… e Maria interrogò l’angelo
Immacolata concezione di Maria (Gen 3,9-15.20 / Sal 97 / Sal 97 / Lc 1,26-38)
Ho aperto le mie mani
e il mio grembo al tuo passaggio,
perché tu, o Dio,
sei un fiume profondo,
il fiume della Sapienza.
Nata immacolata
io ho conosciuto
il principio della felicità,
poi Dio sono entrata
nella Babele degli uomini
e la mia lingua
stava perdendo suono,
finché l’angelo ci ha posto
il seme della preghiera.
(Alda Merini, da «Magnificat – un incontro con Maria»)
Dal Vangelo secondo Luca (1,26-38)
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.
Era già passato nel Tempio, a Gerusalemme, dove un anziano sacerdote della classe di Abìa stava offrendo l’incenso, mentre il popolo era raccolto in preghiera. Venne questo angelo di Dio, il suo nome era Gabriele. Venne per dirgli di non temere, di non disperare più perché la sua preghiera e quella di sua moglie Elisabetta sarebbe stata esaudita e i due avrebbero avuto un figlio. Fu questo l’inizio dei viaggi di Gabriele, messaggero di Dio. Zaccaria faticò a credere a quel messaggio. Ne aveva tutte le ragioni: lui anziano e sua moglie sterile. La sua resistenza a credere lo fece muto e il popolo dovette chiedersi come mai quella religione non parlava più, non aveva più nulla da dire. Eppure il popolo stava in preghiera, nella condizione migliore per intendere una risposta, un messaggio, anche solo riferito da altri.
Passarono sei mesi da questi fatti e nuovamente Gabriele venne mandato sulla terra. Questa volta a Nazareth, in questa terra sconosciuta, mai nominata nelle Sacre Scritture. Natanaele dirà di questo villaggio: «Che cosa può venire di buono da Nazareth?» (Gv 1,46). Nulla di scontato per questa seconda missione di Gabriele. Paese anonimo e poco considerato. Ed ora dovrà entrare in una casa. Ancora ancora nella sinagoga! No, in casa. Da una ragazza sconosciuta, alla quale Dio aveva pensato prima della creazione del mondo. A lei come a noi. Scrive san Paolo: «Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo […] In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità».
Pensati e scelti per essere davanti a Dio nella carità. Anzitutto c’è questa carità da fare a Dio: fargli posto. Una donna chiamata a divenire madre ce lo insegna. Come si fa? Si fa proprio come farebbe una madre quando prepara il suo grembo… e poi una coperta, un vestito, il cibo, una casa. Questa è la carità: fare posto a Dio quando viene incontro a noi come un bambino da mettere al mondo, come un povero di cui essere fratello.
Il nostro orecchio è abituato ad ascoltare il Vangelo di oggi. Lo conosciamo bene, credo, ma non ha nulla di scontato: l’anonimato di Nazareth ma soprattutto quella parola che già era risuonata nel Tempio e che, in cambio, aveva ricevuto incredulità, quella parola rivolta ad una ragazza, adolescente o poco più. Siamo abituati a cercare subito la soluzione, siamo abituati al lieto fine di questa fanciulla che dice: «Eccomi!» e a noi pare di poter respirare, di stare tranquilli che quella disponibilità altrui faccia già bene anche a noi. Almeno sforziamoci di comprendere il suo grande turbamento davanti ad un saluto così grande. Fu molto turbata, annota Luca, perché nessuno, entrando in una casa, avrebbe avuto in mente di rivolgere un saluto alle donne lì presenti. Dunque è già in questo sconvolgimento delle usanze e delle abitudini l’inizio del turbamento di Maria. E, almeno per una volta, notiamo che la prima parola di Maria è una domanda sensata e ragionevole. Almeno a noi così pare: sensata e ragionevole perché questa faccenda la riguarda in prima persona. Se un sì dev’essere, questa risposta chiede ragione di quella disponibilità richiesta. Ciò che ancora diamo per scontato è che in materia di fede una donna potesse far domande. Ma questo non sarebbe neppure permesso neppure a dei discepoli!
Bastarono poche parole, come indizi. Parola che risuonavano nelle Scritture e che mai Maria avrebbe pensato di ascoltare in casa sua, dalla bocca stessa di un messaggero mandato esclusivamente per lei. Lo Spirito santo, quello che aleggiava già sulle acque in principio da cui tutto scaturì; la nube alla cui ombra camminava il popolo nel deserto verso la terra promessa, la nube da cui Dio stesso parlava per dire che non lo puoi vedere ma ascoltare… È così che Maria divenne la serva del Signore nella più completa disponibilità che la Parola del Signore avvenga in lei, nella forma più desiderabile per una donna: essere madre.
Shalom lach Mirjam (Ave Maria… in ebraico)
Shalom lach Mirjam, meleata ha-khesed
Adonai imakh b’rukha at banashim
u-varukh peri bitnekh Yeshua
Mirjam ha-kedosha em ha Elohim
hitpaleli baadenu hakhotim
atah u-vishat motenu.
Amen.
La tua prima parola, Maria,
ti chiediamo di accogliere in cuore:
come sia possibile ancora
concepire pur noi il suo Verbo.
«Non chiedete mai segni o ragioni,
solamente credete e amate:
il suo Spirito scende su voi
e sarete voi stessi sua carne».
Te beata perchè hai creduto,
così in te ha potuto inverarsi
la parola vivente del Padre,
benedetta dimora di Dio.
A te Padre, a te, Figlio, a te Spirito
grazie e gloria di aver donato
questa madre alla terra intera,
la speranza di tutti i viventi.
(David Maria Turoldo)
Mi sono chiesta spesso come possa essersi sentita Maria a questo annuncio, ma anche più avanti alla nascita e lungo la vita del figlio Gesù. Dico: a pensarla da “comuni mortali” mica è facile immaginare come questa donna sia stata in grado di affrontare tutte queste prove… Un figlio che nasce in un posto improvvisato, che crescendo prima “scappa” nel Tempio e poi se ne va proprio di casa senza più dar notizie, credo sia una bella prova per ogni mamma! In questo credo le sia stato davvero d’aiuto lo Spirito Santo. Quello stesso che ai credenti nella prova e sotto accusa suggeriva le parole da dire. Quello che nella preghiera si invoca come riparo e consolazione. Quello stesso che è pronto ad aiutare anche noi, a sostenerci e incoraggiarci quando le piccole o grandi prove della vita ci appaiono più insormontabili, pronto a portare al nostro cuore il messaggio di Dio: “coraggio, ce la puoi fare!”.