giunta l’ora, Padre, per me:
ai miei amici ho detto che
questa è la vita: conoscere Te
e il Figlio Tuo: Cristo Gesù.
Erano tuoi, li hai dati a me,
ed ora sanno che torno a Te.
Hanno creduto: conservali Tu
nel tuo Amore, nell’unità.
Tu mi hai mandato ai figli tuoi:
la tua parola è verità.
E il loro cuore sia pieno di gioia:
la gioia vera viene da Te.
Io sono in loro e Tu in me;
e siam perfetti nell’unità;
e il mondo creda che Tu mi hai mandato:
li hai amati come ami me”.
Questo canto è meraviglioso come lo è poter percepire l’unità nella diversità. Credo sia possibile solo guardando gli altri ed il mondo alla maniera di Dio, dopo esserci lasciati veramente guardare ed amare da Lui. Che il Signore, donandoci ogni giorno il Suo Amore, fino alla fine del mondo ed oltre, ci aiuti a mantenere vivo uno sguardo innamorato e ad alimentare quei sentimenti che fanno crescere l’amore in noi ed attorno a noi, per vivere in pace e serenità. Solo la gioia che da Lui proviene è duratura, ce lo ha detto proprio Gesù qualche giorno fa “…vi vedrò di nuovo ed il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia”.
Leggendo questa riflessione, seguendo il percorso tracciato tra gli atti e la parola, si è acceso in me un pensiero: che la vita eterna può essere già nells vita terrena. Lo è dove le persone vivono nella pace, lontano dalle guerre, aiutandosi gli uni gli altri senza giudicare, ma aiutandosi a migliorare. Guerre intese non solo nell’accezione militare più comune, ma anche guerre interiori, guerre agite con le armi delle parole, dei pensieri e degli atteggiamenti. Guerre sottili, che non versano sangue ma che squarciano l’anima e possono essere anche più letali. Ecco, mi è venuto da pensare che, in effetti, se noi tutti, ma TUTTI davvero, riuscissimo a otientarci insieme verso l’attuazione di un siffatto contesto, allora la vita eterna potremmo davvero inziare ad assaporarla anche quaggiù, nel percorso della nostra vita terrena.