Buono il seminatore, buono il seme, buona la terra. Ma il nemico?…

Data :19 Luglio 2020
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XVI domenica del Tempo Ordinario

(Sap 12,13.16-19 / Sal 85 / Rm 8,26-27 / Mt 13,24-43)

Pregare è farsi voce del creato, coscienza della terra che ama e adora; pregare è fare silenzio e mettersi in ascolto che qualcuno ti parla; e cantare, solo cantare, e non chiedere nulla perché lo Spirito intercede per noi: Tu donaci sempre il tuo Spirito, Signore, e ci basti… Amen.

Ci sostenga sempre, o Padre, la forza e la pazienza del tuo amore;
fruttifichi in noi la tua parola, seme e lievito della Chiesa,
perché si ravvivi la speranza di veder crescere l’umanità nuova,
che il Signore al suo ritorno farà splendere come il sole nel tuo regno. Per Cristo, nostro Signore. Amen.

Vincent van Gogh, Seminatore al tramonto, 1888

Dal Vangelo secondo Matteo (13,24-43)

In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponètelo nel mio granaio”».
Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami».
Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».
Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta:
«Aprirò la mia bocca con parabole,
proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo».
Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!».

Concentrati come siamo sull’attualità e sui problemi dei nostri giorni, occupati ad immaginare come andranno le cose dopo il passaggio del nemico che ha seminato morte laddove il seminatore aveva gettato a piene mani la Vita, noi che ancora ci troviamo ad ascoltare il Vangelo potremmo risultare degli illusi anacronistici. Qualcuno potrebbe pensare che si tratti pure di una vera perdita di tempo. Anche oggi noi proviamo a guardare la Vita, il campo di azione dell’uomo, a partire da cose nascoste fin dalla fondazione del mondo. Non è come chi guarda nostalgicamente al passato dicendo che si stava meglio quando si stava peggio, quando c’era meno benessere. Se così fosse, perché non tornare a condizioni di quel tempo? Ascoltare ancora le parabole e dedicarsi alla loro comprensione non è cosa per persone impaurite di futuro. Si tratta di cogliere ciò che è nascosto nel segreto, qualcosa di così piccolo che non si può comprendere e vedere se non si decide di metterci mente e cuore. Ascoltare le parabole e cercare di coglierne la portata per i nostri giorni non è però guardare al microscopio anche se mai come oggi l’uomo sta investigando su cose che stanno al limite dell’invisibile, che si tratti di un virus annidato nelle cellule o che si tratti di galassie al limite dell’immaginabile.

È l’umiltà delle immagini stesse a colpire, che potrebbe già rimandarci all’umiltà di Colui che le racconta: un campo seminato a grano e zizzania; un regno paragonabile al più piccolo dei semi; una donna che prepara il pane, nascondendo lievito nell’impasto. Gesti ordinari e quotidiani come il seminare, coltivare, preparare un pranzo. Cose piccole che solo con il tempo e la pazienza diventano grandi, ma non della grandezza ambiziosa e spavalda, semplicemente grandi perché raggiungono il loro fine: il piccolo seme ha il suo scopo nel diventare spiga o arbusto da spezie che in cucina insaporiscono il cibo; il poco lievito fa crescere la pasta perché tutta, fermentando, diventi pane per la tavola.

Cosa sono dunque queste cose nascoste? Forse il mistero di Dio che viene continuamente tra noi, che si sta legando alle nostre storie in modo nascosto. Non abbiamo orecchie per sentire queste cose, non abbiamo occhi per vederle. Noi resistiamo a questi pensieri, presi dalla smania di controllo, preoccupati di non perdere tempo (e pregare ascoltando la Parola sembra davvero l’azione più inutile al senso della produttività tanto che ci permettiamo di stare ancora a pregare con l’orologio in mano, senza pensare che dovremmo uscire dalla preghiera solo quando abbiamo colto qualcosa che ci decida a trasformare l’esistenza, qualcosa che ci dia coraggio per farlo)

Appena ti metti a guardare il campo dove Dio avrebbe seminato del buon seme, appena gusti meravigliato una certa bellezza delle cose e dell’esistenza stessa, ecco che l’occhio cade a guardare la zizzania. Non appena riusciamo a rallegrarci delle meraviglie che Dio nasconde tra noi, eccoci subito attratti dal mistero del male. Come avvolti dalle spire di un erba infestante che ti avvolge senza nemmeno che tu lo sappia. Se il seme è buono e buono è il campo, perché c’è il Male nel mondo? Come farà Dio a far venire il suo Regno in mezzo a tanto male? Come farà il bene a sconfiggere il male? Come farà la luce a scacciare le tenebre e la vita a vincere sulla morte?

