E adesso non si ORA più? (sarà tutto di nuovo un guadagnare?)

Data :11 Luglio 2020
Commenti: (3)
Jean-François Millet, Angelus, 1858-1859

Spirito del Padre, dolce ospite dell’anima, resta sempre con me per farmi conoscere il Figlio, sempre più profondamente. O Spirito di santità, donami la grazia di amare Gesù con tutto il cuore, di servirlo con tutta l’anima e di fare sempre e in tutto ciò che a lui piace. Amen

Charles de Foucauld

Dal Vangelo secondo Matteo (19,27-29)

In quel tempo, Pietro, disse a Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?».
E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna».

La ricorrenza di san Benedetto, fondatore del monachesimo occidentale, mi riporta al celebre detto latino: “Ora et Labora“, prega e lavora. Senza che lo si sappia, in pratica noi dobbiamo l’impianto delle nostre giornate al modo di scandire il tempo tipico del monachesimo che alterna i tempi della preghiera con le ore di lavoro o di studio. C’è una sapienza nascosta in questo modo di affrontare il tempo. Anzitutto si evitano “indigestioni”: noi non possiamo sempre lavorare. Abbiamo bisogno di tempi di riposo. E neppure pregare continuamente ci gioverebbe se poi il nostro pregare non sfociasse in qualche azione, in qualche lavoro, in qualche opera buona.

Il fatto è che il tempo della preghiera (oggi più di ieri?) è quello al quale dedichiamo meno tempo. Non sono lontani i tempi in cui, terminato il lavoro e rinfrancato il corpo, ci si radunava nelle stalle per la preghiera insieme, fatta spesso sgranando un rosario pregato in latino (un latino “ad orecchio”), di gente semplice che non sapeva esattamente cosa stesse dicendo. Ma la convinzione che anche quella cosa – come il pane quotidiano – era necessaria per quella giornata e per la vita tutta, nessuno si permetteva di metterla in questione. Altri tempi? Mondi che non ci sono più? Nessuna nostalgia perché la vita aveva l’aria di essere assai più dura di oggi. La schiena curva nei campi o nell’aia di casa. Per tutti. Anche i piccoli che crescevano in fretta pure loro perché servivano braccianti. Anche oggi i piccoli crescono in fretta, ma per altre ragioni. Li chiamano i nativi digitali perché sembrano capaci di manovrare strumenti digitali ancor prima che qualcuno spieghi loro il funzionamento.

Prega e lavora, il moto di benedettina memoria, ha ancora qualcosa da insegnarci? Avrebbe ancora il suo valore anche per chi non s’è fatto monaco? Non si tratta certo di essere tutti monaci. Potremmo scherzare simpaticamente nel dire che, ai nostri giorni, si è anche solo invertito l’ordine delle due azioni: ora et labora sarebbe quantomeno diventato labora et ora. Il lavoro (con i suoi profitti e la sete di guadagno di cui l’uomo pare mai sazio) sembra occupare moltissima parte della giornata. L’introduzione dello smart working durante la recente quarantena, per molti è significato un aumento del tempo del lavoro da casa e non sempre sinonimo di praticità. Per alcuni è stato difficile suddividere, ordinare e gestire il tempo anche in modalità “lavoro-studio da casa”. Se ho il computer a casa e con quel computer ci posso lavorare o studiare, può anche succedere che, non curanti del tempo, si lavori maggiormente. Ma potrebbe pure succedere il contrario.

Certo è che la preghiera difficilmente la associamo ad un tempo che vada alternato al lavoro. Ci sembra essa pure “una cosa da fare“, in più. Se poi è percepita come un dovere, stiamo freschi! Durante la quarantena, complice il fatto che c’era più tempo a disposizione e meno ne perdevamo per correre qua e là, la preghiera diventava perfino una specie di “gita fuori porta”, una passeggiata in regioni dell’anima che non sempre visitiamo o contempliamo. La paura deve aver fatto la sua parte nel farci correre ai ripari. La tanto invocata normalità alla quale pare si debba tornare, ci vedrà dunque mettere da parte qualcosa – la preghiera – che invece avevamo imparato a gustare?  Sarà tutto di nuovo un correre per lavorare e un lavorare per guadagnare? Sapremo ancora perdere tempo in favore di quel respiro che la preghiera ci ha dato nei giorni in cui il respiro si faceva dispnoico (alterato ritmo o frequenza del respiro quando si è in fatica o si soffre)?

Cosa avremo in cambio? Cosa ci guadagniamo se interrompendo il lavoro, quasi fosse un atto eroico, mantenessimo la preghiera come buona abitudine delle nostre giornate, delle nostre settimane? Io ho la netta percezione che la preghiera nata nei mesi scorsi, ci abbia messo con più gioia davanti al Vangelo, come se il Vangelo fosse la nostra stessa casa. Se la logica che ci muove è quella del guadagno materiale, della produttività, è chiaro che la preghiera non serve a molto. Tuttavia mi chiedo spesso: non siamo noi quelli che affermano di credere in un solo Dio, creatore di tutte le cose, belle e buone, visibili e invisibili? Ci sono cose invisibili che sono tanto essenziali al nostro vivere umano. Lasciare tutto (affetti compresi!) per motivi di lavoro non può che lasciarci l’amaro in bocca, come Pietro nel vangelo di oggi, che pare rivendicare davanti a Gesù, che lo aveva chiamato a stare con Lui, il diritto di riavere quanto perduto. Occorre perdersi per ritrovarsi. Occorre perdere tempo anche nella preghiera per ritrovare case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi. Il guardare il mondo, le cose e gli affetti solo con l’occhio visibile, che misura e controlla, conta, riconta e sconta, a rischio di essere comunque difettoso di miopia o presbiopia nella percezione della realtà, ci darà la sensazione di aver soltanto perso o lasciato. 

