Il tempo del racconto… e il raccolto verrà!
(Eb 10,11-18 / Sal 109 / Mc 4,1-20)
Sono felice di sapere che qualcosa di noi – e magari fosse tutto di noi! – qualcosa di noi che mettiamo a disposizione, serva. Serva a qualcuno. Serva a qualcosa. Serva perfino al Signore per fare quello che egli vuole. E dunque la barca gli servì. Non nel momento preciso in cui la chiese. Non nel momento in cui i discepoli la misero a sua disposizione. Ma secondo i suoi tempi, secondo i suoi pensieri. Che non sono mai i nostri. E fortunatamente tempi e pensieri suoi sono sempre migliori dei nostri. Egli, salito su una barca, si mise a sedere stando in mare, mentre tutta la folla era a terra lungo la riva. Insegnava loro molte cose…
E sono felice di imparare, sono felice di conoscere. Per questo mi piace molto, moltissimo stare in silenzio… c’è Qualcuno che insegna ciò che altrimenti non saprei. E sono pieno di gioia nel sapere che abbiamo un buon Maestro! Che cosa si attendono dei genitori per i loro figli se non che a scuola e nella vita i loro figli incontrino buoni insegnanti e testimoni? Il Vangelo è la casa e la scuola, dove ogni giorno vivo e dove ogni giorno vado ad imparare qualcosa. Il Vangelo poi è quello stesso campo, quella messe abbondante dove, con tanti amici, che posso perfino chiamare fratelli, condividiamo insieme la gioia di raccogliere i frutti di ciò che il Maestro dalla barca insegna da sempre.
Ho ricevuto stamattina prima dell’alba un messaggio bellissimo che riportava un testo di uno scrittore che, per altro, mi è carissimo: Christian Bobin. Perché serve un senso alle nostre vite? Per salvarle? Ma non ne hanno bisogno. Non c’è perdita nelle nostre vite, perché le nostre vite sono perdute a priori perché esse passano un po’ di più, ogni secondo. Una parola mi disturba nella vostra lettera. La parola «senso». Mi permetta di cancellarla. Ecco dunque cosa diventa la vostra domanda e che bell’aspetto prende ora. Aerea, filante: «Cosa vi dona la vostra vita?». Questa volta la risposta è facile: tutto. Tutto ciò che non sono io e che mi rischiara. Tutto quello che non conosce e che mi attendo. L’attesa è un fiore semplice. Spunta ai margini del tempo. È un povero fiore che guarisce tutti i mali. Il tempo dell’attesa è un tempo di liberazione. Questa liberazione opera in noi a nostra insaputa. Non ci chiede alcunché se non di lasciarla fare, per il tempo che serve, le notti che deve. Certamente l’avrete notato: la nostra attesa – d’un amore, d’una primavera, d’un riposo è sempre colmata di sorpresa. Come se ciò che noi speriamo era inatteso. Come se la vera formula per attendere fosse questa: non prevedere nulla se non l’imprevedibile. Non attendere nulla se non l’inatteso. Questa conoscenza mi vien da lontano. Questo sapere che non è conoscenza, ma una fiducia, un mormorio, una canzone. Mi viene dall’unico maestro che io abbia mai avuto: un albero. Tutti gli alberi di sera fremono. Mi insegnano a modo loro ad accogliere ogni istante come una buona sorte. L’amarezza di una pioggia, la follia del sole: tutto è cibo per loro. Non hanno preoccupazione alcuna, neppure di un senso. Essi attendono di un’attesa luminosa e offuscata. Infinita. Il mondo intero riposa su essi.
Io vorrei solo arrivare puntuale alla scuola di questo Maestro che insegna come fosse un seminatore. Dire «Eccomi» quando è il momento di sapere se ci siamo, se il presente è questo tempo. Parla, Signore! Parla, Vita mia! Il tuo discepolo ascolta. E come un albero crescano le nostre vite… come alberi piantati lungo corsi d’acqua (salmo 1) che daranno frutto a loro tempo, come virgulti d’ulivo (salmo 127). Ecco, il seminatore uscì a seminare…
E poi, oggi – 27 gennaio – per questo giorno tristemente celebre ma prezioso alla memoria, farò un giro in libreria. Ho in mente un titolo, anzi due. Ogni anno per questa occasione faccio così. E nel silenzio, mi siederò a leggere, ad ascoltare, a contemplare quel seme della Parola, sparso ovunque dal seminatore, e vedere dove già sta crescendo… e credere, sperare che verrà nuovamente il tempo del raccolto.
Padre nostro,
guida le nostre azioni secondo la tua volontà,
perché nel nome del tuo Figlio amato
portiamo frutti generosi di opere buone.