È istinto quello di voler strappare subito la zizzania: è l’atteggiamento dei discepoli che vorrebbero separare il buono dal cattivo. Mentre Gesù sembra perfino lasciar intravedere l’impotenza dell’amore, l’onnipotenza del suo amore che si offre per tutti. Non seleziona, non fa triage, non fa pulizia etnica, non fa separazioni religiose tra puri e impuri. Sono molti quelli che non sanno cosa farsene di un Dio che lascia al seme e alla zizzania di crescere nello stesso campo, un Dio che pare impotente mentre egli sta già manifestandosi come colui che sopporta il male.

Si deve attendere. Dobbiamo imparare la paziente attesa, senza tuttavia addormentarci. È in quel momento che il nemico semina la zizzania, è quando si chiudono gli occhi a questo mistero del buon seme e di chi lo ha seminato. La storia di Dio con gli uomini è storia di pazienza, di dedizione e di sofferenza, del suo amore che, caparbiamente, resta rivolto e riservato all’uomo e ad ogni creatura. Egli non fa strage per sconfiggere il male per sistemare tutto in un istante, fosse anche un istante divino, ma si esercita in pazienza, cresce in umiltà, attende con pazienza il ritorno dell’uomo come il Padre che attende un figlio uscito di casa solo per darsi alla pazza gioia, per sperperare i beni. Fare il male è un attimo. Il Bene chiede pazienza e lo riconosci come Bene proprio per il tempo che gli necessita.

La presenza del male nel mondo o la scoperta che il male stesso ha messo radici in noi, provoca spesso negli uomini una delusione verso il Dio che credevamo onnipotente per la sua presunta e pronta capacità di intervento, come fosse un pompiere che spegne incendio, un ambulanza che sfreccia a sirene spiegate, come un soldato pronto a sparare. Pagani come siamo nell’animo, increduli al Vangelo continuiamo ad interrogare Dio perché non interviene prontamente. Egli, tuttavia, rimane pazientemente e umilmente sepolto e nascosto nel segreto dei nostri giorni perché – misericordioso qual’è – Egli ha come unico ideale la miseria umana da compatire e perdonare giorno e notte.

A questo punto credo sia opportuno leggere anche il testo della prima lettura che viene proclamata nell’Eucarestia di oggi, tratta dal libro della Sapienza e far spuntare la nostra preghiera proprio da quelle parole, come seme che si dischiude e si fa spazio, puntando il suo germoglio verso l’Alto ma sapendo anche che il suo scopo sulla terra è diventare pane buono per gli uomini.

Non c’è Dio fuori di te, che abbia cura di tutte le cose,
perché tu debba difenderti dall’accusa di giudice ingiusto.
La tua forza infatti è il principio della giustizia,
e il fatto che sei padrone di tutti, ti rende indulgente con tutti.
Mostri la tua forza
quando non si crede nella pienezza del tuo potere,
e rigetti l’insolenza di coloro che pur la conoscono.
Padrone della forza, tu giudichi con mitezza
e ci governi con molta indulgenza,
perché, quando vuoi, tu eserciti il potere.
Con tale modo di agire hai insegnato al tuo popolo
che il giusto deve amare gli uomini,
e hai dato ai tuoi figli la buona speranza
che, dopo i peccati, tu concedi il pentimento.

Santo Spirito di Dio,

mi hai chiamato alla vita.

E mi hai fatto crescere.

Tendo ogni giorno alla maturità,

alla visione chiara della Vita.

Tendo alla verità che sta nascosta nella Vita,

per non mancare l’appuntamento,

per non addormentarmi sul poco,

per non perdere il corso del fiume.

E Tu, sin dall’inizio, o Signore della vita,

mi hai collocato in una originalità tutta mia,

in una storia che è tutta tua e mia:

quando mi allontano, mi riallacci a Te,

Signore di questa Vita che mi hai dato,

e che non vuoi che io perda

perdendo Te.

(preghiera che ho trovato ieri, sabato 18 luglio 2020, nell’Abbazia di Fontanella di Sotto il Monte)


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