Pregare è arte di fanciulli. Di chi sa ancora perdere tempo per stare con l’Amico. Di chi desidera ritrovare tutto il suo mondo, passato, presente e pure immaginando quello futuro. Di chi ritrova affetti mai perduti o forse solo persi di vista, di chi scopre di non essere solo al mondo. Di chi sa che anche questo tempo è avvolto in fasce, quelle di un Padre che con amore veglia sulle sue creature e che è sempre pronto a rigenerare il mondo intero. Giudichiamolo così questo nostro tempo. Di generazione in generazione la sua misericordia è per quelli che lo temono. E pure la nostra rigenerazione. 

Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.

Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore: mi ha risposto
e da ogni mia paura mi ha liberato.

Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce.

L’angelo del Signore si accampa
attorno a quelli che lo temono, e li libera.
Gustate e vedete com’è buono il Signore;
beato l’uomo che in lui si rifugia.

Temete il Signore, suoi santi:
nulla manca a coloro che lo temono.
I leoni sono miseri e affamati,
ma a chi cerca il Signore non manca alcun bene.

(salmo 33)

11 luglio: San Benedetto, patrono d’Europa

Benedetto da Norcia, fratello di Santa Scolastica, nacque verso il 480 d.C., da un’agiata famiglia romana. A Norcia egli trascorse gli anni dell’infanzia e della fanciullezza. Adolescente fu mandato a Roma a compiere i suoi studi, ma, sconvolto dalla vita dissoluta della città, “ritrasse il piede che aveva appena posto sulla soglia del mondo per non precipitare anche lui totalmente nell’immane precipizio. Disprezzò quindi gli studi letterari, abbandonò la casa e i beni paterni e cercò l’abito della vita monastica perché desiderava di piacere soltanto a Dio”.
A diciassette anni, si ritirò nella valle dell’Aniene presso Enfide (l’attuale Affile) per poi avviarsi verso la valle di Subiaco, presso gli antichi resti di una villa neroniana. A Subiaco incontrò il monaco di un vicino monastero di nome Romano, che, vestitolo degli abiti monastici, gli indicò una grotta impervia del Monte Taleo (attualmente contenuta all’interno del Monastero del Sacro Speco) dove Benedetto visse da eremita per circa tre anni, fino alla Pasqua dell’anno 500. Conclusa l’esperienza eremitica, accettò di fare da guida ad altri monaci in un ritiro cenobitico presso Vicovaro. Tornò poi a Subiaco ove rimase per quasi trenta anni, predicando e accogliendo discepoli sempre più numerosi, fino a creare una vasta comunità di dodici monasteri, ognuno con dodici monaci ed un proprio abate, tutti sotto la sua guida spirituale.
Intorno al 529 si diresse verso Cassino dove, sopra un’altura, fondò il monastero di Montecassino. Qui Benedetto compose la sua Regola verso il 540. Prendendo spunto dalla tradizione monastica precedente – Padri del deserto, Cassiano, Basilio, Agostino – egli combinò l’insistenza sulla buona disciplina con il rispetto per la personalità umana e le capacità individuali.
A Montecassino Benedetto morì, secondo la tradizione, il 21 marzo 547, quaranta giorni circa dopo la scomparsa di sua sorella Scolastica con la quale ebbe comune sepoltura; secondo il racconto di S. Gregorio Magno, spirò in piedi, sostenuto dai suoi discepoli, dopo aver ricevuto la comunione e con le braccia sollevate in preghiera, mentre li benediceva e li incoraggiava. Le diverse comunità benedettine ricordano la ricorrenza della morte del loro fondatore il 21 marzo, mentre la Chiesa romana ne celebra ufficialmente la festa l’11 luglio, da quando papa Paolo VI ha proclamato san Benedetto da Norcia patrono d’Europa il 24 ottobre 1964.

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Piccoli Pensieri (3)

Dania

Leggendo i commenti ne condivido i pensieri… Anche io spero che questo tempo porti un rinnovamento, osando quel cambiamento che all’ “ora et labora” Benedetto aggiunga il col-labora, affinché si riscopra il piacere di pregare, lavorare e condividere la vita con qualcuno. Per lavoro mi trovo costantemente in questa situazione che è una fatica ma anche una Grazia che mi conduce a credere fermamente che per col-laborare occorre dialogo (ascolto e parola), relazione, umiltà, prossimità ed anche ricerca, di sé stessi e dell’Altro/degli altri.

12 Luglio 2020
Arianna

Io mi auguro davvero di cuore che questa recente esperienza abbia quantomeno seminato nei nostri cuori qualche sano dubbio, di quelli su cui riflettere un po’ prima di trovare la risposta. Mi auguro anche che la risposta sia di quelle capaci di rimetterci in discussione, portarci ad agire un cambiamento effettivo.

11 Luglio 2020
Angela

Mi ha colpito in questo brano la frase “ alla rigenerazione del mondo”. Gesù ci dice,mi sembra,che chi lo segue partecipa a questo progetto di rinnovamento. Lui fa nuove tutte le cose, credendo in Lui siamo rigenerati e nello stesso tempo aiutiamo a rigenerare.

11 Luglio 2020

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