Fardello o bagaglio?

Data :21 Agosto 2021
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Quando disse le parole che oggi ascoltiamo nel Vangelo, non mancavano molti giorni alla sua fine. Aveva già fatto il suo ingresso nella città santa di Gerusalemme e di lì a pochi giorni lo avrebbero ucciso sulla croce. 

Certo, di Gesù Cristo vorremmo solo e soltanto la tenerezza che Egli ebbe con i più poveri, con i malati, con le folle smarrite, con donne e bambini mai contati a prescindere perché in fondo il Vangelo ci parla nel dirci anzitutto che siamo più simili a questi smarriti di cuore di quanto pensiamo. Di certo non possiamo togliere dal Vangelo le Sue dure parole, quelle che ancora fingiamo di non ascoltare. E noi, pronti perfino a scusare Cristo stesso di certe sue invettive, a cercare di comprendere le ragioni di tali parole, giustificandolo perfino col pensare che potesse non aver dormito bene, non aver digerito la cena del giorno prima piuttosto che accoglierle come parole che ci salvano. Delle parole che oggi ascolteremo, Gesù ne era cosciente, consapevole di quanto stava dicendo. Consapevole a tal punto da sapere che potevano perfino portarlo alla morte. Se già Giovanni il Battista se la vide brutta per aver parlato da profeta nel mezzo del deserto, immaginate voi a fare il profeta nel cuore della Città Santa. 

Le sue parole schiette e dure avrebbero potuto suonare se non altro come un campanello d’allarme. È chiaro che avrebbe desiderato salvare pure coloro contro i quali pareva scagliarsi. Parlava così per risvegliarli da un torpore spirituale sigillato dentro formalismi e ritualità altisonanti. C’è avidità di potere anche in ambito religioso: anche lì si corre il rischio dell’audience, della popolarità, si cercano posti di prestigio, si amano saluti, complimenti, riverenze, titoli. 

Ed è per questo che noi ci risparmiamo così tanto d’essere profetici nei nostri comportamenti, nel nostro parlare. Con la paura che abbiamo di morire, ci mancherebbe che la causa della nostra morte sia dentro parole uscite dalle nostre labbra. La violenza non è nelle sue parole. La violenza non è mai nelle parole che cercano di salvare, di scuotere, di invitare a conversione. La violenza è nei gesti che escludono, gesti spesso ricoperti di precetti d’oro. 

Davanti a Dio non conta il ruolo che rivestiamo, la carica che ricopriamo, il posto che occupiamo ma ciò che siamo realmente: uomini e donne sempre più infragiliti. Se poi ruoli e gerarchie cancellano la fraternità, a che serve? E non si finga di dimenticare il più grande dei comandamenti, quello cioè che dovrebbe pesare di più: l’amore-ascolto di Dio e del prossimo. Questo è l’unico peso leggero di cui Cristo ci ha caricati (Mt 11,29).

Attraverso il tuo Vangelo, Signore, 
scopriamo che a nulla serve
sforzarsi per misurare
quello che siamo o che non siamo.
L’essenziale sta nell’umilissima fiducia della fede:
Dio non può che donare il suo amore.

Dal Vangelo secondo Matteo (23,1-12)

In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:
«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.
Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.
Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.
Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

Pellegrino sulla terra,
ogni giorno ti cerco,
ma dove trovarti, Signore?
     Raccogli il tuo sguardo
     verso il fondo del tuo cuore:
     sono lì che ti cerco.
Affamato di giustizia,
al mattino spero in Te,
come placare la mia fame?
     Accogli l’eucarestia
     e la mia vita condivisa:
     il tuo desiderio e la mia speranza.
Angosciato dal silenzio,
la sera ti invoco,
il mio grido, lo senti salire?
     Impara ad ascoltare,
     esorcizza la paura,
     il mio silenzio ti chiama.
Attratto dal Padre,
appostato ti attendo la notte,
Gesù, verrai presto?
     Io busso alla tua porta
     e mi pongo in attesa: aprimi,
     sono impaziente di essere accolto.
Pellegrino sulla terra,
ogni giorno ti cerco,
     ma Tu mi hai trovato, Signore.

(Maurice de Tamié)


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Piccoli Pensieri (1)

Questo richiamo di Gesù a non salire in cattedra ma restare umili e non smettere di prestare servizio è davvero lungimirante.
In fondo è proprio continuando a “mettersi al ” di chi ha bisogno che si continua a crescere. Non c’è un bisogno uguale ad un altro perché non c’è un bisognoso uguale ad un altro. Ci sono contesti, storie, vissuti diversi che portano a diversi esiti. Mantenersi attenti a servire, a prestare aiuto, richiede innanzitutto la capacità di prestare ascolto a nuovi bisogni in nuovi contesti, per affrontare i quali potrà sí essere utile l’esperienza pregressa, ma sarà necessario adattarla, sistemarla ed aggiustarla perché possa essere fruttuosa nel nuovo contesto. Se ci si fissa su ciò che si sa e basta, è la volta che si ferma, si smette di conoscere e di crescere. È invece restando umili che ci si apre alla possibilità di considerare che ciò che si sia non sia abbastanza e, così facendo, aprirsi alla possibilità di sforzarsi per andare un po’ oltre, per evolvere un po’ di più.

21 Agosto 2021

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