Amen.
Dal Vangelo secondo Marco (4,1-20)
In quel tempo, Gesù cominciò di nuovo a insegnare lungo il mare. Si riunì attorno a lui una folla enorme, tanto che egli, salito su una barca, si mise a sedere stando in mare, mentre tutta la folla era a terra lungo la riva.
Insegnava loro molte cose con parabole e diceva loro nel suo insegnamento: «Ascoltate. Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; e subito germogliò perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde tra i rovi, e i rovi crebbero, la soffocarono e non diede frutto. Altre parti caddero sul terreno buono e diedero frutto: spuntarono, crebbero e resero il trenta, il sessanta, il cento per uno». E diceva: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!».
Quando poi furono da soli, quelli che erano intorno a lui insieme ai Dodici lo interrogavano sulle parabole. Ed egli diceva loro: «A voi è stato dato il mistero del regno di Dio; per quelli che sono fuori invece tutto avviene in parabole, affinché guardino, sì, ma non vedano, ascoltino, sì, ma non comprendano, perché non si convertano e venga loro perdonato».
E disse loro: «Non capite questa parabola, e come potrete comprendere tutte le parabole? Il seminatore semina la Parola. Quelli lungo la strada sono coloro nei quali viene seminata la Parola, ma, quando l’ascoltano, subito viene Satana e porta via la Parola seminata in loro. Quelli seminati sul terreno sassoso sono coloro che, quando ascoltano la Parola, subito l’accolgono con gioia, ma non hanno radice in se stessi, sono incostanti e quindi, al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della Parola, subito vengono meno. Altri sono quelli seminati tra i rovi: questi sono coloro che hanno ascoltato la Parola, ma sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e la seduzione della ricchezza e tutte le altre passioni, soffocano la Parola e questa rimane senza frutto. Altri ancora sono quelli seminati sul terreno buono: sono coloro che ascoltano la Parola, l’accolgono e portano frutto: il trenta, il sessanta, il cento per uno».
Signore,
ricordati non solo degli uomini di buona volontà
ma anche di quelli di cattiva volontà.
Non ricordarti
di tutte le sofferenze che ci hanno inflitto.
Ricordati invece
dei frutti che noi abbiamo portato
grazie al nostro soffrire:
la nostra fraternità, la lealtà, il coraggio,
la generosità e la grandezza di cuore
che sono fioriti da tutto ciò che abbiamo patito.
E quando questi uomini giungeranno al giudizio
fa che tutti questi frutti
che abbiamo fatto nascere
siano il loro perdono!
(Preghiera scritta da uno sconosciuto prigioniero del campo di sterminio di Ravensbruch)
Artefice Signore
della terra e del cielo
aurora inestinguibile
giorno senza tramonto.
Dona alle stanche membra
la gioia del riposo
e nel sonno rimargina
le ferite dell’anima.
Se le tenebre scendono
sulla città degli uomini
non si spenga la fede
nel cuore dei credenti.
Te la voce proclami
o Dio trino e unico
te canti il nostro cuore
te adori il nostro spirito.
Amen
Meravigliosa Hetty, il cuore pensante delle baracche, colei che scrisse che l’unica cosa importante fosse salvare in lei, in loro, un piccolo pezzo di Dio. Colei che scrisse che la pace, prima che nel mondo, la dobbiamo cercare dentro noi. Io piango quando sento Liliana Segre, ho riascoltato il suo intervento al parlamento europeo, e poi il pensiero va sempre ad Hetty perché ho letto e riletto le sue riflessioni più intime, che davvero strappano il cuore, ma poi avverti in lei una forza tale che sembra di offenderla a compiangerla, perché lei è comunque sempre positiva. E quel Dio che lei deve aiutare è il suo soccorso.
Ho appena terminato di leggere,anzi dovrei dire “divorato” il bellissimo Diario 1941-1943 di Etty Hillesum, ragazza ebrea olandese di 27 anni, vittima della Shoah.
È straordinario come lei riesca- in un periodo così buio della Storia, di sopraffazione dell’uomo sull’uomo,in un cerchio che si stringe sempre più,fino al campo di smistamento, ultima tappa prima di Auschwitz, dove morirà – a scoprire Dio in sé e negli uomini e a mantenere un’ incrollabile fiducia nella vita, che riversa sulle persone vicine.
“Convinciamoci che ogni atomo di odio che aggiungiamo al mondo lo rende ancora più inospitale” è uno dei messaggi che Etty consegna alla storia e a noi posteri…a monito per l’umanità intera… perché l’odio non abbia mai l’ultima parola.